Pogrom ( ogni cosa ha un nome)
Varcata la frontiera che poi, ironia della sorte, frontiera nemmeno è più, tutti quelli che incontri ti chiedono dei Pogrom (e, in secondo battuta, dei Rifiuti di Napoli). Visti da lontano i problemi italiani non riescono ad assumere, come si sarebbe pensato (o sperato) alla partenza, contorni attenuati. Anzi. Qualcosa di molto grave è successo al senso civico di questo paese se di fronte alle devastazioni dei campi rom e alle retate, nessuno s’indigna concretamente. Lo leggi negli occhi degl’interlocutori stranieri che magari hanno già avuto a che fare con questi problemi nei loro rispettivi paesi e che sanno come la pensi. In realtà – cerchi di spiegare – le mancate risposte procurano ulteriori sensi di smarrimento se, la calcolata rinunzia dell’intera classe politica a porre i necessari distinguo alla Minaccia che oramai il Diverso ma, quel che è peggio, il Povero, costituisce per la gente cosidetta perbene, si traduce in esplicito avallo del pogrom. Ecco che minaccia e paura diventano una sorta di rendita politica. Che senso avrebbe, altrimenti, stigmatizzare frettolosamente gl’incendi nei campi e, nel contempo, offrire la sponda attenuante dell’esasperazione, ai cittadini che vivono in quartieri a ridosso delle baraccopoli ? Davvero si pensa che seppur alte percentuali di devianza, giustifichino la deroga al principio giuridico della responsabilità individuale? In quale modo s’intende recare un buon servizio al ripristino della legalità se in nome di un sentimento erroneamente spacciato per popolare, si rifiutino principi elementari di convivenza civile? Non è un caso che sia sparita da ogni progetto ma anche dal lessico abituale di queste circostanze, ogni Misura che travalichi l’Emergenza, non dico la Riforma Giudiziaria ma almeno quegli accorgimenti legislativi che renderebbero meno tortuoso il corso dei processi per i reati minori, non dico una politica di servizi ma almeno di strutture destinate, come è negli accordi con la Comunità Europea, mentre invece si fanno strada forme aberranti di punizione della clandestinità sulla scorta di criteri aleatori di pericolosità sociale. La sensazione è che di emergenza, in paura, in minaccia, non si risolva alcun problema. Davvero nessuno, vuol tentare un discorso veramente e interamente politico, sul fatto che il senso di sicurezza non può risiedere solo nella cacciata di centoquarantamila rom? Davvero lo sfruttamento di donne e bambini di cui i rom sono accusati e in molti casi giustamente, può essere assunto ad alibi e magari risolto spostando gli accampamenti un po’ più in là? Se nessuno indicherà nel razzismo e nell’intolleranza gl’istinti in assoluto più bassi con i quali una collettività dovrebbe fare i conti, che ne sarà non solo dei rom che probabilmente sopravviveranno a questo ennesimo assalto, ma di noi stessi così ridotti a ostaggi della Paura senza il soccorso di strumento alcuno : democratico, civile, solidaristico, di buon senso ed infine, umano? Per questo suona insensata la raccomandazione odierna dei Vescovi di non buttarla in politica, invece è proprio lì che dovrebbe andare a finire tutta questa vicenda. Lì o come Cristo comanda. Così ce n’è per tutti, per chi ha da guidare il Paese con strumenti non solo di propagandistica repressiva, per chi ha da fare l’Opposizione senza sfigurare la propria immagine e anche per chi, stando a quanto afferma, avrebbe da assolvere una missione terrena in un modo più incisivo e spregiudicatamente cristiano.