Trent’anni dopo
Trent’anni ci sono voluti per approvare, per ora solo alla Camera, un testo di legge che, in ottemperanza a quanto stabilito dall’ONU e dalla Convenzione Europea, condannasse ogni metodo di coercizione fisica o psicologica messo in atto a scopo punitivo o per estorcere informazioni confessioni o per ottenere prove e che definisse col nome di tortura questo insieme di comportamenti.
Complice un’Opinione Pubblica che, nella migliore delle ipotesi, s’indigna a tempo determinato e solo sull’emergenza, i governi – eccettuato Prodi nel 2007 – hanno avuto agio di procrastinare l’approvazione di una legge necessaria, in assenza della quale le parti lese sono state costrette al ricorso alla Corte di Strasburgo.Così è stato per i cittadini malmenati e feriti all’interno della scuola Diaz nel luglio 2001 : tre procedimenti di cui uno solo andato a sentenza. E la sentenza non poteva essere che di condanna al nostro paese.
Trent’anni dunque per arrivare al testo di legge che porta le firme di Manconi, Puppato, Pinotti ed altri e che rispetto all’originaria stesura ha subito tali modifiche da presentare più di un elemento di criticità.
La tortura da reato proprio ovvero tipico del pubblico ufficiale, è diventata reato comune ,ciò significa che se da una parte si allarga il campo di applicazione con aggravanti se l’autore indossa la divisa, dall’altra viene meno, in parte, lo spirito suggerito dalla Convenzione che è quella di specifica tutela dalla violenza del Potere.
E anche se, a ben vedere, una simile formulazione avrebbe egualmente trovato campo di applicazione ai fatti della Diaz, un testo più piano sarebbe stato accolto con meno perplessità.
Ma siamo alle solite : emendare oggi questo disegno significherebbe rinunciare per molto altro tempo ad avere una legge, ergo: buon senso impone di votarla com’è in attesa di tempi migliori.Verrebbe da tirare un respiro di sollievo ma resta il disappunto e l’amarezza per il ritardo e per le circostanze che rendono la nostre formulazioni tecniche sempre meno all’altezza dei nostri stessi standard storici.