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Mese: Marzo 2011

Avvitati

Avvitati

Il colpo riesce a metà e sulle prime pagine la notizia del Miracolo di Lampedusa deve battersela con quella della Prescrizione Breve, un po’ per i metodi con i quali si è inteso stravolgere l’ordine del giorno, ma soprattutto  per l’ improvvida decisione di La Russa di sfidare i manifestanti fuori Montecitorio e successivamente di vantarsene in Aula con le conseguenze che sappiamo.


Oggi non è andata meglio e dopo una seduta in cui gli esponenti del PDL hanno continuato a dare il peggio di sé al punto che non è stato possibile ottenere nemmeno l’approvazione – il colmo –  del Verbale della seduta di ieri, la Prescrizione Breve slitta a martedì, quinto posto all’ordine del del giorno. Cioè dopo il conflitto di attribuzione.


Il combinato disposto di furbizie, ricatti ed irregolarità comincia a dare i suoi risultati e mentre si affastellano le ricadute di comportamenti istituzionalmente  scorretti, l’avvitamento è inevitabile. La politica non può essere questo,soprattutto se diventasse davvero questo, sarebbe impossibile persino adempiere agli atti dovuti. Non è un paradosso.


Non è un caso che il tanto sventolato reato di clandestinità che doveva garantire sicurezza ai cittadini, oggi mostri tutti i suoi limiti nella gestione degli sbarchi, che le politiche fondate sull’ossessione securitaria di questi ultimi anni giochino un ruolo non indifferente nel rifiuto delle regioni ad accogliere parte dei migranti ed infine che la nostra scarsa credibilità internazionale ostacoli la formulazione di accordi persino con la Tunisia.


Così Lampedusa non è un problema solo per eccezionalità dell’evento o per carenze organizzative ma diventa una delle tante occasioni  in cui si dimostra come il legislatore al servizio non della collettività, ma della propaganda o dell’interesse particolare unitamente al malgoverno,all’indifferenza e all’approssimazione, producano disastri. Oggi qui, domani a Manduria e dopodomani a Pisa. Poiché il piano organizzativo ancora è assente, mentre l’arroganza di voler fare di tutto un’opportunità per confortare un consenso in piena crisi, è in costante aumento.


Qualcosa ogni tanto va  storta pure ai Grandi Comunicatori e così  l’investimento – case & pescherecci  –  che avrebbe dovuto segnare il ritorno di Berlusconi sulla scena e distrarre l’attenzione da quanto si stava verificando in Parlamento, almeno al momento, si è rivelato meno remunerativo del previsto. Non gli resta che ritentare, magari col casinò o col campo da golf.



La leggenda dice che ci so fare

La leggenda dice che ci so fare

Agiografico in tutte le accezioni del termine e per il metodo di  ricostruire vita, opere – e pertanto miracoli – di Silvio Berlusconi attraverso un ineccepibile lavoro di cucitura di materiali d’archivio. Ortografia secca e precise imbastiture  per un lavoro raffinato in cui la non interferenza degli autori con la vicenda, genera un meccanismo narrativo che mette la definizione del personaggio – peraltro arcinoto – in sottordine rispetto alle ragioni del mito e dell’ascesa . Rintracciando queste ultime  in una sintonia col popolo italiano che trascende la rappresentanza fino a sfiorare o immergersi nell’identificazione.


Dunque non un pamphlet antagonista con una serie di tesi da dimostrare ma semplicemente un film di montaggio con la storia di Silvio Berlusconi raccontata in presa diretta e viva voce dallo stesso protagonista. Supplente Neri Marcorè quando manca il titolare.



Un sollievo per chi è stanco di misfatti,  di date e indagini, di contestazioni di reato e sentenze. Sedersi in sala per credere. Magari osservando le reazioni del pubblico, deliziate per comicità involontaria o sinceramente affascinate dalla vicenda umana e politica che si  svolge innanzi ai loro occhi.

Quando si dice un film per tutti.


Oppure un modo per far prendere una vacanza al Berlusconi che è in noi.


(Nelle manifestazioni di ieri al Palazzo di Giustizia di Milano, una sorta di postfazione al Berlusconi forever di Rizzo, Stella, Faenza Macelloni :

Due sparute fazioni, una di sostenitori, l’altra di detrattori (entrambe in costume), si contendevano il Divo che, all’interno di una berlina scura e con tanto di scorta a piedi, faceva il suo trionfale ingresso per presenziare, dopo otto anni, ad un’udienza tecnica del procedimento Mediatrade. In aula è successo assai poco ma gli strepiti, i titoli, i telegiornali, le interviste gli slogan,  i predellini, gli striscioni e le note di colore sono state tali da far impallidire il rumore che producevano le udienze  dell’affaire Dreyfuss.

Il tutto preceduto al mattino, da una telefonata a Rete di proprietà, in diretta, durante una trasmissione condotta da uno dei Fedeli, tanto per ribadire la propria innocenza e lamentare le solite  persecuzioni. Silvio forever. Facciamo Silvio basta?)




Silvio Forever è un film di Roberto FaenzaFilippo Macelloni del 2011, conSilvio Berlusconi. Prodotto in Italia. Durata: 85 minuti. Distribuito in Italia da Lucky Red

Fronte interno

Fronte interno

Il fatto che – come da dichiarazione del ministro degli esteri – anche noi abbiamo delle idee, è la prima buona notizia dopo giorni trascorsi a dar prova del contrario, ovvero :
a rendere presentabile, rabberciandola, una maggioranza, a sgomitare, senza particolare esito, all’interno della coalizione dei volenterosi, ma soprattutto a inventarsi  nemici e competitori oltre quello naturale che, comunque la si veda, in questo particolare frangente, dovrebbe essere rappresentato da Gheddafi e dal suo sanguinario regime.


Così, dopo l’ indecisione – a partire dalla ratifica parlamentare della risoluzione ONU – e l’ abbandono sull’isola di Lampedusa di esseri umani provenienti in massima parte dalla Tunisia, esodo che si è rivelato non certo biblico ma egualmente drammatico dato l’esiguo territorio di sbarco e il  non – governo del fenomeno, noi pretendiamo di far valere le nostre idee e magari pure di ritagliarci quello che una volta si chiamava un posto al sole e oggi credibilità internazionale.


Ora – cioè dopo circa un mese dal biblico annuncio – il ministro degl’interni  corre a Tunisi per mettere insieme uno straccio di accordo. In patria  lascia i presidenti delle regioni a litigare su chi debba accogliere i migranti, mentre tutta la governance espressa fin qui, si riduce ad un’ interessante disanima sullo status degli esseri umani che stazionano a Lampedusa : se clandestini, rifugiati, profughi o fashion victims.


Ictu oculi, l’inesorabile colpo d’occhio padano, si propenderebbe per il clandestino griffato, visto che screenings non ne sono stati compiuti e che un po’ di latente propaganda  xenofoba non guasta mai


E del resto a meno di pensare alla totale incapacità governativa di gestire un transito di quindicimila, peraltro annunciate in misura più consistente, presenze, la lettura dell’ennesima occasione per uno spot a buon mercato, è l’unica possibile.


Dati i precenti e  la tipologia dell’impegno sul piano militare, l’unico modo per dimostrare affidabilità avrebbe potuto essere una gestione al meglio degli sbarchi. E invece niente : o sono ruoli di prima grandezza – Ambasciatore, Stratega, Gran tessitore –   o non se ne parla.

Come non si parla di obblighi nei confronti della Comunità Internazionale, alla quale si può sicuramente chiedere sostegno, non prima di avere fatto il possibile e  soprattutto non dopo aver dato scarsa prova di responsabilità.

Taccio sull’obbligo morale di prestare soccorso , espressione obsoleta oramai scomparsa dal vocabolario.


Basta varcare il confine per rendersi conto quanto goffi ed inaffidabili siamo considerati, il che decisamente contrasta con l’immagine  che  Silvio Berlusconi – silente in questi giorni, per avere assi diplomatici di assoluta segretezza nella manica – amerebbe offrire di sè : come di chi esce velocemente per la comune rilasciando storiche esternazioni ad uso della stampa che lo insegue ” Voi non avete capito che governare significa fare e non dichiarare”.

E in effetti non ce ne eravamo accorti.



From the halls of Montezuma to the shores of Tripoli?

From the halls of Montezuma to the shores of Tripoli?

Impegnati  come siamo, chi con lo scacchiere, chi  a mettere insieme la contabilità dei tomawhks con  quella dei rischi e dei vantaggi, chi  a raccontare l’abilità strategica di cui disponiamo – o meno, chè tanto è lo stesso – o a interrogare le stelle su quanto durerà o a spremere le meningi sui trattati internazionali e sulle risoluzioni (auguri) Onu, nessuno più si cura  del popolo libico, nè degli shabab, i giovani combattenti , che poi dovrebbero essere la vera ragione, o se si preferisce, il senso di Odissey Dawn.


A dire il vero qualcuno che ogni tanto se ne ricorda c’è. Giusto il tempo di insinuare dubbi su possibili peggioramenti della situazione, ove mai Gheddafi dovesse cadere  o se  si  dovesse scoprire che i ribelli, di cui effettivamente, poco si sa, altro non sono se non agenti al servizio di oscure forze del male, presumibilmente russe o cinesi, forse talebane.


Del resto, all’incredibile temporeggiamento va pur addotta una giustificazione e non potendo vantare attività diplomatiche di rilievo, il solito fumo dato dalla complessità della situazione libica diventa ottimo soccorso per i balbuzienti.


Senza contare l’aplomb da perfetto statista con il quale il ministro della Difesa oggi ci ha spiegato che la partecipazione italiana trova una sua ragione nel fatto che, cessato il fuoco, chi ha contribuito alla missione avrà diritto di parola su immigrazione, sbarchi e respingimenti. Curioso modo d’intendere le missioni a protezione delle popolazioni civili.


Taccio, infine per carità di patria, sulle posizioni dei pacifisti o non interventisti o quel che è, non quelle rispettabili  del dubbio ma quelle dei fautori dell’inviolabilità  dello Stato Sovrano con tanto di pezze d’appoggio, Diritto Internazionale imparato per corrispondenza, alla mano.

Posso capire tutto, non l’indifferenza al cospetto del sistematico massacro, magari in nome dell’autodeterminazione dei popoli. A difesa poi di chi? E in quale buona compagnia ? Sono posizioni queste troppo strampalate per essere definite  ideologiche.

La sensazione dominante è che Gheddafi  abbia più amici di quanto egli stesso  possa credere.





Gesuzza e Carmeliddu

Gesuzza e Carmeliddu

Al pari delle Serpieri, dei Franz Mahler, delle Sedara e dei principi di Salina  che con Visconti  hanno  raccontato il Risorgimento attraverso l’inesorabile declino di un mondo   –  agonizzante ma abbastanza vitale da  contaminare con i suoi  vezzi e le sue pessime inclinazioni il nuovo in ascesa –  Gesuzza e Carmeliddu, di quella stessa epoca risorgimentale, rappresentano non un differente punto di vista, ma direttemente un’altra dimensione.


Accomunate le visioni da un preciso intento antiretorico – ma per Visconti  anni 50- 60 era forse più facile che per Blasetti a metà degli anni 30 e dunque in pieno fascismo – il racconto dell’impresa dei Mille viene mostrata come atto improvvisamente risolutivo e drastico – l’allusione al 1921 è inevitabile, poichè 1860 è comunque  un film di regime –  di divisioni, di teorie,di argomentazioni e dissidi tra gl’italiani alla vigilia dell’unificazione e puntualmente annotati nel corso di un viaggio che Carmeliddu intraprende attraverso la penisola.


Protagonista principale non un singolo personaggio con la sua particolare vicenda, ma la massa, il popolo, risentendo il film degli echi del contemporaneo cinema russo, come pure riferito da Georges Sadoul  che anzi riconosce in 1860 la parentela di questo perfetto esercizio di stile con il Griffith di Birth of a nation e più ancora con l’Eseinstein di Que viva Mexico o il Pabst di Don Chisciotte.


Ma soprattutto in 1860 colpiscono le ragioni con le quali Blasetti spiega la vittoria dei garibaldini, numericamente inferiori e male equipaggiati rispetto ai soldati borbonici : quella milizia era un corpo senz’anima : mancava una coscienza centrale, mancava oramai lo scopo ideale di esistenza.Calatafimi oltre che un fatto d’armi è soprattutto una grande lezione di morale storica e di ottimismo : la stessa violenza non è mai cieca o bruta, ma agisce in funzione dello spirito che la informa.(Alessandro Blasetti, Il Mattino, Napoli 24 novembre 1933)


Facile a scriversi, meno a essere rappresentato in immagini (che saranno di rara potenza con inquadrature, data l’epoca, prodigiose).


La giustezza di una causa e le ragioni di una rivoluzione raccontate da due registi italiani che hanno reso grande il Cinema –  e non solo il nostro – sono motivi sufficienti per ritenere  futili e artificiosi i distinguo di questa giornata che comunque è riuscita ad essere lo stesso di festa.


La nostra storia del resto è storia di divisioni e disparati sentimenti  che spesso hanno reso difficile la ricerca del Bene Comune. Forse l’ultimo atto di quella rivoluzione sarà imparare a convivere con le differenze.

I nostri predecessori , tra repubblicani, monarchici, socialisti, autonomisti e ammiratori del  papa, ad un certo punto, misero da parte le loro, ritenendo prioritario sopra ogni forma di governo futuro, l’obiettivo di unificare la patria. Noi che viviamo epoche non meno difficili  non dovremmo rinunciare a  fare altrettanto



1860 – I mille di Garibaldi è un film di Alessandro Blasetti del 1934, con Giuseppe Gulino, Aida Bellia, Gianfranco Giachetti, Mario Ferrari, Maria Denis, Ugo Gracci, Vasco Creti, Totò Majorana, Otello Toso, Laura Nucci. Prodotto in Italia. Durata: 80 minuti.