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Mese: Febbraio 2009

Storia di un dolore, di un crimine e di una menzogna

Storia di un dolore, di un crimine e di una menzogna


Due lunghe file di profughi percorrono la  stessa strada, l’una in direzione contraria rispetto all’altra. E’ l’autunno del 1939, con il patto  Molotov – Von Ribbentrop, l’Unione Sovietica di Stalin e la Germania di Hitler si sono divise la Polonia, annullandone di fatto i confini .

L’invasione dei due eserciti è speculare, una manovra a tenaglia avvenuta quasi in simultanea. Infatti uno di quei  tronconi è in fuga dalla Wermacht e l’altro dall’Armata Rossa. La doppia tragedia produrrà arresti e deportazioni nei campi di prigionia, nonchè nella primavera del 1940, l’esecuzione a freddo – uno ad uno con un colpo alla nuca – di 22.000 prigionieri tra civili e militari  nelle foreste di Katyn, Tver e Kharkov, per ordine del capo della polizia segreta sovietica Lavrentij Berija e di Stalin .

Le fosse comuni furono scoperte nel 1943, nell’immediato Mosca attribuì la strage ai nazisti, responsabilità che peraltro non trovarono conferma nemmeno a Norimberga. Al momento del ritrovamento, il quadro politico e militare era completamente stravolto, i  russi erano divenuti un indispensabile alleato per sconfiggere Hitler. Di qui la generale necessità di rimozione di quel capitolo dai libri di storia. Bisognerà attendere il 1990 perchè le autorità russe – Gorbaciov prima e Eltsin dopo – ammettessero le inequivocabili responsabilità russe, rendendo inoltre disponibile alla ricostruzione dei fatti un archivio fitto di documenti.( attualmente di nuovo secretati da Putin)

Katyn comincia con le immagini delle due file di profughi che avanzano e finisce drammaticamente  con lo schermo nero, pochi istanti  che paiono eterni sulle note dell’ Agnus Dei di Pendercki.  In mezzo il racconto dolente del massacro ricostruito nella sua dimensione più complessa, quella intima dei diari e delle lettere delle vittime. Andrzej Wajda – che in quell’eccidio perse suo padre –  è un narratore intenso ed appassionato, talmente coinvolgente è il suo modo di fare cinema che durante l’ultima campagna elettorale in Polonia, onde sottrarre se stesso alle pressioni dei politici e il suo lavoro a qualsiasi  strumentalizzazione, ha preferito che il film fosse presentato a elezioni ultimate.

Ottime le interpretazioni ed esperta la regia che in uno stile piuttosto tradizionale, intreccia varie storie, differenti per età e posizione sociale dei protagonisti con spostamenti temporali continui, in un crescendo drammatico che prepara il terreno al terribile epilogo. 

Uno dei problemi di questo film è dato dall’ impossibilità di rendere un quadro completo dell’accaduto a chi, magari più giovane, ha poca dimestichezza con quelle vicende storiche. Non tanto per l’inoppugnabilità delle prove, quanto per l’estrema articolazione dei contesti,  la comprensione dei quali sarebbe più facile affidare ad un documentario piuttosto che ad un film. Wajda tuttavia ci propone senza enfasi un lavoro corretto, onesto, fortissimo, in cui la ricerca della verità  è prioritaria rispetto alle polemiche alle strumentalizzazioni ed a qualsiasi ragion di stato.

La prima proiezione a Varsavia è stata seguita da un lunghissimo profondo silenzio interrotto solo da chi ha cominciato a pregare per i morti. Il silenzio ha accolto il film anche a Mosca, poi uno spettatore ha chiesto a tutta la platea di alzarsi in piedi e onorare le vittime di Katyn. In quel momento ho capito perchè ho realizzato questo film.

Andrzej Waida

 

Katyn è un film di Andrzej Wajda. Con Andrzej Chyra, Maja Ostaszewska, Artur Zmijewski, Danuta Stenka, Jan Englert, Pawel Malaszynski, Magdalena Cielecka, Agnieszka Glinska, Maja Komorowska, Wladyslaw Kowalski, Antoni Pawlicki, Agnieszka Kawiorska, Sergei Garmash, Krzysztof Kolberger, Wiktoria Gasiewska, Joachim Paul Assböck, Stanislawa Celinska, Alicja Dabrowska, Krzysztof Globisz, Oleg Drach, Oleg Savkin. Genere Drammatico, colore 117 minuti. – Produzione Polonia 2007. – Distribuzione Movimento Film –

Il y a longtemps que je t’aime

Il y a longtemps que je t’aime


Tra Il y a longtemps que je t’aime  a Ti amerò sempre, ce ne corre. Dispiace unirsi al coro di quelli che dicono che qui da noi i titoli dei film vengono tradotti a capocchia ma siccome qui da noi i titoli dei film vengono tradotti a capocchia, tocca fare i coristi.

Tanto più che il regista, Philippe Claudel, appartiene alla schiera dei Meticolosi & Attenti alla cura del particolare. Atteggiamento frequente negli  scrittori prestati al cinema, sempre ansiosi di  tradurre in immagini tutti i tic, gli sbrodolamenti descrittivi e le vocazioni intimiste tipiche dei letterati. Il risultato però, almeno per quanto riguarda il nostro Claudel, è un lavoro di notevole pregio, forse un po’ troppo leccato in qualche momento, ma trattandosi di troppo che non stroppia, per di più sacrificato sull’altare di un rigoroso impressionismo,  non è lecito lamentarsene.

Figura  chiave è Juliette  una donna di quarant’anni i cui trascorsi  non sono immediatamente svelati e che ritorna a Nancy – cittadina resa più provinciale di quanto non sia in effetti – dopo quindici anni di assenza. Accolta in casa della sorella minore che a malapena conosce e con la quale cerca, riuscendovi, di costruire un rapporto emotivo, turba, come spesso accade quando un corpo estraneo vi s’inserisce, la fragilità di un ordine costituito magari solo all’apparenza. Ogni personaggio della famiglia che accoglie Juliette,  scopriremo, ha un lato oscuro, un segreto, un mistero che la sua presenza  farà emergere con risultati che si possono immaginare.

Film intenso, mai lacrimevole, costruito su di una progressione drammatica disseminata di piccoli colpi di scena, narrazione che lavora su più livelli : la donna che deve ricostruire la sua vita, la famiglia che deve fare i conti con segreti inconfessati, due sorelle che cercano di avvicinarsi….il tutto abilmente mescolato con finezza di racconto e d’analisi.

Un po’ Rohmer un po’ Hitchcock. Per questo chi scrive, fedele alla consegna, non svelerà di questo film, segreto alcuno.

Ti amerò sempre è un film di Philippe Claudel. Con Kristin Scott Thomas, Elsa Zylberstein, Serge Hazanavicius, Laurent Grevill, Frédéric Pierrot, Claire Johnston, Catherine Hosmalin, Jean-Claude Arnaud, Olivier Cruveiller, Lise Ségur, Mouss, Souad Mouchrik, Nicole Dubois, Laurent Claret, Marcel Ouendeno. Genere Drammatico, colore 115 minuti. – Produzione Francia 2008. – Distribuzione Mikado

Alleluja

Alleluja

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Alla fine, la corsa contro il tempo se l’è aggiudicata lei, sgattaiolando via all’inglese, sottraendo se stessa alle mani, per qualcuno dei torturatori,  per altri degli amorevoli sanitari, per altri ancora degli assassini.

Soprattutto evitando futuri accanimenti fatti di nuove ispezioni, altre perizie, ulteriori inchieste, scrupolosamente avviate da ministri e sottosegretarie talmente presi dal gioco da aver somatizzato inettitudine e malafede.

Iniziative che presumibilmente sarebbero culminate con l’intervento del nucleo dei carabinieri spediti ad interrompere il percorso stabilito dai tribunali e dai medici. Per sopraggiunti atti legislativi, come si dice in questi casi. Fermi tutti.

A noi rimangono pesanti eredità :  a  cittadini onesti, dolorosamente segnati da un’esperienza difficile, che tuttavia mai hanno agito fuori del perimetro di legalità, si è risposto negando l’esistenza di uno  Stato di Diritto. E questo che già sembra abbastanza, non è nemmeno tutto.

Ci sarà tempo nei giorni prossimi per inondare nuovamente questo caso con valanghe di retorica e lacrime di coccodrillo. Al momento però ogni cosa perde senso di fronte ad una sola, umanitaria considerazione :

Dopo diciassette anni,  Eluana Englaro è finalmente libera. Alleluja.

Attività legislativa ( come la conosciamo noi)

Attività legislativa ( come la conosciamo noi)

Non è la cattiveria invocata dal Ministro degl’Interni Maroni,  semmai peggio : malafede, confusione, opportunismo che genera provvedimenti dalle ricadute incalcolabili, tra medici delatori, rischio epidemie, badanti divenute fuorilegge, albo dei clochard, ronde e battaglioni, senza che ciò serva a risolvere uno solo dei problemi che ci si propone di affrontare.  Il tutto al solo scopo di alimentare la fabbrica dei consensi. 

E questo è ancora niente. Dopo la defatigante corvè securitaria, la beffa estrema di scaricare sul Presidente della Repubblica, che altri comportamenti istituzionali, rispetto al decreto che vieta la sospensione dell’ alimentazione forzata ai pazienti in stato vegetativo irreversibile, non avrebbe potuto tenere, ogni responsabilità sul caso Englaro. A costo di scatenare una catena di conflitti istituzionali senza precedenti, si procede egualmente con il proposito di licenziare una leggina. Un’esibizione di forza inaudita per il nostro assetto, accompagnata da dichiarazioni minacciose sulla volontà di cambiare la Costituzione e riformare la Giustizia. Una conferenza stampa memorabile disegna il ruolino di marcia. E c’è persino chi  benedice loro, le insegne.

A nulla valgono, le difese immunitarie dell’organismo collettivo – Carta, leggi, codici, tribunali, magistratura – tutto vogliono disarmare. E vogliono vincere. Anche se il prezzo è la sopravvivenza in stato vegetativo di una povera creatura, poiché la posta in gioco è ben altra. 

I caudatari sono già all’opera sulla carta stampata e in televisione : un paese moderno non può essere oberato da quest’eccesso di contrappesi. Il progresso esige decisionismo. Il decreto dunque è  stato trasformato in proposta di Legge da sottoporre all’ Aula – o in Commissione, vedremo –  per un’ approvazione a tamburo battente. Del resto bisogna far presto, non c’è tempo per soluzioni condivise. Favorevoli ? Tot, Contrari ? Tot, Astenuti? Tot. le Camere approvano. Così si fa.

Cosa ci vogliono indurre a sperare con l’avvio di questa corsa contro il tempo ? Che Eluana Englaro muoia prima che il legislatore abbia compiuto l’opera? Bisognerà mantenere i nervi saldi, una delle caratteristiche precipue di questo dibattito dissennato è ritrovarsi, seppur su terreni contrapposti, a condividere con l’interlocutore inimmaginabili livelli di perversione. Questo avviene quando si smarrisce la strada maestra del rispetto delle regole. E delle persone. Ovvero quando si vogliono scardinare equilibri su cui è fondata la democrazia e la convivenza civile. Una china che questo governo, in ogni sua manifestazione, sembra preferire ad ogni altra.

Nell’Illustrazione la Stella della Repubblica, la foto l’ha scattata mrtambourine ed io l’ho parzialmente riprodotta

Why would I want to talk to David Frost?

Why would I want to talk to David Frost?

Da storica intervista televisiva, a pièce teatrale  di successo, a film,  ritrovando il racconto, in quest’ultima trasformazione, un brillante condensato di tre differenti generi. Consacrato da cinque nominations di quelle pesanti, including the best picture, come avvertono le locandine e i trailers, omaggio alla fatica di mettere in scena, lo storico match  in cui David Frost, anchor inglese privo di qualsiasi credito politico, incalzò talmente Richard Nixon, unico presidente degli Stati Uniti ad essersi dimesso,  da indurlo ad ammettere per la prima volta in pubblico le sue responsabilità nello scandalo Watergate. Ma anche storia degli antefatti, dei retroscena, del come si arrivò allo scontro televisivo, attraverso una lunga preparazione e ad un misurarsi reciproco assai simile a quello dei lottatori o dei pugili.

I protagonisti – Shenn e Langella – sono gli stessi della commedia di Peter Morgan, dunque da una parte pienamente avvezzi ai ruoli, dall’altra impegnati a moltiplicare gli sforzi innanzi alla cinepresa che a differenza del pubblico in teatro, scruta e mette a fuoco ogni dettaglio, così implacabile  da rendere evidente la più piccola falsificazione o il più infinitesimale degli errori. Bravi nel rendere l’uno, il presidente caduto in disgrazia che passò il resto della sua vita a cercare di risorgere, l’altro in quelli del conduttore d’intrattenimento per il quale quell’intervista rappresentò l’avvio  di ben diverse fortune professionali. Un Ron Howard inatteso in grado di rendere quell’evento sensazionale e i relativi  colpi  bassi come un’elegante raffinata partita a scacchi. Un gran bel film.

 Qui è possibile vedere The original Watergate  interviews, il vero scontro a fuoco del 1977 andato in onda per la televisione inglese in quattro puntate.

 

 

Frost/Nixon è un film di Ron Howard. Con Frank Langella, Michael Sheen, Kevin Bacon, Rebecca Hall, Toby Jones Titolo originale Frost/Nixon. Drammatico, durata 122 min. – USA 2008. – Universal Pictures