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Commenti Zero

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Zero Comments

Tracciando una teoria generale dei blog e dei social network traspare l’emergere di una cultura narcisista, decadente e nichilista, destinata a sgretolare un’industria dell’informazione e dell’intrattenimento ormai al capolinea.Questo, il piatto forte servito da Zero Comments, libro di Geert Lovink ,teorico olandese e critico della Rete presso l’Institute of Network Cultures di Amsterdam.Ora, con avvertenza che nichilismo è un termine che va inteso non nel senso di assenza di significato, ma di riconoscimento di una pluralità di significati, Lovink sostiene che l’aspetto nichilista emerge quando questo tipo di comunicazione si confronta con quello dei media mainstream che ancora rivendicano di rappresentare il loro pubblico. I blogger non rappresentano altro che se stessi. E in questo senso livellano, azzerano le strutture centralizzate di senso. Le autorità, dal Papa ai partiti alla stampa, non influenzano più la nostra visione del mondo. Sempre più persone si allontanano dai ‘vecchi media’ quando sono alla ricerca di senso, informazione, intrattenimento.Mi fermo qui, anche se sono affascinanti le  ipotesi sul blogroll come strumento che riesce ad esprimere solo accordo, o quelle sul software che,lontano dall’essere un semplice  dettaglio, adeguatamente strutturato, favorisce una maggiore interazione. Devo dire però  che durante tutta la lettura mi è stato difficile rinunziare a  continui riferimenti alla realtà, così come la conosco io,la quale è senz’altro riconducibile a qualcuna delle osservazioni del libro ma che parla anche di blogger che utilizzano in massima parte , i media mainstream, che non è tanto la diffusa autoreferenzialità a infastidire (tutte le comunità un po’ lo sono) piuttosto  il meccanismo di autosegregazione e conflittualità per il quale  ci si frequenta solo tra chi è già d’accordo, generando fenomeni di groupthink, il meccanismo psicosociale che impedisce non solo di capire ma persino di vedere un punto di vista diverso dal proprio.Non si argomenta per convincere ed ascoltare ma si esibiscono certezze.E’ il risvolto negativo dell’eccesso di identità che mentre rafforza una comunità erige barriere  contro chi non ne fa parte, siano essi tifosi di calcio,che appartenenti ad una medesima regione, per finire a quelli con la pelle di un altro colore.Tutto questo fa dei blog luoghi di cinguettante consenso, di citazioni reciproche che diventano costruzione di reputazione in un universo ristretto.L’esatto opposto dell’intento originario di Internet :  non parlare per parlare ma parlare in una sorta di interazione aperta,in cui ci si accapiglia pure, ma allo scopo di cambiare lo stato delle cose.

 

 

Benvenuta nella gabbia delle scimmie

Benvenuta nella gabbia delle scimmie

Kurt57388285_7644912ca4Faccio lo scrittore dal 1949.Sono un autodidatta.Non ho teorie sulla scrittura che potrebbero essere di aiuto agli altri.Quando scrivo divento semplicemente  ciò che sembra che io debba diventare.Sono alto sei piedi e due pollici e peso circa duecento libbre e non sono molto coordinato,se non quando nuoto.Tutta quella carne presa a prestito scrive.

 Kurt Vonnegut Prefazione (ed autopresentazione) alla raccolta Benvenuta nella gabbia delle scimmie

La stupidità della burocrazia e l’ottuso sadismo del potere hanno trasformato il mondo in un incubo contro cui si battono eroi da operetta.Si tratta di  uno dei più riusciti intrecci di Vonnegut che nella dimensione del racconto breve metteva più che mai a profitto le sue migliori qualità di creatore  di trame insolitamente affascinanti, ricche di digressioni ironiche e solo apparentemente assurde.Dei suoi molti romanzi di mi piace ricordare questa raccolta e la sua gustosissima appendice Come scrivere con stile

La casa della vita

La casa della vita

La casa della vita ,bellissimo libro dell’anglista  e  critico Mario Praz, usci nella sua seconda edizione, mentre anche io (assai più modestamente)  mettevo su casa” in  piazza Capranica,uno slargo che si apre nei vicoli,tra piazza del Pantheon e  piazza Montecitorio.L’appartamento di proprietà del Sacro Collegio Romano era in cima ad una specie di torretta ,assai bello, ovvero rispondente a quelli che allora (e forse ancora), erano i miei canoni estetici (travi a vista, finestroni e finestrelle, indivisibilità razionale degli ambienti, ed una scala interna che non portava da nessuna parte ma che successivamente servì, munita di cuscini da salotto verticale ed incomunicabile visto che le persone vi si accomodavano ma non potevano guardarsi in faccia pena scomode torsioni).Anche se infestato dalle pulci e da altri insetti, il cui allontanamento definitivo costò una robusta opera di disinfestazione,  prima dell’arrivo dei pochi mobili ,per me la casa di piazza Capranica, rimarrà invariabilmente legata alla lettura delle cinquecento pagine interamente dedicate ai mobili agli oggetti ai dipinti e alle sculture che Praz aveva collezionato nell’arco della vita.Collezionato è una parola fortemente riduttiva,lo si capisce bene ancor oggi visitando a palazzo Primoli quella casa che,grazie alla generosa donazione che il Professore ne fece dopo la sua morte, è diventato il museo meno museale che ci sia.Pur non mancando gli ambienti di consistente dispiego di mobili Impero,di dipinti,di sculture e finissime porcellane…quella casa ha mantenuto lo stesso aspetto confortevole e vissuto di quando vi abitava il Maestro.La sua idea di abitazione – compendio di oggetti percepiti come tanti minuscoli regni che scortano silenziosamente e fedelmente la vita di una persona e della sua famiglia, mi sembrava assolutamente rispondente alla mia concezione ma soprattutto al forte rimpianto che guerra e deportazione aveva lasciato nella mia famiglia a causa della perdita di oggetti cari o utili o semplicemente ritenuti belli dai proprietari. Gli uomini passano e i mobili, rimangono a evocare coloro che non sono più. Alla mia famiglia era rimasto non moltissimo per evocare ma è sempre stato nelle mie aspirazioni, circondarmi di quel poco per rivitalizzare i tappeti calpestandoli, stipare la libreria con nuovi testi, cucinare nelle vecchie pentole, servire pietanze nelle zuppiere troppo grandi e sfogliare i libri scritti dal prozio velleitario, imitatore ora di Pitigrilli ora di Dannunzio. Non è per questo forte desiderio di rianimare che è  mai stato mortifero il senso di pletora che ha sempre accompagnato le mie case. Piuttosto sul Passato inteso come roba vecchia ed ammuffita, ha sempre prevalso la voglia di ricordare i Miei, di mischiare il mio Disordine col Cipiglio delle nonne, le mie idee balzane con quelle minutamente scritte e organizzate nei quaderni di sconosciuti aspiranti (poeti, giuristi e chissà cos’altro).

 Ma per tornare a Praz il suo libro, è importante e davvero da non perdere, soprattutto il ricco corredo di foto è degno di attenzione. Attraverso la descrizione di ogni stanza non solo è raccontata l’avventura  di uno studioso, intensa e mirabolante ma anche i piccoli episodi relativi alla ricerca e alla sistemazione degli arredi, delle opere d’arte, nonché le circostanze in cui furono scritti alcuni dei suoi saggi. Inoltre questa casa in stile impero riesce ad essere totalmente immersa nella contemporaneità dell’autore che non tralascia di riferire di fatti storici e di costume relativi al proprio vissuto. Luchino Visconti prendendo le mosse da Scene di Conversazione di Praz scrisse il suo film Ritratto di famiglia in un interno. Casa e vecchio professore ne sono gl’indistinguibili ispiratori.

Il ritratto è intitolato “La fanciulla dei canarini” di Elizabeth Chaudet.Occupa la “Camera di Lucia”,la stanza da letto e di giochi della figlia di Mario Praz. Questo ambiente al quale è dedicato un capitolo piuttosto denso del libro, con rievocazioni a volo d’angelo che toccano il sindaco Nathan,i Fratelli Rosselli,o le prime volte al cinematografo ma soprattutto ove si racconta il tenero rapporto con Lucia bambina e di struggenti commiati  tra padre e figlia contiene inoltre una bellissima  barcellonette una culla con l’interno di velluto capitonnée che somiglia molto a quella del Re di Roma custodita a Fontainbleu.

Tra le due finestre del salone sono stati sistemati trofei d’armi intorno ad un quadro a soggetto militare.Mario Praz si definiva un non idolatro di Napoleone,nonostante la spiccata passione per i mobili Impero, tuttavia ammetteva che l’epoca in questione era stata senz’altro  quella in cui gloire  faceva rima con victorie e il Maresciallo di Francia ritratto mentre appunta la legion d’onore sul petto di un ufficiale di cavalleria attorniato da nove militari un po’ di tutte le armi,ne è un discreto indizio.

Un particolare della Galleria con la tipica libreria a ponte e il piano superiore delimitato da balaustre.In fondo una spelndida statua di amore con  faretra di Leopoldo Cicognara

Questa è una veduta parziale del salone con divano e due dormeuses di velluto rosso ai lati del caminetto che ha un parascintille ricamato:all’esterno Nell’alcova della biblioteca bianca e oro,un ritratto di Caterina Murat.Due vedute spagnole di Cannella e miniature Hummel e Le Guay.

La Casa della Vita è un libro di Mario Praz edito da Adelphi (di recente anche in edizione economica)

Il fondo Mario Praz  ha sede a Palazzo Primoli in via Zanardelli a Roma al terzo piano del palazzo che ospita anche l’interessante   Museo Napoleonico .

L’appartamento è aperto tutti i giorni tranne il lunedì con orario 9-14. 14.30 – 19.30.

Poichè sono consentite visite di non più di dieci persone è consigliabile prenotare

Il risentimento del perdente radicale

Il risentimento del perdente radicale

La bibliografia di Hans Magnus Enzensberger vanta titoli suggestivi come Che noia la poesia.Pronto soccorso per lettori stressati o Dialoghi tra immortali,morti e viventi o La breve estate dell’anarchia.Vita e morte di Buonaventura Durruti oppure Ma dove sono finito.La mia nota è necessariamente breve  poichè per contenere i titoli dell’opera omnia,non basterebbe l’intera pagina di un giornale.Tedesco,classe 1929 animatore insieme a Günter Grass ed Heinrich Böll del Gruppo 47, costituito nella Germania Federale per il rinnovamento della letteratura tedesca,Enzensberger  è una figura di spicco nel panorama culturale europeo,un vero e proprio maître a penser  che non ha mai tralasciato d’ intervenire  nella discussione pubblica esprimendo posizioni quasi sempre in controtendenza.Nel breve saggio Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer, Suhrkamp, 2006 (Uomini del terrore. Saggio sul perdente radicale) pubblicato di recente da Einaudi con il titolo de Il perdente radicale, Hans Magnus Enzesberger mette in relazione gli sterminatori adolescenti di Colombine,gli attentatori suicidi palestinesi,i talebani e i coniugi di Erba, accomunandoli in una unica tipologia  – perdenti radicali  – persone cioè che le vicende del mondo globalizzato ma sempre fondato su una competizione senza esclusione di colpi, ha messo fuori gioco,sospinti ai margini,privato agli occhi degli altri e soprattutto ai propri di ogni valore. A differenza del fallito, rassegnato alla propria sorte, però, il perdente radicale si ritrae in disparte,diventa invisibile,coltiva il suo fantasma,raduna le proprie energie e attende la sua ora.L’ora della resa dei conti .Non limitandosi a patire la propria condizione,si interroga cercando un colpevole e immancabilmente individuandolo nel vicino di casa rumoroso,nel campo di nomadi accampato nel suo quartiere,nello strapotere del Grande Paese o nel Complotto Internazionale.Certo nel suo desiderio di vendetta è un caso singolo , un’ anomalia, ma è un’ anomalia che la contemporaneità riproduce in serie,moltiplica a ritmo vertiginoso  e che va  ad infoltire a dismisura le fila dei perdenti radicali.Cosa accade allora quando questa molteplicità di sconfitte singolari, trova la sponda di un collante ideologico o una comunità pronta a mettere a profitto la valenza distruttiva ed autodistruttiva del perdente radicale?Facile per un intellettuale tedesco pensare subito a Versailles 1919,alla congiura “giudaico bolscevica” contro il popolo germanico e al nazionalsocialismo che speculando sul sentimento di sconfitta trascina  la Germania verso la guerra di sterminio e l’autodistruzione.Sulla scia di questo ragionamento sono anche i signori della guerra e i movimenti armati più o meno affetti da fanatismo o da perdità di realtà,pronti a raccogliere gli sconfitti della storia e della vita quotidiana.Sostiene inoltre  Enzesberger che oggi,tramontata la stagione delle utopie rivoluzionarie,vi è un solo movimento all’altezza dei tempi,capace di far scattare il dispositivo su scala globale con la possibilità di coinvolgere le masse di diversi paesi  ed è l’Islamismo.Esso dispone di tutti i requisiti necessari per trasformare la moltitudine dei perdenti che la globalizzazione dissemina lungo il suo cammino, in forza politico-militare : innanzitutto la frustrazione araba che vive il declino secolare di una civiltà che si era affacciata sul Mediterraneo vincente e innovativa,all’epoca del Califfato,come una intollerabile sconfitta inflitta ai credenti dalle schiere sopraffattrici degli infedeli coloro che non credono in nulla,rinnovata dal colonialismo e dallo Scambio Ineguale.Da ultimo il paragone drasticamente sfavorevole tra le condizioni di vita delle società arabe e quelle opulente dell’Occidente.Tuttavia – argomenta Enzesberger – l’islamismo non può vincere la sua guerra totale ,ponendosi come obiettivo il Califfato Planetario e la distruzione di tutti gl’infedeli e dunque finirà col volgere la sua volontà di distruzione in autodistruzione.Un’intera civiltà starebbe dunque correndo verso l’annientamento non senza aver inflitto al mondo condizioni d’insicurezza e di minaccia capaci di revocare tolleranza diritti e libertà anche nel cuore dell’occidente democratico.E’ un po’ il destino dell’attentatore suicida che di questa generale tragedia è l’ efficace metafora.

Il ragionamento è suggestivo e non privo di verità e riscontri ,tuttavia a me sembra non tenere conto del fatto che oggi  l’Islam non solo mobiliti  le masse con visioni apocalittiche e speranze di Califfato ma persegua nel contempo obiettivi più concreti  – mantenimento di equilibri nel mondo arabo,conservazione di vecchie gerarchie messe in discussione dalla modernizzazione o dal differimento di spazi di potere e autonomia dati dall’immigrazione islamica nel mondo –  l’ottenimento dei quali non è esente da compromessi ed astuzie.Ma pur mantenendo l’impianto suggerito da Enzesberger manca alla sua visione la percezionei di un Occidente egualmente perdente e alla ricerca di un collante ideologico, egualmente minacciato,egualmente irrazionale,egualmente incline a restaurare certezze assolute come rimedio alla propria fragilità, nella convinzione o nel terrore di non poter mantenere a lungo i propri privilegi,la propria opulenza,il proprio stile di vita.E il senso di minaccia invariabilmente si traduce in chiamata alle armi contro nemici che si avvertono e si moltiplicano ovunque, rispetto ai quali si ritiene finanche di dover rinunciare a a Garanzie Democratiche e Stato di Diritto.Oltre il senso di Sconfitta Radicale a me sembra sia il Risentimento a tenere insieme in modo del tutto trasversale le diverse forme d’inimicizia.Risentimento moraleggiante :  una Parte  identifica la ricchezza con la corruzione, l’Altra vive la diversità come un affronto.Da una Parte s’ imparenta con lo Spirito Religioso dall’Altra si traduce in Autoritarismo.Funziona nella dimensione globale come nella violenza privata.E’ il risentimento che tiene insieme i coniugi di Erba e i martiri di Alqaeda,il razzismo della lega e l’antisemitismo arabo,gli elettori di Bush e quelli di Ahmdinejead,i teppisti dello stadio e quelli della tolleranza zero.I poteri grandi e quelli piccoli ,i pastori di greggi e gli strateghi del capitale lo sanno bene e se ne servono a piene mani

Il perdente radicale (Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer) è un libro di Hans Magnus Enzesberger edito da Einaudi

Ingannevole è l’immagine (con nuova prefazione)

Ingannevole è l’immagine (con nuova prefazione)

Inga102715842_456a53430dDi  J.T.Leroy, veneratissimo autore  di Sarah e di Ingannevole è il cuore, fino ad un anno fa, sapevamo che era nato nel 1980, che aveva alle spalle un’infanzia di abusi  e di vagabondaggi con la madre prostituta dalla quale ad un certo punto era stato abbandonato.Recuperato da un’assistente sociale e da uno psicologo che gli aveva suggerito di raccontare per  iscritto le sue esperienze, aveva dato vita a romanzi ritenuti autobiografici di grande potenza emotiva.Da qui, pubblico adorante,vendite da best seller e lodi sperticate degli autori più cool del momento da Dave Eggers a Zadie Smith . Poi accade che 2006,  il New York Times scrive di avere le prove che J.T. è in realtà tre persone :  una certa Laura Albert  materialmente l’autrice,una tal Savannah sorella del marito della Albert, controfigura per le apparizioni in pubblico e  la Albert di nuovo a impersonare la finta assistente sociale trasformatasi in manager e portavoce di T.J.Sul perchè sia,la Albert  ricorsa a una controfigura, la risposta è scontata, basta  pensare ai meccanismi dell’editoria – spettacolo che probabilmente non ritenendo sufficente pubblicare i   libri  di un autore bravo e sfortunato, ritiene sia utile anche  esibirlo.Assai più interessante invece, è il racconto di Laura Albert sulle ragioni che possono aver indotto una scrittrice non priva di talento a costruirsi una falsa biografia e per di più quella di una vittima.Sostiene la Albert che in realtà quell’identità non desiderabile, è proprio  la sua, che abusi e sopraffazioni non diversamente da J.T, hanno contrassegnato anche la sua infanzia e che il fingersi qualcun altro, l’ha sostenuta nell’ingrato compito di difendersi dai colpi della vita,che indossando maschere ha potuto chiedere aiuto,reclamare attenzione e soprattutto parlare di sè.Queste ed altre considerazioni sono contenute in una lunga intervista che  dell’ultima edizione del libro  Ingannevole è il cuore, è l’interessante introduzione.Penso che certa gente dia per scontato il fatto di essere tenuta in considerazione e non trascurata,ma la mia esperienza è stata quella di una persona completamente ignorata,trattata con indifferenza e disprezzata.Ed è di questo che scrivo.Quello che la Albert esprime è l’indicibile sofferenza di chi, privo d’indentità, non ha gli strumenti per costruirsene una autentica e dunque assembla una storia,finge di essere qualcun altro.Con lei siamo al ribaltamento dell’antico trucco del nome de plume ,dello scrittore cioè che volendosi nascondere,separa la verità del proprio nome dall’invenzione della sua opera.La scrittrice americana ha dovuto inventarsi invece, un corpo perchè la verità consegnata ai suoi romanzi,continuasse a esistere.Sulla patologia che l’affligge indagheranno gli psichiatri e tra questi quelli che sostengono l’identità, essere non un blocco unico ma una sorta di “assemblaggio", avrebbero molto da dire, mentre invece qualche domanda sull’editoria – spettacolo che oramai  tratta  la Albert come un’appestata,s’impone.Quei romanzi  firmati J.T Leroy,ora che abbiamo scoperto non essere stati scritti da un ragazzino efebico e tanto glamour ma da una quarantenne sfigata e di scarso appeal,non sono più dei capolavori? L’opera di una scrittrice stramaledettamente brava che non ha più un’immagine da esibire ma probabilmente altri libri da pubblicare,non interessa più a nessuno? 

Ingannevole è il cuore è un libro di T.J.Leroy tradotto da Marina Testa ed Edito da Guanda.L’edizione che contiene l’intervista con la Albert è del 2007

Nell’illustrazione la locandina del film di Asia Argento tratta dal libro di Leroy e opportunamente corretta dopo la scoperta della vera identità dell’autrice