Ex ante (squilibri di potere)

Ex ante (squilibri di potere)

 

(Oscar 1999, quello di Shakespeare, Elisabetta I, Benigni, nonché di un contestato, da una parte della platea, premio alla carriera ad Elia Kazan. Ma è anche la serata di Harvey Weinstein (i suoi film faranno incetta di statuette). Presenta lo show  una  esilarante Whoopy Goldberg (qui sopra negli improbabili panni di Elisabetta I) . Nel congedarsi  raccomanderà ai produttori di tenere un comportamento responsabile nel  corso del party che seguirà la cerimonia. Risate, ammiccamenti, applausi. Tutti sapevano? Certo che sì)

 

E’ una storia vecchia : forte del proprio ruolo, il produttore riceve (in luoghi solitamente non deputati alla trattativa professionale)  la sua vittima resa docile e insicura  dall’ansia di carriera (in un mondo e in un Paese, si badi, in cui l’ambizione è una sorta di dovere civico) per poi  speculare sull’obiettivo stato di debolezza  della malcapitata, cioè  sull’ignoranza di sé  e  sulla scarsa fiducia nelle proprie capacità di farcela senza sponsor.

Chiasso di quest’ultimo mese a parte, il nodo da sciogliere sta tutto nel modello di potere, cioè di relazione tra i sessi di cui le richieste di prestazioni sessuali contro favori  sono una potente metafora. Liquidare il tutto come una dinamica tra i generi non porta lontano.

Se il tema fosse stato fin da subito il Potere invece che il Sesso, ci saremmo risparmiati ogni paradosso, ogni sospetto che la oramai quotidiana lista di molestatori e molestate, con corollari di dietrologie a piacere, altro non fosse  se non l’ennesima voyeristica occasione di sensazionali racconti dai dettagli morbosi.

Per non parlare dello sconfinato tribunale autoconvocatosi per decidere se le vittime lo siano poi davvero o se l’intempestività della denunzia possa, alimentando dubbi a non finire, inficiare la gravità dell’accaduto.

Se sono gli squilibri di potere il perimetro all’interno del quale avviene la domanda di rapporti sessuali indesiderati, la violenza è manifesta. L’espressione adulti consenzienti  in simili circostanze non ha senso.

Come pure non ha senso  scambiare quel che si sta muovendo intorno a questa storia per Azione Collettiva o anche solo per una sorta di colossale e liberatoria Pratica di Autocoscienza. Le denunzie fanno bene alla Causa e sono senz’altro liberatorie ma se si fermano ai too me e ai quella volta che restano confinate nell’ambito fuorviante delle  sole parole.

Spenti i riflettori, accesi esclusivamente a causa della notorietà dei personaggi, di tutto ciò rimarrà ben poco, come sempre accade da quando noi tutti, diventati bravissimi ad esercitare il Diritto all’Indignazione ex post, siamo altrettanto incapaci  di passare dalle parole ai fatti.

Invece il punto sta proprio ex ante. Per esempio nel non irridere, come sovente accade, ogni richiesta di parità salariale o di accesso a risorse o a professioni quasi esclusivamente maschili proveniente da quel mondo, come se registe, sceneggiatrici, produttrici, dessero in smanie da privilegiate piuttosto che rivendicare il diritto a raccontare loro la Storia, con modalità proprie.

E invece la narrazione al maschile continua a farla da padrona anche in questa circostanza, tra le pieghe del come, del dove, del quando e del quanto, nell’illusione che questo gigantesco battibecco  basti a determinare un proficuo confronto mentre invece la sensazione è che si stia scivolando pian pianino su una china di inutile quanto deleterio puritanesimo.

La sfida è enorme altro che bimba io farò di te una stella, poiché non si tratta solo di mettere insieme buone leggi, processi giusti e rapidi o interventi educativi nelle scuole ma di un radicale cambio di passo : la salvaguardia della dignità femminile non può non passare per una rivoluzione a partire dal ruolo della donna nel mondo del lavoro né sarà possibile porre fine allo sconcio delle molestie se gli uomini non si decideranno a fare i conti con la natura del proprio Desiderio.

Un’ultima notazione s’impone sul diritto di ciascuno a porre domande, azzardare letture differenti da quella corrente che bolla vittime e carnefici secondo uno stereotipo già in affanno più di cento anni fa. I rapporti umani sono complessi e vanno maneggiati con cura senza che questo significhi automaticamente l’inclusione nel novero degli zerbini con cui il patriarcato si pulisce abitualmente gli scarponi.Il che avviene ogni volta che pur dato per scontato lo stigma ci si addentri nelle questioni con un minimo di spirito critico.

 

 

 

 

Del nostro meglio

Del nostro meglio

Che Salvini parli di Cinema può anche non destare scandalo in un universo in cui  la conoscenza approfondita (ma anche minima) di qualsiasi materia non è requisito fondamentale per esternazioni e dibattiti. Certo se alla filmografia di riferimento leghista appartiene roba come Barbarossa – con tutto quel che significò, all’epoca, in termini di pasticci, intercettazioni, pressioni della politica,visite di Bossi sul set  e box office piangente –   le cose cambiano. Diciamo che Matteo Salvini non ha quel che si dice un gusto impeccabile in materia  e che non sente il bisogno di vedere i film prima di parlarne. E  diciamo pure che nel reclamare al Grande Cinema Italiano il  di meglio da proporre è racchiusa un’ignoranza di altro segno, di quelle che non si colmano solo con la conoscenza specifica.

Giacché questo è esattamente il nostro meglio e non solo perché lo dicono Scorsese o i selezionatori della Quinzaine des Réalisateurs a Cannes (non precisamente gli ultimi arrivati, ma che fa? Un colpo di sonno collettivo potrebbe essere capitato anche a loro)) ma perché uno sguardo differente sulla realtà ha del meraviglioso come una perfetta inquadratura ed è esattamente il tratto distintivo del Grande Cinema Italiano quando decide di smetterla con i garibaldini al convento per occuparsi di ladri di biciclette.

Anche allora la Politica ebbe da ridire. Un altro tratto deprimente del Costume Nazionale.

A Ciambra è il nome di una comunità rom di Gioia Tauro (il territorio è quello di Rosarno, per intenderci). Jonas Carpignano, in una modalità ben calibrata tra finzione e documentario mostra senza giudicare ( è questo che non va?) ma anche senza intenti sociologici (altra pecca?) la vicenda di Pio Amato quattordicenne  che si ritrova ad essere capofamiglia dopo l’arresto del padre e del fratello. Una sorta di linea d’ombra fatta di furti, relazioni familiari, rapporti con la comunità dei neri (negri & zingari, al povero Salvini sarà preso un attacco)

Senza sociologia, giudizio morale e soprattutto senza Redenzione si può parlare di Grande Cinema? Speriamo di si.

Un apprezzamento dunque per la commissione dell’Anica che ha designato il film di Jonathan Carpignano in rappresentanza del cinema italiano agli Academy Awards 2018.Una scelta coraggiosa, se si pensa ai temibili concorrenti nella sezione film stranieri e all’imprevedibilità della giuria.Ma un film, in quella circostanza, dovrebbe rappresentare il paese in cui è stato prodotto. E come Fuocoammare (altro strambuglione per i razzisti)  questo film è proprio parte di Noi. Salvini ingoi il rospo (e le ruspe).

 

 

A Ciambra è un film  di Jonas Carpignano 2017  con Pio AmatoKoudous Seihon. Titolo originale: A Ciambra. Genere Drammatico – ItaliaFranciaGermania2017durata 117 minuti.  distribuito da Academy Two.

Bring me the anatomy book !

Bring me the anatomy book !

( The Beguiled di  Sofia Coppola ha un illustre predecessore : Don Siegel che realizzò nel 1971 un film con analogo titolo e analogamente tratto dal libro A Painted Devil  di Thomas Cullinan. Coppola ha precisato di non aver voluto fare un  remake ma di essersi ispirata semplicemente al libro. Tuttavia, “La notte brava del soldato Jonathan”   è un film talmente importante che non è giusto dimenticarsene. E questo non tanto per fare improponibili paragoni ma per capire come  il racconto può evolversi attraverso un semplice cambio di prospettiva. Lì un uomo al centro della scena, qui un gruppo di donne. Dopo 46 anni non poteva essere che così)

Sosteneva  Don Siegel a proposito del suo The Beguiled  che Le donne sono capaci di ingannare, rubare, assassinare. Di fare ogni cosa. Dietro la maschera di innocenza nascondono la malvagità di un mafioso. Le ragazze più innocue possono essere killer” (Stessa ambientazione, stessa epoca, stessi disastri da guerra fuori della porta di casa, il concetto era stato già chiarito ampiamente da Rossella & Melania in una pellicola del 1939, ovvero molto tempo  prima che  intervenissero Siegel e  il soldato Jonathan con le loro  notti brave)

Ma se le donne con la loro subdola doppiezza sono capaci delle azioni più nefande, la vanità maschile ne combina, e su scala assai più vasta, anche di peggio. Dunque, ristabiliti pesi e contrappesi,  possiamo serenamente concludere che la lettura femminista qui non serve a molto, mentre il rovesciamento del punto di vista narrativo operato da Sofia Coppola sembra  offrire una chiave più interessante laddove il punto di vista femminile non ha necessariamente a che fare col femminismo in senso stretto (tremate,tremate, sono passati i decenni, certa critica sta ancora tremando?)

Guerra di secessione, un collegio femminile – tutto  Confederate States Army & diletta bandiera –   in cui si continuano ad insegnare francese, buone maniere e punti perfetti. Sette donne che devono però anche provvedere a se stesse (non c’è ombra di servitù, nemmeno Hallie, l’unica schiava nera che Siegel aveva immaginato fiera e convintamente sudista).

Nel microcosmo, soccorso da una delle ragazzine in cerca di funghi, s’introduce il caporale nordista Mc Burney gravemente ferito che viene portato all’interno della casa curato ripulito e rifocillato non senza dilemmi di appartenenza via via fugati dalla cortesia  del soldato  ( It’s seems the enemy… it’s not what we believed)

Inevitabilmente la presenza maschile attiva comportamenti seduttivi, ciascuna a proprio modo, e dinamiche di rivalità, il caro John dà i resti un po’ a tutte come si conviene ad un vero oggetto del desiderio o gallo del pollaio o quel che sia  ma  viene scoperto sul fatto (erotico) e punito nientedimeno con una non necessaria amputazione della gamba.

What have you done to me, you vengeful bitches ?  (e che t’aspettavi?) l’urlo rimbalza per la casa e qui viene il bello : il fascino seduttore si trasforma in arroganza e minacce ricomponendo dissidi e competizioni. La coalizione al femminile ritorna. E per John saranno amarissimi cavoli.

Del resto : We can show ‘em some really Southern hospitality.  Aveva annunciato all’inizio una delle ragazze. Promessa mantenuta.

Minuziosa nel definire i caratteri femminili e le ambientazioni, Sofia Coppola, coadiuvata da un cast e da un direttore della fotografia davvero eccezionali, si riconferma  regista di gran classe, capace di usare con disinvoltura tradizione (gira in 35 mm) e innovazione. Palma d’oro per la regia a Cannes 2017. Strameritata.

l’Inganno è un film di  Sofia Coppola. 2017 con Colin FarrellNicole KidmanKirsten DunstElle FanningOona Laurence.Titolo originale: The Beguiled. Genere Drammatico – USA2017durata 91 minuti. Distribuito da Universal Pictures. in 360 copie

Vedi Napoli.

Vedi Napoli.

Vedi Napoli (e dammi retta :  evita accuratamente le discussioni sul “gomorrismo” e, già che ci sei, anche le incredibili polemiche del Codacons su come dev’essere l’immagine di Napoli nel mondo). A tal proposito avrei volentieri mostrato la foto di scena con Pino Mauro seduto su ‘nu trono e cuorni  (un trono di corni) in mezzo a Piazza Plebiscito mentre  canta Chiagne femmena, (di Raiz-Nelson : un pezzone) ma non l’ho trovata. Il significativo cameo è inserito nel film dei Manetti Bros Ammore e Malavita, rivisitazione della sceneggiata  in chiave musical  e completa di tutti gli ingredienti del caso : amore, passioni, intrighi, azione, scene madri, Isso Essa e molti Malamenti, splatter q.b più musica e coreografie quando e soprattutto dove meno te le aspetti. Inutile dire che a partire dalle prime inquadrature con visita  alle Vele di Scampia manco fossero i Musei Vaticani  – questa è un’esperienza turistica definitiva! Chiosa gridando il tour operator – è tutta una parodia, una presa in giro dello stereotipo televisivo/cinematografico. La risposta a Thriller di Michael Jackson, assicurano i Manetti  (per me,  un sincero “vatti a nascondere” a La-la-land)

Veleni (inevitabilmente). Quando si parla di eccessi narrativi si dovrebbe tener conto che  applicare levità e sorrisi a determinati temi è praticamente impossibile. Così è per i rifiuti tossici e  per le orribili conseguenze che gli abitanti dei territori avvelenati subiscono . Veleno è il racconto del campo assediato da biechi speculatori che ne vorrebbero fare una discarica e del dilemma dei proprietari tra il  restare (lavorando e combattendo) o l’accettare la ricca via di fuga offerta dai criminali. Fuga beninteso dalla fatica mal ricompensata, dal dolore, dalla morte e dalle intimidazioni. Sarà anche vagamente televisiva la regia di Olivares e un po’ di maniera la stesura, tuttavia questo bel film è una discreta  prova di come si possa aiutare a capire quel che a distanza non si può nemmeno immaginare. Incisiva la recitazione degli attori  tutta curiosamente fuori dagli abituali registri. Musica di Enzo Gragnaniello.

Ma non è tutto,  tornando al cartellone veneziano, la cospicua presenza di film napoletani – da L’Equilibrio di Vincenzo Marra a  “Nato a Casal di Principe” a Malamenti di Francesco Di Leva, a “La chimera” del Comitato Vele per finire con l’originalissima “Gatta Cenerentola” – segnala che la tradizione avviatasi in città con la stessa nascita del Cinema prosegue e si rinnova con i laboratori, le scuole di cinema, i dipartimenti universitari e produce discreti risultati. Credo che poche città possano vantare una simile attività. Quanto ai temi apocalittici che animano le polemiche gli stessi  sono ampiamente bilanciati dal filone comico che vanta esponenti come Salemme, Siani etc. L’intrattenimento leggero è salvo. Il botteghino pure.

Ammore e malavita è un film  di Antonio ManettiMarco Manetti. Un film con Giampaolo MorelliSerena RossiClaudia GeriniCarlo BuccirossoRaiz. Titolo internazionale: Love and Bullets. Genere Musical, – Italia2017durata 134 minuti distribuito da 01 Distribution.

Tutti i mostri, le madri, gli anziani e i cattivi della Laguna

Tutti i mostri, le madri, gli anziani e i cattivi della Laguna

I mostri siamo noi . Noi che vessiamo, emarginiamo, torturiamo dileggiamo i diversi. E fin qui niente di nuovo : da Tod Browning a Walt Disney passando per Jack Arnold, cinematograficamente è tutta una lettura filomostruosa. Rincara Guillelmo del Toro con la storia d’amore tra una creatura acquatica –  anfibia, per la precisione –  e la cleaner  del laboratorio scientifico in cui è tenuto prigioniero il mostro . Lui ha tutti, ma proprio tutti gli attributi, incluso  l’apparato che gli consentirà di dare un senso alla liaison sospingendola con i suoi modi garbati  fuori dalle secche delle carinerie e degli sguardi innamorati. Lei  è muta, il che rafforza l’approccio comunicativo a mezzo stratagemmi espressivi  (se poi lei  è Sally Hawkins il gioco è fatto). Film bello in senso proprio e formalmente ineccepibile , con bravi attori e molte citazioni cinefile correndo dietro alle quali ci si può anche perdere. A molti spettatori  del resto piace il Ripasso della Storia del Cinema. Ed eccoli accontentati. Il resto è  guerra fredda, malvagi, colleghe di colore e amici gay discriminati sul lavoro. Condivido il giudizio estetico, apprezzo la regia, comprendo il Leone d’oro ma non mi unisco al coro degli emozionati per la delicata storia di amore e sesso tra diversi.

Donald, dopo la pausa Obama si ricomincia.Il percorso è segnato fin dai tempi di Bush figlio : registi, attori, produttori, star e starlette approfittano della visibilità offerta dai festival per lanciare  invettive e appelli sul Pessimo Stato in cui versa l’Unione poi, intorno alla metà mandato (presidenziale), passano alle vie di fatto dirigendo, interpretando, producendo film sconsolati di aperta denuncia che nella disperazione generale del paese allo sbando possono anche degenerare in apocalittici horror  quando non in sanguinolenti splatter (è già successo)

 

Clooney. Apre le danze il caro George in compagnia della piuccheperfetta consorte determinando entrambi un delirio di ciance su capelli e vestiti e scarpe (cosa sarebbero i festival senza glamour, ma poi bisognerebbe anche trovare il modo per parlare di Cinema). Il film di cui è regista ha subito una complicata gestazione ed è la storia di un tipico e ridente quartiere residenziale americano negli anni cinquanta,  Suburbicon appunto,  la cui tranquilla  esistenza viene turbata dall’arrivo di una famiglia di colore. Script dei fratelli Coen e regia di Clooney : la tripletta funziona, George regista è meno immaginifico di Joel e Ethan ma qui la sceneggiatura prevale e i tratti tipici della Premiata Ditta sono ben visibili e quasi integri. Ma la notiziona è che George non vuole fare il presidente degli Stati Uniti (per ora)

 

Madri – Non sono il mio tema prediletto (abusato quindi potenzialmente a rischio e infine riduttivo) soprattutto quando il lato materno diventa punto di vista pressoché unico sulla femminilità ma, a parte questa notazione di gusto, amorevole, anaffettiva o indifferente  che sia, c’è madre cinematografica  e madre cinematografica. La Mildred Hayes per esempio interpretata dalla gigantessa Frances McDormand è assolutamente fuori da tutti gli schemi, molto per scrittura (Martin McDonagh che ha infatti  portato a casa il Leone della miglior sceneggiatura) moltissimo per una recitazione calibrata quantunque messa a dura prova dal dover rendere disperazione, istinto di vendetta e  sensi di colpa senza ricorso a trucco del mestiere alcuno. Altra madre alle prese questa volta con l’impossibilità di esserlo dovendo vendere ad altri genitori impossibilitati i figli che appositamente partorisce (dramma su dramma) è Micaela Ramazzotti. Brava e diligente come sempre senza però disporre di una sceneggiatura e di un dialogo all’altezza del tema. (Peccato). Velo pietoso su Jennifer Lawrence. Tutti quelli che hanno detto, e sono parecchi, che Darren Aronofsky» ha sbagliato il film hanno ragione.

Anche basta.  Prima che le trame  con, degli, e sugli anziani diventino genere, facciamo qualcosa. Avviatosi con Amour il filone non accenna a estinguersi e sebbene  alcune prove, prima ancora di Venezia 74, assai  rimarchevoli abbiano incoraggiato il prosieguo, il terrore è che il filone, esaurendosi con l’andar del tempo, ci regali mappazzoni  ( esempio : non ti ricordi come si fa ? Prenditi il tuo tempo detto all’indirizzo di Redford, cara Fonda, carissimi sceneggiatori, nun se po’ sentì) mielosi  ridicoli ed indigesti sulla quarta, quinta e forse sesta età. Senza contare i prevedibili a volte ritornano dei sequel e i c’era una volta dei prequel. Adorabili dunque Sutherland, Mirren, Fonda, Redford, Dench Ma come disse Quello : anche basta. E considerato il fatto che ognuno di questi superbi attori appartiene ad una generazione che, ovunque si trovi, qualunque cosa faccia, non  schioda manco a cannonate, un provvedimento s’impone. Avete raccontato la rivoluzione, ora fate un po’ di silenzio. Magari raccontate quello. Non fosse altro per evitare che il prossimo premio al cinema del futuro lo incassi un qualche emergente oramai brizzolato.