Tanto peggio per i fatti ( mistica del fare)

Tanto peggio per i fatti ( mistica del fare)

Ad ogni strappo una pezza del colore giusto e va da sè che anche per l’ affaire  Protezione Civile oltre che di persecuzioni giudiziarie si continuerà a parlare di un sistema bloccato da ipertrofia di Regole e Regolamenti, di come la Burocrazia consegni il paese ad un destino di cronica arretratezza e dunque della necessità di affrancare la Macchina  dai lacci dei controlli e delle verifiche di legalità, il tutto  in nome di un ‘ Efficienza e di una Politica del fare che fin qui ha prodotto risultati  assai modesti rispetto ai Grandi Annunci che Reti obbedienti si adoperano a trasmettere con puntualità.

Un altro capitolo sui guasti che lo Stato d’Eccezione, vero principio ispiratore della politica governativa e padre, spesso snaturato, della Decretazione d’Urgenza, produce a questo Paese. Dentro al contenitore non vanno solo i Lavori Pubblici ma il Processo breve, lo sfibrante dibattito sull’Immunità e molto altro ancora. Non è forse vero che durante gli ultimi giorni di Eluana Englaro, si è tentato di decretare a proposito di fine vita?

Armi razionali ed etiche, più trecent’anni di pensiero giuspolitico possono essere buttati alle ortiche. E che ? Mica si può sfidare il popolo sovrano.

La mistica del fare è un tema seducente per un’opinione pubblica che legge poco i giornali e che guarda il mondo attraverso la televisione, soprattutto che è afflitta da problemi derivanti da una crisi economica che sembra non avere sbocchi.

Chiunque aspetti un posto di lavoro dignitoso o gli esiti di un processo o abbia a che fare con la Pubblica Amministrazione sogna una soluzione rapida, costi quel che costi.

Il fatto è che se nessuna Riforma di Sistema viene avviata, lo stato d’Eccezione continuerà a dominare il panorama, nessuna garanzia può esser data in un simile regime.

Bertolaso non mi piace quando afferma di non essersi accorto di cosa stesse accadendo intorno a lui. Poteri straordinari a parte, certi personaggi e il demi- monde che traspare dalla lettura delle carte, non passano inosservati, ne’ c’è bisogno di un fine psicologo per inquadrare uno stile di vita e un modo di porsi inequivocabili di un faccendiere, di un trafficante, di un imprenditore o di un funzionario dello Stato in odore di corruzione .

Men che meno posso apprezzare la sua sincera meraviglia  nell’affermare come questa volta i carabinieri non l’abbiano  avvertito – come fecero del resto a Napoli – di storture o di indagini in corso.

Mi pare  un po’ troppo nel momento in cui le indagini riguardano la sua persona.Troppo potere nelle mani di uno solo fanno perdere la dimensione giusta delle cose, non c’è che dire.

La magistratura contabile oggi renderà noto il dato della corruzione : 60 miliardi per percezione di illeciti compensi negli appalti pubblici, appropriazione indebita di somme a seguito dell’emissione di falsi o duplicati mandati di pagamento a fronte di prestazioni contrattuali inesistenti o già pagate.

Dunque, non forme sofisticate ma operazioni illecite che non potrebbero sfuggire ad un controllo attento dei rendiconti. Proprio quel che fa difetto – sostiene la Corte – e che andrebbe potenziato.

Ciò nonostante – vale a dire l’ inchiesta e il monito della Corte dei Conti – noi andremo avanti, fa sapere il Presidente del Consiglio. Tanto peggio per i fatti.



La Puglia migliore

La Puglia migliore

Vedo –  con enorme piacere –  che gli elettori pugliesi non si sono lasciati irretire dal fascino delle geometrie d’apparato o dagli arzigogoli  dei retroscenisti. Ancora qualche ora fa, per dire, qualcuno vaneggiava possibili ricadute della vittoria di Vendola sull’elezione di D’Alema a presidente del Copasir.Francamente un po’ troppo.

Più semplicemente, credo che la stragrande maggioranza dei  i cittadini abbia scelto premiando, da una parte l’esponente affidabile ed appassionato di un progetto funzionale, dall’altra i buoni risultati ottenuti come governatore . Escludo che tante persone si siano messe in fila per infliggere un duro colpo a D’Alema , la cui mozione congressuale, da quelle parti, aveva peraltro stravinto non più tardi di tre mesi fa.


Di sicuro il fatto che l’elemento di continuità, al cospetto di una prova di buon governo, non abbia nemmeno sfiorato il dibattito che ha preceduto le consultazioni, è stato letto come l’indizio che non ci fosse altro motivo per la non riconferma, se non quello che Vendola fosse sgradito all’UDC.

Probabilmente non una bocciatura dell’alleanza di per sè ma del modo di essere in un’ alleanza.

Dura lezione ha commentato qualcuno. Vedremo come  il PD saprà mettere a profitto la débâcle del proprio candidato. Certo è che in Puglia non si è manifestato ieri alcun fenomeno inatteso .Si sa che nel combinato disposto Partito Federale – almeno nelle pretese –  e Primarie, con un vero confronto, non c’è rischio di esiti scontati.E il meccanismo obbliga l’apparato centrale a dimensionare il proprio apporto nelle scelte.

Vinta la battaglia, bisognerebbe abbandonare ogni sorta di revanche e  vincere anche la guerra. Un’ affermazione così forte di democrazia non può essere onorata altrimenti. La Puglia migliore – come da (bella) campagna vendoliana –  ora ce la deve fare.



Bigger than life

Bigger than life

C’è un’ispirazione di fondo – Io la conoscevo bene – un film nel film La moglie del prete – c’è, al solito, Livorno e una famiglia disfunzionale, come la si sarebbe definita qualche anno dopo.

Tuttavia, all’epoca dei fatti, un marito geloso  che mette fuori della porta di casa una moglie – e madre –  esuberante e un po’ fuori dalle righe, non avrebbe suscitato  particolari sospetti, tantomeno provocato riprovazione sociale, appannaggio esclusivo della donna, vitale, affettuosa ma  irrimediabilmente considerata una poco di buono. E l’epoca è quella definita dalla canzone – titolo del film, un brano-tormentone sopravvissuto ben oltre l’edizione di Sanremo che, forse a torto, non l’aveva incoronato vincitore.

Dunque da una madre così imbarazzante si può solo fuggire. I figli si sa, soprattutto se maschi, nutrono istinti conservatori e se la mamma non somiglia nemmeno lontanamente a quella del libro di scuola ma è giovane, carina, ansiosa di vita  e viene pure eletta miss spiaggia, ne soffrono al punto di massacrarsi l’esistenza per il resto dei loro giorni.

Sulla falsariga del tornando a casa assai caro ai cineasti italiani nell’ultimo periodo, inevitabilmente s’inciampa nei  ricordi e nella nostalgia, materia cinematograficamente delicata, da maneggiare con il massimo della cura onde evitare commistioni con il patetico rimpianto del bel tempo che fu.

Virzì che riesce perfettamente nell’impresa di raccontare l’ infelicità con mano leggera , realizza anche in questo caso  il suo bel cinema Bigger than life. Cambia luci col cambiare delle epoche, convoca costumiste eccellenti, pluridecorate e filologicamente meticolose, attrici di culto, gli abitanti della sua città a far da comparse, riprende con puntualità luoghi e stabilimenti balneari d’epoca e via dicendo.

Qualcuno trova che sia un po’ troppo questo riempire ogni film di oggetti e riferimenti per rendere più credibile la ricostruzione, ma in questo caso il doppio piano temporale attraverso il quale si dipana il racconto è  del tutto privo – ed è una scelta –  dell’elemento politico sociale .Sono i conflitti famigliari al centro della vicenda, non c’è ombra di anni di piombo, ne’ di ere democristiane o berlusconiane in questo film che vuol essere una commedia dei sentimenti senza sentimentalismi di sorta. E anche nel ritrovarsi come punto di ripartenza, non c’è sbavatura o rimorso, l’unico elemento nostalgico in cui ci si può ritrovare è nella vitalità e nella speranza di un tal momento storico.Quelle sì abbiamo smarrito.E ci mancano tanto.

Attori diretti con amore. E si vede.


La prima cosa bella è un film di Paolo Virzì del 2009, con Valerio Mastandrea, Micaela Ramazzotti, Stefania Sandrelli, Claudia Pandolfi, Marco Messeri, Aurora Frasca, Giacomo Bibbiani, Giulia Burgalassi, Francesco Rapalino, Isabella Cecchi. Prodotto in Italia. Durata: 116 minuti. Distribuito in Italia da Medusa

Junk food

Junk food


Soul Kitchen come la canzone dei Doors – ma i diritti costavano un botto e non è nella bella colonna sonora –  o  il locale di Wilhelmsburg, quartiere della movimentatissima Amburgo, dove si servono  junk food e  pazzesche compilation in cui   l’ hip hop riesce a stare insieme col funky, il  rithm & blues e il rebetiko.

Dunque  Zinos, proprietario e chef che naviga in un mare di guai, tra fidanzate snob in fuga verso la Cina, fratelli che escono di galera, inquilini che non pagano l’affitto, i soliti speculatori alle costole  e un gran mal di schiena che da coronamento alle disgrazie, diventa magnifica opportunità sulla via di un happy end travolgente e  non banale.

Heimat Film, avverte Fatih  Akin, regista della Sposa turca e di altre documentaristiche meraviglie, ovvero un modo di essere patria & comunità assai poco teutonico e forse più melting pot .Del resto in Akin la passione per la miscellanea diventa cifra artistica di alto rango. Così nel pentolone vanno a finire un po’ di Wilder di Keaton e persino di Hill & Spencer, il risultato è tuttavia personalissimo.E pazienza se nel girare sono emersi un po’ di ruffianeria e una buona dose di calcolo .Poichè tutto funziona, di che lamentarsi ?

Commedia divertente e trasgressiva. E dico poco. Nel senso che Soul kitchen non si limita a far sorridere ma  ha il pregio di mettere addosso una grande allegria.

Particolarmente apprezzata alla Mostra di Venezia – dove si è aggiudicata il Premio della giuria – e per aver spezzato il ritmo vagamente quaresimale delle pur splendide visioni. Ma nel cartellone delle mostre internazionali, si sa, la joie de vivre, difficilmente è di casa.

Soul Kitchen è un film di Fatih Akin del 2009, con Adam Bousdoukos, Moritz Bleibtreu, Birol Ünel, Anna Bederke, Pheline Roggan, Lukas Gregorowicz, Dorka Gryllus, Wotan Wilke Möhring, Demir Gökgöl, Catrin Striebeck. Prodotto in Germania. Durata: 99 minuti. Distribuito in Italia da Bim

L’arrivée d’un train à La Ciotat ( lustrando gli occhialetti)

L’arrivée d’un train à La Ciotat ( lustrando gli occhialetti)

 

Che futuro s’intravede per il cinema ai tempi dell’utilizzo diffuso di trucchi e tecnologie estreme, credo, non sia dato sapere. Un po’ per la stessa natura inafferrabile dell’Oggetto che, partito come invenzione senza futuro, a detta dei suoi stessi inventori , è arrivato fino a noi –  oltre un secolo dopo cioè –  con un bagaglio di Opere d’Arte da far spavento,  vivo,  verde  e tutt’ora  in grado di far discutere ed emozionare.

 

Ma di una cosa si può essere certi : anche l’uso più spregiudicato dell’ hi-tech, non precluderà alcuna possibilità all’ Uomo e alle sue vicissitudini, di essere al centro di un racconto d’immagini e di parole.

 

Il computer è un mezzo,  non neutro d’accordo, come non lo è la macchina da presa o non lo fu  la lanterna magica ma  che non dimostra particolare predilezione per un soggetto piuttosto che per un altro.

 

Da Abel Gance a Kubrik passando per Lucas, Ridley Scott ed altri, è la sperimentazione di nuovi artifici che ha contribuito a tenere in vita la Macchina delle Meraviglie, obbedendo, in questo, ad un criterio – seppur differentemente declinato –  per il quale tutto deve concorrere ad un unico scopo : stupire.

 

Preceduto da potenti mezzi da sbarco, tipicamente made in USA e da un bel libro sulla realizzazione del film, sta per arrivare nelle sale italiane Avatar, che nessuno ha ancora visto ma su cui ognuno si è già formato un’opinione.

 

Certo, oltre un miliardo di dollari d’incasso in America durante il primo week end di programmazione, milioni di spettatori in perfetto silenzio durante la proiezione  che tributano applausi scroscianti sul far dei titoli di coda, impensieriscono. Come pure il racconto del set meta di illustri pellegrinaggi, Sodebergh, Lucas, Spielberg, che con  gran dispiego di superlativi e definizioni ultimative esprimono sconfinata ammirazione il   più grande film in 3D mai realizzato o il progetto destinato a cambiare il cinema.

 

Voltare le spalle alla tecnologia o agli artifici significa negare che il cinema anche di questo si nutre. E lo fa da sempre. Come pure la condanna tout court dell’effetto speciale acchiappa – spettatori, non pare del tutto lecita se si pensa alla ruffianeria e agli effettacci che certi film cosidetti tradizionali, per il tramite di inquadrature, montaggi, musica e sceneggiature dall’apparenza innocua, realizzano.

 

Essere o meno proiettati dentro una storia è un problema di Talento non di tecnologie utilizzate.Per quanto mi riguarda aspetto la visione. Ovviamente lustrando gli occhialetti.