La meglio verità

La meglio verità

 

 

La rassegna stampa di Romanzo di una strage è un mucchietto di fogli alto giusto giusto dieci centimetri,  vi sono contenuti lunghi articoli di critici, intellettuali, storici,testimoni di quel tempo.Ma si parla pochissimo di cinema.

E pur nella dichiarata consapevolezza da parte di ciascuno dei limiti  di un film che in quanto fiction  – differentemente  dal saggio o dal documentario – non fonda  strettamente il proprio valore artistico sulla  tesi che ha scelto d’interpretare (e non di ricostruire),la volontà di confutarne sistematicamente l’attendibilità sembra più forte di qualunque altra considerazione.

 

Segno evidente che dopo oltre quarant’anni, cinque istruttorie, dieci processi, l’apposizione del segreto militare,cinquecentomila documenti archiviati, una sentenza del 2005 che riconosce colpevoli ma non più processabili  i fascisti Freda e Ventura (perché precedentemente assolti in via definitiva) e infine la vergogna dei parenti delle vittime condannati al pagamento delle spese processuali, quel buco là sopra rappresenta uno strappo che nessuna verità processuale è stata in grado di sanare.

 

Piazza Fontana – 12 dicembre 1969 ore 16,37 – la verità esiste, recita la tagline

 

La verità esiste e noi non possiamo più dire io so ma non ho le prove.Per questo ci sono intollerabili talune  riproposizioni : dalla tesi degli opposti estremismi per il tramite della doppia bomba, a quella dell’adombrata implicazione di Pietro Valpreda, fino al fatto che  Giuseppe Pinelli fosse a conoscenza del piano eversivo.Non si può fare a meno, mentre scorrono quelle  immagini, di pensare ai depistaggi, alle sofferenze, al tempo perduto,alla volontà precisa degli uomini dello Stato di non arrivare mai alla verità. Intollerabile lo ripeto. Anche se ben sappiamo che tutto ciò viene raccontato in un romanzo.

 

 

E in chiave di romanzo, forse l’unica forma narrativa che può sopportare una materia tanto dolorosa e cospicua,il film può funzionare e sin assolvere la sua funzione civile che, nel caso, non è raccontare la meglio verità ma provocare utili riflessioni. Ciò che in effetti sta accadendo.

 

La sceneggiatura concerne il tempo che va dal pomeriggio dell’esplosione alla banca fino all’omicidio del commissario Calabresi,  anni percepiti  come disgraziato prologo di quelli  che seguiranno. Filo conduttore : i destini incrociati di tre personaggi, tre vittime oltre le diciassette dell’esplosione : Calabresi, Pinelli e Aldo Moro. Il tutto realizzato con la coerenza e il mestiere che contraddistinguono regista e sceneggiatori in una trama fittissima  che si avvale di attori di gran talento.

 

In tutto questo va precisato con chiarezza che  per quante omissioni, (forse) rimozioni e storture non possiamo fare a meno di registrare,nulla delle vere responsabilità è taciuto : dai neonazisti veneti coperti e manovrati dai Servizi,alle connivenze USA, al tentativo di golpe,il tutto a determinare un contesto storico,sotto questo aspetto, preciso.Il taglio statalistico della strage emerge in tutta la sua tragedia.

 

 

 

Non so se questo film sarà in grado di portare a conoscenza dei fatti  i giovani cui Marco Tullio Giordana sembra destinare il suo lavoro. Forse se si esce dall’idea di una trattazione sistematica – pur necessaria – e ci si sposta su quanto da stimolo possa funzionare un film che attraverso le immagini parla all’inconscio assai più delle parole, ci si accorgerà che l’interesse suscitato è più consistente di quanto possa sembrare.Per parte nostra, qualunque siano le tesi insinuate, sostenute, adombrate, conclamate da film presenti e futuri sulla Strage continueremo a sostenere l’unica Verità che conti e cioè che senz’ombra di dubbio, Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli erano innocenti.


 

 

 

 

 

 

 

 

 

Romanzo di una strage è un film a colori di genere drammatico della durata di 129 min. diretto da Marco Tullio Giordana e interpretato daValerio MastandreaPierfrancesco FavinoMichela Cescon,Laura ChiattiFabrizio GifuniLuigi Lo CascioGiorgio Colangeli,Omero AntonuttiThomas TrabacchiGiorgio Tirabassi.

Prodotto nel 2012 in Italia e distribuito in Italia da 01 Distribution

Niko et les bâtisseurs de cathédrales.

Niko et les bâtisseurs de cathédrales.

 

 

 

Cinque anni dopo, la vallata che faceva da sfondo alla sua affiche elettorale con slogan di punta Ensemble tout devient possible è stata sostituita con il mare (Egeo, assicurano quelli che analizzano le foto)  lui invece è sempre lì che guarda lontano con espressione ispirata  mentre il nuovo proposito la France Forte allude ad un futuro tutto Orgoglio e Identità. 

 

E così trascorsi  i tempi delle stizzose campagne securitarie, riposto l’eloquio poliziesco ed il  Kärcher per ripulire – parole sue – la feccia dalle banlieus, Niko ha affrontato l’ultima platea di giovani militanti dell’UMP a suon di omaggio ai Resistenti, ai Reduci di Auschwitz, al generale De Gaulle, a Victor Hugo, a Baudelaire, ai costruttori di cattedrali – erano anni che nessuno li nominava più – e agli uomini che in Libia bombardarono la colonna di automezzi lealisti fuori le porte di Bengasi, evitando così un massacro.L’eredità del giovane francese è bell’e detta.

 

Un volo d’angelo a sfiorare la crisi, un altro per deprecare i guasti del pensiero unico identificato con l’ interdit d’interdire del maggio sessantotto per poi planare  sull’uditorio oramai soggiogato, con l’esortazione a effetto N’ayez pas peur!  E il riferimento a  Giovanni Paolo II manda in delirio persino Carlà seduta in prima fila e pronta a scattare in piedi al minimo accenno di  armature morale,  progrès, héritiers…

 

Per il resto niente risanamento o crescita, tasse,welfare, lavoro, formazione o regolazione di attività finanziarie,Niko divenuto oramai statista, non solo si guarda ben dal raccontare ciò che ha fatto del suo mandato presidenziale ma i suoi discorsi sono ben lungi dall’esprimere alcunchè su ciò che ha intenzione di fare, se sarà rieletto. Assertivo ma non propositivo, retorico, ridondante e confuso squaderna  il meglio del corredo della Destra  ripulita, con l’aggiunta di qualche tocco di estrosità, particolarmente quando all’esigenza di un nuovo Umanesimo annette il bisogno di un nuovo senso di fratellanza e, a sorpresa, pure d’Amore.Irresistibile quando canta la Marsigliese,ringrazia il parterre e manda tutti a casa a fare i conti con le nuovissime parole d’ordine.

 

Ci vorrebbe un cuore di pietra per non ridere ma per fortuna in Francia ancora resiste la tenerezza, come pure testimonia l’affiche qui sopra che di una discreta galleria di rivisitazioni  è solo un piccolo esempio.

 

 

 

(Foto da LIBÉ)

 

 

La dernière incarnation du sac (sous la coupole blanche)

La dernière incarnation du sac (sous la coupole blanche)

 

Caro lettorato,

 

Oggi niente reintegro , niente calcolo dei resti e premio al miglior perdente nel metodo teutonico-latino, niente film del week end belli ma  invariabilmente rovinati dall’ insulsaggine di eterne polemiche.

 

Ergo niente Monti,niente Camusso,niente Fornero, niente ABC. E niente Marco Tullio Giordana.

 

Il salvifico ricorso alla nuova campagna pubblicitaria targata Dior sotto la cupola  che sovrasta la faraonica sala delle conferenze del PCF  in place du Colonel Fabien, non suoni tuttavia come una defezione – e manco come segno dei tempi, pietà di me – ma se proprio di lettura dovesse esserci bisogno,si parli piuttosto d’insofferenza e tedio con caduta delle braccia.

 

In attesa che tutto torni come prima …voilà la dernière incarnation du sac Lady Dior, porté par l’actrice Marion Cotillard.Una scelta –  come avverte Libèration, fornitore della notizia di cui all’oggetto –  dettata più dall’ esthétique  che dalla politique (e vedi un po’), dato che i materiali  – rafia e coccodrillo – di evidente influence ethnique, richiamano il movimento delle tessere metalliche con le quali è ricoperta la cupola (bah). Un po’ di bêtise e d’aria fresca, non potranno che giovare agli animi esulcerati da dibattito pubblico compulsivo.(Georges, non ti agitare troppo nel sacello)

à bientôt 

 

Foto sopra da Libè,la cupola è realizzata dall’architetto brasiliano Oscar Niemeyer.

Qui sotto, al naturale, fotografata da Bratan

 

 

 

 

 

Diciassette (senza più censura)

Diciassette (senza più censura)

 

 

 

Oltrepassare indenni  la linea d’ombra può, per  le 17 filles della Semaine de la Critique di Cannes e di Torino filmfestival,  essere impegnativo ma non tanto quanto  è stato superare l’esame della commissione di censura che ne aveva, in un primo momento, vietato la visione ai minori di 14 anni con il pretesto del classico spinello – marginale ed irrilevante, in una storia di liceali – possibile corruttore di adolescenti.

In realtà i motivi erano i soliti : l’identificazione con i modelli proposti avrebbe potuto ispirare determinati comportamenti in ragazze troppo giovani.Istigazione alla gravidanza insomma.Ridicolo.Come fu ridicolo, in altre circostanze,  credere che storie di  terrorismo, malavita o altro potessero indurre gli spettatori di qualsiasi età  a costituire bande armate appena usciti dalla sala.

 

Fortunatamente per noi, un po’ l’indignazione generale, un po’ la discesa in campo del fronte laico cinematografico anti-abortista – si riconoscono per l’abuso di due aggettivi : fresco e allegro – già attivissimo nella celebrazione di lavori che mostrano la scelta dell’aborto per quel che è – sempre dolorosa,sempre difficile –  ha indotto la commissione a togliere il divieto.

 

In realtà la vicenda di queste diciassette adolescenti  di Lorient che decidono di darsi un progetto di vita in un contesto che quanto a prospettive offre quasi niente, mostra semplicemente che l’autodeterminazione  non ha colori,  facce, paradigmi. Ergo: queste ragazze fresche e allegre – ma si può?- sono giovani donne che hanno compiuto una scelta assumendosene le ricadute.Laddove è apprezzabile non tanto la scelta di per sé ma la libertà di scegliere.

 

Storia – realmente accaduta negli Stati Uniti – di diciassette ragazze che fecero l’impresa  decidendo di rimanere incinte e di crescere i propri bambini tutte insieme. E soprattutto  di quanto può accadere nel momento in cui, una simile determinazione cogliendo in contropiede un ambiente sostanzialmente immobile, rende tutto e tutti inadeguati : genitori,insegnanti sociologi e immancabile televisione che realizza  l’inchiesta.

 

Voce narrante – di una coetanea  che non ha seguito le altre – a rendere il tutto con il giusto distacco ma macchine da presa curiose e indiscrete nell’annotazione puntuale dei particolari : si filmano gli ambienti ma anche i corpi che cambiano in un flusso e riflusso continuo che racconta la dinamica del gruppo con esattezza.

Epilogo congruo e malinconico q.b dato il tentativo di costruire un’utopia collettiva con i mezzi che si hanno a disposizione.Bella prova delle esordienti sorelle Coulin alla regia.Giovani attrici bravissime a coronare degnamente  il tutto.

 

 

 

17 ragazze (17 filles) del 2011, diretto daDelphine CoulinMuriel Coulin e interpretato da Louise Grinberg,Juliette DarcheRoxane DuranEsther GarrelYara Pilartz,Solène RigotNoémie LvovskyFlorence Thomassin. Francia 2011 Distributore Teodora

Quel pasticciaccio brutto al tavolo del lavoro

Quel pasticciaccio brutto al tavolo del lavoro

 

Dirò subito di non aver mai pensato all’ articolo 18 come reale ostacolo agli investitori ma nemmeno che la sua abolizione potesse produrre stuoli di licenziamenti. Ne’ che fosse un baluardo contro l’abuso, ne’ che il reintegro,una volta ottenuto, diventasse una faccenda così impossibile da gestire. Ne’ ho creduto ad alcun altro degli  scenari da tregenda, da chiunque prospettato a sostegno di una posizione ovvero di un’altra  

 

E sempre a proposito di esasperazioni,  dirò  come la pessima gestione del negoziato sulla riforma del lavoro, appuntando l’attenzione quasi esclusivamente sui possibili licenziamenti, tra polemiche,cattiva informazione e dichiarazioni strumentali, abbia solo messo in allarme migliaia di cittadini, estromesso  (tanto per cambiare) dalla trattativa sia la questione delle lavoratrici  madri che quella dell’occupazione femminile, lasciando,infine, irrisolto il problema delle  fattispecie contrattuali in eccesso.

 

Responsabili del pasticcio :  i convenuti. Dal Governo alle parti sociali, tutti scarsamente versati a ricercare la sintesi e incapaci,nella migliore delle ipotesi, di trasformare la rigidità in fermezza.

 

Alla fine della fiera, si vorrebbe eliminare un deterrente  (art 18)  per introdurne un altro (maggior costo del lavoro nei casi di contratti flessibili).Si plaude (giustamente) all’estensione degli ammortizzatori sociali ma i tempi di attuazione sono troppo lunghi e differenziati rispetto al resto, col concreto rischio di  produrre disagi, quantomeno in partenza.

 

La filosofia della riforma doveva essere un’ altra, in quella  la rimessa a punto dell’articolo 18 sarebbe stato un aspetto secondario.Invece ne è divenuto il cuore,il fortino da espugnare o da difendere.A scelta.

 

Diciamo allora di aver sprecato un’occasione, a riprova di qualche vecchio convincimento su certe riforme da non  lasciare in altre mani che in quelle delle forze progressiste. Cambiando velocemente il mondo, la difesa dei Principi non può essere affidata a logiche conservatrici , pena, tanto per non rimaner sul vago, l’ essere costretti a scrivere questa pagina, d’altronde necessaria, della riforma del lavoro, tardivamente, in epoca di recessione e sotto schiaffo di ricatti assortiti. Inevitabile il triplo salto mortale con avvitamento per mantenerli integri quei Principi.E sacrifici per i soliti.

 

Una trattativa che verte su aspetti simbolici  piuttosto che mettere a tema  partite e contropartite, si può dire fallimentare in partenza.E anche questa continua a correre seri rischi.Poichè è possibile che non basteranno gli sforzi e le mediazioni :  il non ricorso al Decreto  che consente la discussione parlamentare o la proposta di trattare il reintegro col sistema tedesco.

 

Una volta in Parlamento servono i numeri.E quelli,a meno di un miracolo, non ci sono.

 

Per una settimana siamo tornati ad essere il paese che eravamo : inconcludenti,ridicolmente, ideologici,resistenti ad ogni tipo di innovazione. Vedremo se la prossima, ci porterà più vicini al paese che speriamo di diventare.