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Mese: Febbraio 2011

Because I have a right to be heard. I have a voice!

Because I have a right to be heard. I have a voice!

Quattro Oscar per The King’s speech nel momento in cui il rispetto per il ruolo istituzionale passa  – come da recenti convegni su Etica Imposta & Chiffon – per Ipocrisia, non possono che capitare a proposito. Così la storia di Re Giorgio VI, sovrano controvoglia, soffocato da auguste quanto ingombranti parentele, da sempre afflitto da problemi di inadeguatezza e menomato per via di un’ infanzia  e di un contesto che avrebbero reso balbuzienti pure  le pietre, è la storia della volontà precisa di incarnare al meglio, cioè con onore e dignità, quel ruolo.


If I am King, where is my power? Can I declare war? Form a government? Levy a tax? No! And yet I am the seat of all authority because they think that when I speak, I speak for them.



Tratto dalla storia vera del logopedista australiano Logue e del singolare percorso terapeutico cui fu sottoposto re Giorgio VI ed autorizzato, quand’era ancora in vita, dalla Regina madre (alla quale sarebbe molto piaciuta la giarrettiera che Helena Bonham Carter ha indossato per la cerimonia di premiazione) Il discorso del re è un film di Tom Hooper del 2010, con Colin Firth, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Michael Gambon, Geoffrey Rush, Derek Jacobi, Calum Gittins, Jennifer Ehle, Claire Bloom, Eve Best. Prodotto in Gran Bretagna, Australia. Durata: 118 minuti. Distribuito in Italia da Eagle Pictures

( la foto qui sopra è della Kika Press)

Bab el-Azizia

Bab el-Azizia

Da liberatore della patria – ed era vero –  a campione dell’antimperialismo – per chi ci ha creduto e sono molti –  a  genocida, la parabola di Gheddafi si snoda lungo quarant’anni di cui gli ultimi  – dalle twin towers in poi –   impiegati ad accreditarsi presso la comunità internazionale come forte alleato nella guerra internazionale contro il terrorismo (Tony Blair) . Condannando senza riserve Al Qaeda, rinunziando al programma chimico nucleare quando cade Saddam, ammettendo le proprie responsabilità per l’attentato di Lockerbie, il Muammar piazza accordi commerciali per ogni dove e in ogni dove viene ricevuto con i riguardi dovuti ai Capi di Stato.Tutti sapevano chi davvero fosse Gheddafi, conoscevano l’illiberalità e la violenza del suo regime, a nessuno può essere sfuggito il suo folle stile di vita.


Nessuna meraviglia dunque per l’estrema timidezza con cui il mondo occidentale si è apprestato a condannarne –  un pensiero agli affari e un altro al grattacapo di inevitabili, cospicue migrazioni –  le ultime imprese. Ecco perchè ci raccomandano di pensare al dopo ventilando possibili infiltrazioni di Al Qaeda dalla Cirenaica oramai nelle mani degl’insorti ovvero spacciando un’ evidente questione umanitaria per una pericolosa invasione di massa sulle nostre coste.


Le rovine della residenza mai ricostruita di Bab el Azizia, monito all’Occidente e simbolo dell’orgoglio nazionale, sono un terribile sfondo per i discorsi del Muammar, da poco ritornato cane pazzo, e che invece è un tiranno cui sono rimasti solo i fedelissimi, i mercenari, i ricatti, un’ingente fortuna e la follia.


Tra le righe, accanto alla riluttanza internazionale, come sempre capita, comincia a serpeggiare un certo qual desiderio interventista, No fly zone viene chiamato nel linguaggio talvolta ambiguo delle risoluzioni ONU. Interdizione dello spazio di volo, il che significa, tra le altre cose, sorveglianza armata del medesimo.Obama, giustamente, ha detto che, se del caso, dovremmo provvedere noi : Italia e Francia. Speriamo si trovino altre vie.

Yanez de Gomera se regordet cume l’era?

Yanez de Gomera se regordet cume l’era?

Mettiamola così : vince il festival la più sanremese delle canzoni di Roberto Vecchioni, con avvertenza, dal medesimo sparsa ai quattro venti, di aver voluto introdurre in quel contesto la canzone d’autore e chiosando :  forse questa è la strada (si presume per  accreditare presso il vasto pubblico qualche concetto un pochettino più elevato dei soliti)


Ora, a fronte di simili intenti, era chiaro da subito che non sarebbe stata impresa da poco, arrivare a tutti  senza una qualche rinunzia a parole ed orchestrazioni più elaborate e complesse. Non che il pubblico sia ignorante al punto di dover abbassare il livello musicale fino a farlo scendere sotto i tacchi, semplicemente è abituato ad altro.

Non trovo una cattiva idea approfittare di un’occasione, un palco, una passerella, per far conoscere dell’altro ancora


Certo in queste circostanze può anche capitare che nella – del resto indispensabile –  ansia divulgativa,  il pezzo scivoli via un po’ troppo e tra un filo di retorica e un che di – innocente  –  ruffianeria, risulti un po’ scontato.


Non ho visto tutto il Festival e, in più,  di Vecchioni non apprezzo che poche cose  ma devo dire che la polvere che si è sollevata  tra segnali di risveglio, riscossa e stroncature, mi pare francamente eccessiva.

A me è sembrata solo una canzone e, paragonata alle altre in concorso, pure tra le migliori. Ha vinto. Meglio Vecchioni col suo impegno più o meno annacquato per ragioni di servizio che (per l’ennesima volta) i figli di Maria che francamente non offrono prove così travolgenti. E’ poi così disdicevole ragionare in questi termini?

Possibile evitare la sindrome da tradimento dei guardiani della nicchia, ogni volta che le tirature aumentano, i giornali popolari pubblicano copertine, un po’ di successo supera  limite consueto ? E la demolizione sistematica del malcapitato? E’ proprio indispensabile?


Se, come abbiamo potuto vedere, l’intera baracca festivaliera consta di un tale meccanismo da afflosciare Robert De Niro – solitamente più vivace –  far sembrare de sass, come la Perla de Labuan di Van de Sfroos, (il più dissacrante e ironico)  persino la Bellucci, deprimere oltre ogni aspettativa il maestro Battiato ( salvatosi dalle critiche solo perchè perdente), steccare Patty Pravo, confondere Morandi e cantare mestamente Benigni – ma non  dovevamo tutti cingere la testa con l’Elmo di Scipio ? –   figuriamoci il resto.

E’ possibile – e in genere funziona così – che a qualcuno di quelli presi all’amo da Vecchioni con Chiamami ancora amore venga la curiosità del resto della discografia. E allora…

Nella foto, l’immagine più trucida dell’intera manifestazione.

Marlene a parte

Marlene a parte

Era poi valsa  la pena  partecipare al Se non ora quando di Piazza del Popolo, anzi terrazza del Pincio, a un soffio dal dies irae, per sintonia col particolare momento, miglior colpo d’occhio e  istantanea verifica sullo stato delle cose.


E  infatti si è visto. Alla fine qualcuna s’è tenuta i dubbi rimanendo a casa, altre sono arrivate nonostante . Comunque – che è quel che più interessa – le obiezioni della vigilia sono state in gran parte recepite, prevalendo sui settarismi uno spirito autenticamente inclusivo e glissando su qualche puzza sotto al naso, bagaglio del tempo che fu, di quando cioè non era un lusso dividersi sulla scorta di sottili –  benchè sacrosanti –  distinguo.

Quello delle donne protagoniste on demand, non era affatto una questione di poco conto e ancor meno l’originario rivolgersi solo ad una parte dell’universo femminile. Nell’uno e nell’altro caso  è stato importante mettere a tema  limiti e contraddizioni . Il risultato  sono state piazze che non hanno voluto (e potuto) fare a meno della politica ma che volentieri si sono liberate dei politici e dei simboli di partito. In cambio abbiamo  ascoltato Suor Eugenia e annoverato tra le adesioni il comitato di Carla Corso e Pia Covre.



Le donne che hanno riempito le piazze di domenica scorsa  sono sembrate pronte a raccogliere le cosidette  sfide del cosidetto presente e forse anche a far tesoro degli svarioni d’antàn che non sono, sia ben chiaro, rappresentati dai corollari degeneranti della rivoluzione sessuale come cantilenano i supporters del Presidente del Consiglio e gli orecchianti di passaggio , bensì l’aver mollato, a tratti, la presa, per stanchezza, magari confidando nel fatto che sarebbe sempre stato possibile riportare alla luce, in qualsiasi momento quel fiume carsico che sono i movimenti delle donne.

Così non è stato. Ce ne siamo accorte a nostre spese. La fatica presente, ben ci sta.


Ora vai a spiegare alle schiave astute e ai combattenti  col tic dell’egemonia culturale, blateranti  sotto a fili di biancheria stesa – Kant & Mutande, la nuova frontiera  – che,  a voler chiamare ogni cosa col proprio nome e non con definizioni di comodo, la battaglia per l’autodeterminazione  ha giovato all’intero paese in termini di crescita culturale e conquiste civili e che sono semmai loro ad essere rimasti inchiodati agli ammiccamenti dell’ Angelo Azzurro come bandiera di libertà.

Marlene a parte, cadono le braccia.



Contro la malafede non c’è storia. Avvelena anche te ed è finanche inutile dirgli di smettere. Inutile cioè, avventurarsi in dibattiti sul moralismo e sull’etica imposta. E con chi poi? Con i campioni del nascere e morire come lo Stato prescrive? Meglio ignorare, riprendere il filo e tenersi stretta quella piazza che per variegata e contraddittoria che fosse, è stato un buon inizio.


Tahrir!

Tahrir!


Nessuna stabilità è credibile se fondata sulla concentrazione del potere, sulla corruzione, sull’ingiustizia sociale sulla mancanza di libertà d’espressione . Sotto questo aspetto gli odiosi regimi dittatoriali del nord Africa non dovrebbero essere considerati rassicuranti nemmeno per chi come noi è portato a credere che l’ impostazione laica sia servita fin qui ad allontanare il rischio fondamentalista.

Ma…meglio una situazione complessa e carica d’incognite che la finta democrazia del Faraone. A noi non resta che vedere in questo nuovo inizio, un segnale di speranza.