I’ts a flaw in the iris

I’ts a flaw in the iris

ChinatownThere’s a flaw in your eye.E’ una delle battute più celebri di Chinatown di Roman Polanski.Jack Nicholson si avvicina a Faye Dunaway e ne scruta l’iride da vicino mentre lei gli medica il naso ferito.I’ts a flaw in the iris.L’immagine del difetto nell’iride annuncia l’occhio deturpato dal colpo di arma da fuoco nel finale.La ripetizione di eventi che hanno analogie di qualche tipo all’interno di un film non è mai una cosa che lo spettatore percepisca come accidentale.E’ una forza tipica dei film quella di stabilire relazioni tra le cose il cui potere è di proiettare un senso sulle cose in generale.Per buona parte del film Nicholson e la Dunaway si scambiano battute micidiali,strumenti di gioco e difesa.Quando finiscono a letto è come se si abbandonassero l’uno all’altra spossati da una lotta giocata quasi esclusivamente sulle parole.Chinatown è un film elegante,una ricostruzione degli anni trenta e del mondo di Dashiell Hammett ma l’apparente noncuranza con la quale viene alimentato lo spessore dei personaggi e dei loro anfratti psichici è in realtà al servizio di una severa disamina di ogni mondo possibile,senza appello o riscatto.Nella fotografia ambrata e nelle raffinate scenografie Polanski dissemina alcune tracce insistenti che solo l’epilogo può decifrare :come la figura dell’iride macchiata di Evelyn e del fanalino infranto di Jake.Il personaggio vittima della più ingiusta delle violenze,muore nel più ingiusto dei modi : il mistero viene risolto ma il potere della violazione e del sopruso sotto l’ordine apparente rimane lo stesso di sempre.Inutile lottare : è Chinatown

ci va una bella forza per lanciare un piano a coda lunga in alto mare

ci va una bella forza per lanciare un piano a coda lunga in alto mare

dansoncover_album

Nutrita rassegna stampa opportunamente pubblicata sul sito degli Avion Travel, avverte che siamo di fronte al capolavoro,al connubio perfetto,all’eccezione delle cover ben riuscite che confermano la regola delle cover che è meglio non fare.Tali elogi unanimemente sperticati potrebbero indurre  al sospetto o quantomeno al timore di aspettative deluse ma….almeno per stavolta  ci si può fidare del giudizio di quelli che ne sanno più di noi.E allora? …Allora …SIJMANDICANDHAPAJIEE…

Danson Metropoli è un disco degli Avion Travel prodotto dalla Sugar s.r.l

Il pranzo di Babette (Les cailles en sarcophage)

Il pranzo di Babette (Les cailles en sarcophage)

Fine del diciannovesimo secolo in una piccola comunità religiosa dello Jutland,un microcosmo fatto di moralismi dove i desideri e gli istinti vengono controllati e compressi, irrompe Babette, ex chef del  Café Anglais di Parigi, risvegliando la passione, le emozioni e il gusto per il bello, attraverso un pranzo che cambierà il destino del villaggio e dei suoi abitanti. Man mano che l’organizzazione e la confezione del banchetto – dalla ricezione delle materie prime, raffinate e sconosciute e delle casse di vino, agli assaggi consumati in cucina ed offerti allo sguattero, fino al pranzo vero e proprio –  procedono, i personaggi sembrano infatti liberarsi da una sorta catena che li lega da anni: cominciano a rivelarsi cose mai dette prima mentre una sconosciuta vitalità  fluisce  nei rapporti tra le persone.Un film sulla generosità,sulla riconoscenza e sul potere dell’arte nel significato più ampio e pieno del termine. Nell’epilogo (Babette ha speso tutto quanto aveva per rendere felici i suoi ospiti e se stessa ) tutto il  senso del racconto :

Alla fine di un altro lungo silenzio Babette fece all’improvviso un sorrisetto, e disse:
” E come potrei tornare a Parigi, mesdames? Io non ho danaro.”
” Non avete danaro?” gridarono le sorelle, come con una bocca sola. “No," disse Babette.
” Ma i diecimila franchi?” chiesero le sorelle, ansimando inorridite.
” I diecimila franchi sono stati spesi, mesdames, ” disse Babette.
Le sorelle si misero a sedere. Per un intero minuto non riuscirono a parlare.
” Ma diecimila franchi?” sussurrò lentamente Martina.
” Che volete, mesdames,” disse Babette, con grande dignità.
« Un pranzo» per dodici al Café Anglais costerebbe diecimila franchi…..
“Cara Babette,” disse con dolcezza, ” non dovevate dar via tutto quanto avevate per noi”.
Babette avvolse le sue padrone in uno sguardo profondo,
uno strano sguardo: non v’era, in fondo ad esso, pietà e forse scherno?
“Per voi?” replicò. “No. Per me.”
Si alzò dal ceppo e si fermò davanti alle sorelle, ritta. “Io sono una grande artista,” disse. Aspettò un momento, poi ripetè: “Sono una grande artista, mesdames.”
Poi, per un pezzo, vi fu in cucina un profondo silenzio.
Allora Martina disse:”E adesso sarete povera per tutta la vita, Babette?”
“Povera?" disse Babette. Sorrise come a se stessa. “No.
Non sarò mai povera. Ho detto che sono una grande artista.
Un grande artista, mesdames, non è mai povero. Abbiamo qualcosa, mesdames, di cui gli altri non sanno nulla.”

*Le cailles en sarcophage insieme alla oggi proibitissima zuppa di tartarughe,sono il piatto forte del pranzo.

Il pranzo di Babette è un film di  Daniel Axel con Stephane Audrane,Ghita Norby,Bibi Anderson, Asta Espere Andersen.Danimarca anno 1987

Tratto dall’omonima  novella di Karen Blixen, ( raccolta Capricci del Destino) si è avvalso dei costumi di Karl Lagerfeld

 

Il risentimento del perdente radicale

Il risentimento del perdente radicale

La bibliografia di Hans Magnus Enzensberger vanta titoli suggestivi come Che noia la poesia.Pronto soccorso per lettori stressati o Dialoghi tra immortali,morti e viventi o La breve estate dell’anarchia.Vita e morte di Buonaventura Durruti oppure Ma dove sono finito.La mia nota è necessariamente breve  poichè per contenere i titoli dell’opera omnia,non basterebbe l’intera pagina di un giornale.Tedesco,classe 1929 animatore insieme a Günter Grass ed Heinrich Böll del Gruppo 47, costituito nella Germania Federale per il rinnovamento della letteratura tedesca,Enzensberger  è una figura di spicco nel panorama culturale europeo,un vero e proprio maître a penser  che non ha mai tralasciato d’ intervenire  nella discussione pubblica esprimendo posizioni quasi sempre in controtendenza.Nel breve saggio Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer, Suhrkamp, 2006 (Uomini del terrore. Saggio sul perdente radicale) pubblicato di recente da Einaudi con il titolo de Il perdente radicale, Hans Magnus Enzesberger mette in relazione gli sterminatori adolescenti di Colombine,gli attentatori suicidi palestinesi,i talebani e i coniugi di Erba, accomunandoli in una unica tipologia  – perdenti radicali  – persone cioè che le vicende del mondo globalizzato ma sempre fondato su una competizione senza esclusione di colpi, ha messo fuori gioco,sospinti ai margini,privato agli occhi degli altri e soprattutto ai propri di ogni valore. A differenza del fallito, rassegnato alla propria sorte, però, il perdente radicale si ritrae in disparte,diventa invisibile,coltiva il suo fantasma,raduna le proprie energie e attende la sua ora.L’ora della resa dei conti .Non limitandosi a patire la propria condizione,si interroga cercando un colpevole e immancabilmente individuandolo nel vicino di casa rumoroso,nel campo di nomadi accampato nel suo quartiere,nello strapotere del Grande Paese o nel Complotto Internazionale.Certo nel suo desiderio di vendetta è un caso singolo , un’ anomalia, ma è un’ anomalia che la contemporaneità riproduce in serie,moltiplica a ritmo vertiginoso  e che va  ad infoltire a dismisura le fila dei perdenti radicali.Cosa accade allora quando questa molteplicità di sconfitte singolari, trova la sponda di un collante ideologico o una comunità pronta a mettere a profitto la valenza distruttiva ed autodistruttiva del perdente radicale?Facile per un intellettuale tedesco pensare subito a Versailles 1919,alla congiura “giudaico bolscevica” contro il popolo germanico e al nazionalsocialismo che speculando sul sentimento di sconfitta trascina  la Germania verso la guerra di sterminio e l’autodistruzione.Sulla scia di questo ragionamento sono anche i signori della guerra e i movimenti armati più o meno affetti da fanatismo o da perdità di realtà,pronti a raccogliere gli sconfitti della storia e della vita quotidiana.Sostiene inoltre  Enzesberger che oggi,tramontata la stagione delle utopie rivoluzionarie,vi è un solo movimento all’altezza dei tempi,capace di far scattare il dispositivo su scala globale con la possibilità di coinvolgere le masse di diversi paesi  ed è l’Islamismo.Esso dispone di tutti i requisiti necessari per trasformare la moltitudine dei perdenti che la globalizzazione dissemina lungo il suo cammino, in forza politico-militare : innanzitutto la frustrazione araba che vive il declino secolare di una civiltà che si era affacciata sul Mediterraneo vincente e innovativa,all’epoca del Califfato,come una intollerabile sconfitta inflitta ai credenti dalle schiere sopraffattrici degli infedeli coloro che non credono in nulla,rinnovata dal colonialismo e dallo Scambio Ineguale.Da ultimo il paragone drasticamente sfavorevole tra le condizioni di vita delle società arabe e quelle opulente dell’Occidente.Tuttavia – argomenta Enzesberger – l’islamismo non può vincere la sua guerra totale ,ponendosi come obiettivo il Califfato Planetario e la distruzione di tutti gl’infedeli e dunque finirà col volgere la sua volontà di distruzione in autodistruzione.Un’intera civiltà starebbe dunque correndo verso l’annientamento non senza aver inflitto al mondo condizioni d’insicurezza e di minaccia capaci di revocare tolleranza diritti e libertà anche nel cuore dell’occidente democratico.E’ un po’ il destino dell’attentatore suicida che di questa generale tragedia è l’ efficace metafora.

Il ragionamento è suggestivo e non privo di verità e riscontri ,tuttavia a me sembra non tenere conto del fatto che oggi  l’Islam non solo mobiliti  le masse con visioni apocalittiche e speranze di Califfato ma persegua nel contempo obiettivi più concreti  – mantenimento di equilibri nel mondo arabo,conservazione di vecchie gerarchie messe in discussione dalla modernizzazione o dal differimento di spazi di potere e autonomia dati dall’immigrazione islamica nel mondo –  l’ottenimento dei quali non è esente da compromessi ed astuzie.Ma pur mantenendo l’impianto suggerito da Enzesberger manca alla sua visione la percezionei di un Occidente egualmente perdente e alla ricerca di un collante ideologico, egualmente minacciato,egualmente irrazionale,egualmente incline a restaurare certezze assolute come rimedio alla propria fragilità, nella convinzione o nel terrore di non poter mantenere a lungo i propri privilegi,la propria opulenza,il proprio stile di vita.E il senso di minaccia invariabilmente si traduce in chiamata alle armi contro nemici che si avvertono e si moltiplicano ovunque, rispetto ai quali si ritiene finanche di dover rinunciare a a Garanzie Democratiche e Stato di Diritto.Oltre il senso di Sconfitta Radicale a me sembra sia il Risentimento a tenere insieme in modo del tutto trasversale le diverse forme d’inimicizia.Risentimento moraleggiante :  una Parte  identifica la ricchezza con la corruzione, l’Altra vive la diversità come un affronto.Da una Parte s’ imparenta con lo Spirito Religioso dall’Altra si traduce in Autoritarismo.Funziona nella dimensione globale come nella violenza privata.E’ il risentimento che tiene insieme i coniugi di Erba e i martiri di Alqaeda,il razzismo della lega e l’antisemitismo arabo,gli elettori di Bush e quelli di Ahmdinejead,i teppisti dello stadio e quelli della tolleranza zero.I poteri grandi e quelli piccoli ,i pastori di greggi e gli strateghi del capitale lo sanno bene e se ne servono a piene mani

Il perdente radicale (Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer) è un libro di Hans Magnus Enzesberger edito da Einaudi

Piazza di Spagna 93

Piazza di Spagna 93

Pino Lancetti03E’ vero che Pino Lancetti nelle sue creazioni guardava, o come preferiva dire  lui, si appoggiava all’arte,lo si capiva dai riferimenti esplicitamente impressi nei tessuti aerei degli abiti da cocktail in cui rivivevano,Picasso,Kandinsky,Matisse, Klimt.Couturier atipico, alla francese, cioè disegnatore e tagliatore (per ogni abito, un centinaio di bozzetti) di una moda artigianale la cui magia nasceva rigorosamente in laboratorio tra ricamatrici e prèmieres e viveva, più che sulle copertine patinate o nelle pubblicità strillate, indosso ad indimenticabili clienti (e non testimonial) :la Begum Salima,Soraya,Audrey Hepburn e Silvana Mangano.Esempio di eccellenza e innovazione nel momento in cui la moda romana cercava un’autonomia dall’ Haute Couture di Parigi e Milano era di là da venire,Lancetti fece parte della nuova generazione di sarti, quella che come i grandi del passato – da Chanel a Schiaparelli – sapeva legare la moda alle diverse espressioni dell’arte.Con lui Mila Schön,Irene Galitzine,Fausto Sarli e un giovanissimo Valentino.Presuntuosi forse, ma in quella sfida c’è stata una ricerca minuziosa di riferimenti che il mondo della moda non ha mai più conosciuto.Nei tardi anni sessanta aveva lanciato per primo la moda militare e con due anni di anticipo su Saint Laurent lo stile Folk, pensando a donne la cui vita stava per cambiare e che non avrebbero mai più avuto il tempo per le classiche quattro prove dell’abito in sartoria . Pino Lancetti mancava dalle passerelle già da anni,con poca convinzione aveva partecipato alla nascita del made in italy,il prêt a porter non era nelle sue corde, come non lo erano le paillettes,gli eccessi,la religione del mercato e la massimizzazione dei profitti.Nel 1999 aveva venduto il suo marchio a due industriali milanesi dei profumi.Tornò alle sfilate  in occasione del Premio alla Carriera ricevuto nel 2000, nel vecchio Ospedale Santo Spirito in lungotevere in Sassia, gli abiti erano ancora belli ma il mito  un po’ appannato da quei jeans serigrafati,prezzo quattro milioni di lire,voluti dai nuovi proprietari.Quell’anno fu assegnato il premio anche a Jean Paul Gaultier e Vivienne Westwood altri due geni creativi poco inclini alle suggestioni dei profitti .Se l’idea di moda artigianale era tramontata, come del resto il suo mondo,tanto valeva tornare alla pittura.Così si ritirò nella sua casa di via del Babuino a pochi metri dallo storico atelier al primo piano di Piazza di Spagna 93.Sarebbe bello rivedere i suoi cento abiti, esposti al Vittoriano qualche tempo fa e assicurati,senza luccicare nemmeno un po’, per cento miliardi di lire.

pino lancetti

Questo è uno degli abiti folk firmati Pino Lancetti (notare la cintura fatta con cordone tapisserie).Ad altri sarebbe stato impossibile accostare simili colori (rosso rosa arancio viola) e ricavarne un insieme armonico.Lui ci riusciva.Crêpe de chine della gonna a intarsi orizzontali lucidi e opachi e taffetà in seta cruda del corpetto, fanno il resto.(notare la fodera della piccola giacca che non è double face, ma, rovesciata, risulta essere senza cuciture visibili, l’interno dell’abito veniva cucito con la medesima accuratezza dell’esterno e interamente foderato, tranne che per gli chiffon,i voiles,i plumetties ,le sete leggere delle gonne.Pino Lancetti01

Ed è tra gli ultimi bozzetti del maestro disegnati per la sfilata di lungotevere in Sassia.