Nessuno tocchi Caino
La pena di morte è una punizione crudele, inumana e degradante ormai superata, abolita de jure o de facto da più della metà dei paesi nel mondo. La pena capitale è una violazione dei diritti umani fondamentali, che non può offrire alcun contributo costruttivo agli sforzi della società nella lotta contro la violenza.
Nessuno tocchi Caino vale sempre e sotto ogni cielo. Dunque, anche in Iraq. Dunque, anche se il condannato a morte si chiama Saddam Hussein, e se non c’è dubbio alcuno, perché lo ha riconosciuto lui stesso, che della strage di 148 sciiti a Dujail, nel 1982, è stato il mandante, così come di altre innumerevoli efferatezze contro il suo popolo della grande maggioranza delle quali il processo di Baghdad ha preferito non occuparsi.Saddam è stato processato e condannato per singoli episodi perché se il processo avesse avuto per oggetto il suo regime criminale sarebbe stato impossibile impedire all’imputato di difendersi invocando sia il contesto internazionale che le molte complicità di cui ha goduto nel corso della sua lunga carriera politica. Ricordando ai giudici, per esempio, i suoi incontri a Baghdad con Donald Rumsfeld, negli anni Ottanta. O la licenza di reprimere la rivolta sciita che ricevette da Bush padre dopo la fine della guerra del Golfo.Saddam, è il più colpevole degli imputati di sicuro ma il processo è risultato assai simile a una farsa, che scredita la giustizia irachena (e questo sarebbe onestamente il meno, in un paese in cui il capo del governo si è appellato in continuazione ai magistrati perché gli facilitassero il compito mandando a morte il despota deposto dagli americani) e rende più difficile la strada, già assai ardua, verso una giustizia internazionale degna di questo nome. È assai probabile, che le cose non potessero andare diversamente, una volta deciso di affidare il processo agli iracheni, per trasformarlo in una sorta di atto fondativo del nuovo regime. Ma questa non era una decisione obbligata: bastava volerlo, e Saddam avrebbe potuto benissimo essere giudicato, a l’Aja e forse persino a Baghdad, dal Tribunale Penale Internazionale: si sarebbe così evitata una condanna a morte che rischia di rendere ancora più incerta e drammatica la situazione in Iraq, e si sarebbero garantite al giudizio più trasparenza,più garanzie e soprattutto più verità. Peccato, che gli americani, il trattato istitutivo del TPI si siano rifiutati di ratificarlo e che, per quanto ne sappiamo, pochi, pochissimi hanno avuto il coraggio di sollevare apertamente la questione quando era il caso.La pena di morte a Saddam è un errore politico che aggraverà la situazione in Iraq.Per quanto i vertici americani si ostinino a negarlo, in quel paese è in atto una vera e propria insurrezione armata.Saddam diventerà un martire oltre ad essere giù considerato un eroe dell’antiamericanismo.L’odio per il gruppo dirigente iracheno e per gli americani aumenterà e i massacri si moltiplicheranno a dismisura.Per concludere in Iraq anche sul versante della giustizia si è imboccata una strada radicalmente sbagliata e appare assai probabile che la soluzione,sarà la peggiore posiibile.