Il banjo di Luke

Il banjo di Luke

 Cool Hand Luke valse a  George Kennedy, qui nella foto con Paul Newman, l’Oscar per miglior attore non protagonista. Paul dovrà invece aspettare il 1986 – Il colore dei soldi – per quel riconoscimento che alla fine, dopo tante attese, nemmeno ritirò personalmente. La stangata per esempio aveva vinto tutti gli Oscar possibili,  meno che quelli destinati agl’interpreti. 

Con grande commozione l’altra sera, Robert Redford a Cortona, lo ha ricordato.

Quasi quasi ci arrabbiamo

Quasi quasi ci arrabbiamo

pechino

Se, come ha detto  il presidente Jacques Rogge, le Olimpiadi di Pechino saranno un grande catalizzatore per il problema dei Diritti Umani, lo si vedrà da qui a qualche tempo. Al momento, i soli  Primati che l’Occidente si è guadagnato sul campo, sono quelli dell’ Ipocrisia e della Doppiezza. Se lo spirito olimpico è – come ci viene ricordato – parte dell’umanesimo moderno, allora alla Cina non bisognava affidare nemmeno l’organizzazione di un torneo di biglie, atteso che quando si parla di violazione dei Diritti Umani, si allude ad ogni sorta di Crimine di Stato : dalla pena di morte, alla tortura, ai lager. Senza dimenticare le brillanti operazioni di trasferta in Tibet, Birmania e Darfur.  Di fronte a tutto questo, i mugugni dei paesi che hanno rilasciato dichiarazioni di sangue o minacciato il boicottaggio, per poi precipitarsi all’inaugurazione, sono stati più insultanti della stessa indifferenza con la quale si è accettata la candidatura di Pechino a sede olimpica. Da una parte si finge indignazione, dall’altra si pensa alle importanti commesse o agli accordi commerciali,  tralasciando di riflettere, stavolta  senza nemmeno prendersi il disturbo dell’indignazione, sulla natura stessa della florida economia cinese, fondata sull’iniquità e sullo  sfruttamento di una manodopera priva di garanzie e retribuita con salari ridicoli. E del resto non lo ha detto già Bush, campione mondiale di tutte le indignazioni,  che il Mercato è l’unica via di salvezza per la Cina ? Non ci vuole molto per capire che quella è l’unica libertà che sta davvero a cuore all’Occidente. Dunque, la festa può cominciare.

Do it again

Do it again

La sua più sensazionale apparizione in pubblico avviene in un tetro pomeriggio invernale presso una delle basi militari Usa in Corea . Il cinegiornale che documenta l’evento la mostra, prima di andare in scena, intirizzita, in  un abito leggero color prugna e con i piedi nudi, calzati nei classici  sandali da sera col listino alla caviglia. Per tutta la durata dello spettacolo sarà l’unica donna innanzi ad una sterminata platea  di uomini, quando la carrellata mostra il pubblico assiepato fin su di una collinetta antistante il palco, ci si può rendere conto :  sono migliaia.  Scoppieranno boati e manifestazioni d’entusiasmo accompagneranno l’esibizione ma sono certi improvvisi silenzi a creare un’atmosfera irreale. Lei si dimena, provoca, incoraggia,  mentre – guardare il cinegiornale per credere – vere e proprie ondate di testosterone la investono. Quando accennerà Do it again – Fallo ancora – sarà talmente esplicita, che l’Esercito la pregherà di eliminare il brano dal repertorio dei  futuri spettacoli per le truppe. Qualche tempo dopo annoterà Penso che non sentii mai di esercitare un effetto sulla gente prima di andare in Corea. E’ uno dei momenti più felici della sua esistenza : ha da poco sposato Joe Di Maggio e nessun’ altra donna fino al funerale di Kennedy e all’imporsi di Jacqueline, avrà un posto così centrale nella vita americana. Oltre ventiquattro fotografi famosi – da Avedon a Capa a Enriques a Beaton – hanno ritratto di  Marilyn, bellezza, talento, stati d’animo, ma in nessuna di queste foto ritroviamo l’entusiasmo e la vitalità, il magnetismo che emana da quel filmato tra i soldati. Marilyn  era incantevole, ironica, arguta, sapeva cantare e recitare ma  soprattutto aveva nell’animo tutta la pulizia del mondo che  esprimeva con naturalezza e slancio  nel modo tutto suo, di entrare in perfetta sintonia con il pubblico. Siamo nel 1954, in una specie di sterminata caserma, distanti dalle trovate pubblicitarie per gli amatori della domenica, dall’erotismo prodotto artificialmente – lo Chanel n 5 al posto del pigiama o la biancheria in frigorifero  o la ruffianeria del concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninoff – In Corea, una canzone molto popolare, una platea lontani da casa e l’incarnazione compiacente del sogno erotico di qualunque maschio del pianeta, fanno scattare un magico incastro : una trappola di naturale sensualità che continua a funzionare a distanza di oltre cinquant’anni. Marilyn Monroe muore, forse suicida, nella notte tra il quattro e il cinque agosto del 1962. La misura del suo valore scriverà Norman Mailer ci è suggerita dall’espressione affranta sul volto di Joe Di Maggio, il giorno di quel tremendo funerale a Westwood, presso Hollywood.

Uso di mondo

Uso di mondo

Lella Bertinotti, alle prese con le domande piuttosto pepate  di una recente intervista, ha chiarito che lei  i Ferrero a casa di De Benedetti ce li ha incontrati spesso (sottintendendo : che vuole quello da mio marito, con questa storia dei salotti che allontanerebbero la sinistra dalla gggente ? ).Tanto è bastato perchè la compagna di Ferrero – per non essere da meno, come direbbe Jannacci – scendesse in campo replicando che sì ,  ogni tanto qualche mondanità se la concedono  anche loro, i granitici esponenti  della sobrietà rivoluzionaria,  ma che quando questo accade, tornando a casa, non mancano mai d’interrogarsi  sulla Redistribuzione delle Ricchezze. Lo dice con l’enfasi che un simile argomento richiede – manco si trattasse di obbligatori esercizi spirituali, o di una sorta di lavacro o, più probabilmente,  di un tributo da pagare al senso di colpa – lasciando peraltro intendere che certi personaggi, invece che l’attico o il piano nobile dei palazzi in centro, abitano direttamente la Grotta di Ali Babà. Esaurita l’annosa polemica sulle barche e i titoli nobiliari ( persino Enrico Berlinguer ne era vittima) , sulle scarpe di D’Alema e il debutto in società della sorellina della Melandri al Grand Hotel ( o era l’Excelsior? Bah), ora il moralismo imperante si esercita  sui salotti, rei del disastro, della sconfitta e dell’annacquamento ideologico. Sarà, ma fatte le debite proporzioni a me pare che questa del far salotto sia un’abitudine inveterata e assai più diffusa di quanto sembri,  senza contare  che normalmente quelli che strillano di più sono i Piccoli Desideranti, coloro cioè che per un the freddo a casa De Benedetti, venderebbero la propria madre . Più la crisi della sinistra, se di crisi si tratta,  si presenta complessa e senza via d’uscita, più il dibattito tocca punte di conclamata imbecillità  tra motivazioni fantasiose e inconsistenti e banali rivisitazioni di vecchi luoghi comuni che resistono all’usura del tempo, ai crolli dei muri, alla globalizzazione e alle invasioni barbariche. Può succedere l’Impensabile, la colpa ultimamente è sempre del sommier di casa Tal dei Tali e dei di lui ( o lei )  ospiti che hanno tradito Causa e Fede tra una chiacchiera, una congettura e un bon bon. Magari fosse, sarebbe assai più semplice  ottenere il ritorno delle passioni e il recupero dei consensi perduti : basterebbe chiudere quei luoghi di perdizione,  d’autorità o per decreto, ovvero  proibire i dopocena e le barzellette nel fumoir.  Ferrero ( & signora) non sono certo Piccoli Desideranti,  visto che qualche devianza, di tanto in tanto se la concedono. Tuttavia  richiamando la questione dei salotti nell’ufficialità del congresso rifondarolo, è probabile  che il nuovo segretario intendesse fomentare l’odio di classe. Nei confronti di De Benedetti? Macchè. In quelli  dei coniugi Bertinotti. Dopo aver battuto l’avversario e con qualche furbizia riportando ben otto voti di vantaggio, ci si può permettere di stravincere. Non so cosa pensino i simpatizzanti di Rifondazione che una settimana sì e l’altra pure vengono presi per il naso, ora da chi va a fare spettacolo ma con gli indios nel cuore, ora da chi confessa di frequentare le case dei notabili  per obbligarsi a pensare ai poveri. Una delle critiche più ricorrenti che gli avversari politici rivolgono alla sinistra, è quella di avere un pessimo rapporto con la realtà. Più che pessimo, ha tutta l’aria di essere alterato.  Non rimane che sperare che in queste loro, quantunque sporadiche e sofferte frequentazioni, ai vari Ferrero,  rimanga appiccicato addosso, oltre che l’ insopportabile senso di colpa, anche un po’ di quello che viene definito  uso di mondo, qualcosa che andrebbe oltre l’utilizzo delle posate e dei bicchieri giusti, complicazione  che però tutti possono imparare ma che di fronte a controversie – anche non salottiere –  che virano al pianerottolo, suggerirebbe un contegnoso silenzio.  Invece di  inginocchiarsi sui ceci e sui cocci riflettendo sulla redistribuzione, certuni potrebbero mutare esercizio e dedicarsi alle buone maniere e al rispetto. Anche le masse, impegnate di questi tempi a fare i conti con ben altri grattacapi, ne sarebbero, credo, assai sollevate.

Il dibattito sì

Il dibattito sì

Nanni209

Diceva Moretti – ieri sera ospite all’Est film Festival  di Montefiascone dov’era in programma  il Caimano – che non farà il sequel della Cosa. Il  bel documentario girato nella sezione del PCI di Testaccio, fedele report di un’ assemblea tra militanti  all’indomani dell’annuncio di Occhetto alla Bolognina, non avrà un seguito da girarsi magari in un circolo del Partito Democratico . Oggi –  ha spiegato – non ritroverebbe  la stessa passione  – cioè  quell’insieme  di sentimenti insopportabilmente contrastanti –   disperazione, voglia di cambiare, entusiasmo, nostalgia, rabbia , senso di smarrimento che segnarono quella stagione, inaspettatamente, per molti di noi. Trovo la scelta appropriata  : la biografia di una parte politica ancora consistente  di questo Paese, la si può scrivere in tanti modi, Moretti che lo fa da sempre, continuerà, con l’acume che lo contraddistingue. Qualsiasi storia racconti  sarà sostenuto  dalla sua idea di cinema. Che non declina narcisisticamente –  Ecco il mio cinema ! –  come fanno certi – e chissene frega – verrebbe da rispondere –  ma che è nascosta nelle pieghe di ogni suo discorso ed esplicitata con estrema naturalezza nei suoi film . Una serata vivace con dialogo serrato, ad un certo punto sono spuntate, non so bene da dove, persino le serie americane della televisione via cavo , dove si sperimenta più che nel cinema . Verissimo. E poi ancora,  il modo di lavorare dei registi che stanno alla macchina da presa come Garrone o di quelli come lui, Moretti, che non lo fanno e che pertanto non meritano il titolo di maestro – di cui a più riprese il pubblico ha tentato d’insignirlo – . Ho trovato apprezzabile l’ omaggio al versante artigianale del lavoro del regista e mentre il dibattito va avanti  - so anche perchè – mi viene in mente la giusta distanza che amiamo in Rossellini o la necessità dell’  Herzog –  per esempio – di Nosferatu di dirigere il film da dentro il set, mescolato alle comparse, persino durante le riprese. Poi arriva, immancabile,  lo spettatore che esorta il regista  a fare un cinema politico, incisivo, duro . Non faccio film per scuotere gli spettatori, racconto storie che danno forma ad un mio sentimento è la risposta. Ma poi ognuno sa che quel sentimento non è mai solo suo, perchè bravo come lui a raccontare le storie e gli altri attraverso se stesso, ce n’è pochi. Ci saranno state trecento persone ad ascoltare. Chissà se hanno realizzato quanto coraggiosa ed indipendente sia stata l’impresa di Moretti e Barbagallo, – La Sacher – per aver prodotto  i primi Mazzacurati, Luchetti, Calopresti ma anche per aver dimostrato che si può lavorare senza scendere a compromessi. E lavorare bene. Quando spiega di aver voluto finanziare alcuni esordi per ripagare qualcuno della fortuna che avevo avuto, so che è sincero e so anche molto bene che non di fortuna si trattò ma di autentico talento, quello che è di tale evidenza da mettere d’accordo pubblico, critica, illustri colleghi e quant’altri. Fa sempre piacere ascoltare Moretti parlare di politica o di cinema e nell’uno e nell’altro caso, rinvenire i termini di un istinto civile che alle volte sembra essere smarrito. O divenuto talmente démodée da porre dubbi sull’utilità del prosieguo. Allora il dibattito sì. Che aiuta.