Like a directress

Like a directress

Che Madonna potesse avere un talento innato per la regia, come racconta in diverse interviste  Eugene Hütz, mitragliante leader della Gogol Bordello, band esercente con profitto il genere gipsy, qualcuno dice rock, qualcuno dice punk e interprete del film Filth and Wisdom , non si fa fatica a crederlo. Basterebbe guardare le sue clip e le inverosimili  mise en scène dei suoi concerti, per capire come Louise Veronica Ciccone abbia un’ attitudine particolare per qualsiasi forma di spettacolo

E per il cinema. Attrice intensa da Cercasi Susan disperatamente a – soprattutto ! – Evita – a Sai che c’è di nuovo, annovera tra le sue performances, un unico scivolone, quando insieme all’ex marito s’è messa in testa il remake di Travolti da un insolito destino, film bruttarello già di partenza e come se non bastasse, d’impossibile rifacimento  con storia e personaggi troppo local  per essere esportati altrove.

Era dunque nelle cose che lei, diva fin nel midollo, manager accorta di se stessa, ma soprattutto artista incantevole e pignola,  qualsiasi cosa faccia – cantare, ballare, scrivere, recitare, adottare bambini africani – mettesse a profitto tutti questi talenti messi insieme e si cimentasse nella regia.

Presentato ad una Berlinale delirante, passato per Torino film festival e distribuito dalla Sacher, Filth and Wisdom arriva nelle sale italiane accompagnato dal bollino di qualità di Nanni Moretti. E già non è poco.

A seguire, intorno al film che nel frattempo è divenuto Sacro e Profano si sono addensati pareri contrastanti e prevedibili  malignità. Sorvoliamo. La verità è che quest’operina  è davvero bella ed eccentrica, percorsa da divertente ironia, con tocchi  delicati pur nel contesto spericolato ed irriverente.

Madonna insomma  ce la mette tutta,  riuscendo nell’impresa di tenere a bada certe sue tendenze artistiche al troppo che stroppia  – il troppo Kitch, il troppo pop, la provocazione troppo facile e l’inveterata abitudine al marketing – concedendosi la libertà di un lavoro dal taglio indipendente, molto concentrato su di una storia movimentata ed infine romantica :

    Tre personaggi alle prese con le proprie aspirazioni nella Londra  del degrado suburbano, il loro sbarcare il lunario in settori diametralmente opposti a quelli ambiti, senza però lasciarsi sfiorare da qualsivoglia angoscia da abbrutimento – e dico poco –   sottooccupazionale e se tristezza talvolta affiora , appartiene al passato di ognuno, mai al presente. 

Uno canta in un gruppo Underground, ma si mantiene prostituendosi, percuote col frustino clienti masochisti, fingendosi un cavaliere o giocando alla scuola,  un’altra studia danza classica ma lavora in un locale di lap dance e un’altra ancora, vorrebbe andare volontaria in Africa e invece le toccano una farmacia e le avances del proprietario indiano, infelicemente sposato  e con tanto di invadente tribù al seguito.

Insieme condividono un appartamento che ha come vicino di casa un poeta cieco innamorato di AK il fustigatore che non trova di meglio da fare che sottrargli versi per metterci su le sue musiche.

Sacro e profano dunque, come in ogni esistenza ovvero come le facce di un’ unica medaglia. Qui però pur nell’apparente discesa agl’inferi, primeggiano sensibilità, allegria e pulizia interiore, com’è di chi ha sogni e combatte perchè ci crede.

Onore al merito di Eugene Hütz, faccia da schiaffi (anzi da cinema), grido di battaglia Think globally fuck locally – come lo scriverei volentieri sui muri – delle sue doti di attore della sua colonna sonora e della sua versione di Isla Bonita (canzone del cuore, ebbene sì)

Sacro e profano è un film di Madonna. Con Eugene Hutz, Holly Weston, Vicky McClure, Richard E. Grant, Inder Manocha, Elliot Levey, Francesca Kingdon, Clare Wilkie, Olegar Fedoro, Ade, Elena Buda, Stephen Graham. Genere Commedia, colore 80 minuti. – Produzione Gran Bretagna 2007. – Distribuzione Sacher

A quell’omm

A quell’omm

della meaA me quel suo modo di comporre e cantare politico non è mai piaciuto, ho sempre pensato che tra i suoi testi e quella che comunemente viene definita retorica ci fosse un confine troppo tenue perchè potessero nascere vere emozioni. Della sua produzione mi porto dietro solo A quell’omm, un brano dedicato ad Elio Vittorini e Se qualcuno ti fa morto scritta per il Che.

Per il resto la sua figura resta legata a cori sgangherati con maltrattamenti di strumenti musicali vari. Un modo talvolta finto di stare insieme, un tipo di socialità che non ho amato vivere e che non amo ricordare. Lui non ne ha colpa, ma tant’è  : la sua musica si è prestata.

Meglio attribuire ad Ivan Della Mea i meriti che gli competono e che sono tantissimi : il lavoro svolto insieme ad altri con Bella Ciao o successivamente l’impegno profuso nella direzione dell’Istituto Ernesto De Martino. Meglio i suoi articoli sul Manifesto, meglio i suoi libri. Meglio cioè quel ruolo d’intellettuale che probabilmente rifuggiva e che invece gli calzava a pennello.

L’illustrazione  è dell’associazione aut aut .

 

 

 

 

Tacchi & Ritocchi

Tacchi & Ritocchi

C’è bisogno di rivoluzione femminile nel mondo, costruita su una rivoluzione culturale

Ha detto Gheddafi all’Auditorium rivolto ad una affollata platea di signore – 700 circa e molto PDL style come da tacco & ritocco di rito – ministre, imprenditrici, parlamentari professioniste, presenze femminili significative, almeno secondo l’accezione che il Cerimoniale ha inteso conferire al termine.

 Un capo di stato che voglia incontrare le donne per un’iniziativa sullo specifico non si trova tutti i giorni. Tuttavia c’era nel discorso di Gheddafi, in tono con gli altri pronunciati a Roma,  altalenanti tra parabole, citazioni da Matilde Serao, espressioni teoricamente condivisibili ed inedite visioni storiche, qualcosa di più che il consueto andamento contraddittorio.

E così se le case sono prigioni, anche il lavoro lo è. Scelga la donna in quale galera vuol soggiornare. Tutta qui la libertà che le è consentita. Sorprendente interpretazione del pensiero della differenza.

Naturalmente di rendere case e lavoro un po’ meno somiglianti agl’istituti di pena, non se ne parla. Quello sarebbe il programma di governo di un paese democratico in cui parlamento e istituzioni pullulano di presenze femminili. Siamo lontani. In Libia come da noi.

Secondo il colonnello invece, la rivoluzione delle donne  è il corollario di una (non meglio identificata rivoluzione culturale), quindi qualcosa di subalterno. Un controsenso che gli si manifesta attorno, personificato dalle Pretoriane – occhi belli. Pronte a tutto.

Ci fosse stato spazio per le repliche ci si sarebbe potute avventurare,  chiarendo che quella che il colonnello chiama rivoluzione femminile sarebbe già di per sè una rivoluzione culturale fatta e finita. E che nessuno meglio di lui potrebbe raccontare  cosa abbia significato in termini di progresso dell’intera società, l’istruzione femminile nei paesi africani in cui si è potuta praticare.

Ma cane pazzo  parla per ultimo, incassando applausi a scena aperta, appena venati da qualche sussulto di riprovazione. In un’atmosfera in cui anche la prolusione di Mara Carfagna è sembrata dura ed  elevatissima. Ma con buona pace delle prime file , tra fondamentalismo e modernità, non c’è  possibilità di mediazione. Nemmeno col ritocco.

 Nelle illustrazioni ( di Rizzo Emmevi ) sopra : una sostenitrice libica. Sotto, in prima fila Santanchè Prestigiacomo e Matone.

And the winner is..

And the winner is..

Berlusconi non sfonda, il PD tiene, l’antisarkozismo non paga, la maggioranza regge, l’astensione dilaga, smotta l’Spd, tracolla Zapatero, Verdi e Bloqo de izquierda in ascesa, Linke in stallo…Pasoch in rimonta.

Qualunque sia la formula scelta a definire il risultato elettorale, mi permetto di segnalare in aggunta alla nota, la vittoria del voto de panza, inutile che Scalfari si sbatta anticipando a sabato l’omelia – bellissima peraltro – della domenica sull’atteggiamento raziocinante da tenere al cospetto delle urne. Il voto – ma anche l’astensione – de panza, miete allori un po’ dovunque.

Qui da noi  contiamo addirittura due  formazioni de panza, entrambe  a mordere il sedere rispettivamente agli schieramenti principali. Due risultati speculari, belli tondi, due contenitori  in cui far convergere tutte le istanza emotive, i celodurismi, i voti di protesta e gl’istinti più bassi e inconfessabili dell’elettorato . L’offerta politica ne risulta così arricchita riuscendo i due partiti  a coprire ogni tipo di esigenza. Per esempio uno vanta un'organizzazione storica collaudata  e l’altro è più nuovo, più rustico,  entrambi sono giustizialisti ma solo uno è xenofobo, solo uno è protezionista, solo uno è antiberlusconiano. solo uno è latentemente antieuropeista. Insomma il populismo e il sentimento pre-politico di casa nostra si scapriccia e può essere variamente rappresentato. A destra  come a sinistra.

Vero è che di Europa si parla assai poco e se ai commentatori e ai politici,  di qualunque risma, dell'Unione importa un fico secco, figuriamoci agli elettori che nella migliore delle ipotesi pensano a Strasburgo associandone la funzione alle complicanze della burocrazia, alla pizza col ragù che però sempre pizza si può chiamare o alla mancata tutela del ficofiorone .

Di qui la sfiducia nella possibilità dell’Europa stessa di far fronte a problemi più seri degl’impedimenti che incontra il vino fatto con i piedi. Vedi la crisi economica. E se la disillusione alimenta il dato astensionista, il disagio nondimeno  penalizza i governi in carica nei singoli paesi  e infine  colpisce i partiti di sinistra eredi della tradizione socialdemocratica.

Ergo ne risulta favorita  l'affermazione di forze euroscettiche, quando non xenofobe che fondano le loro fortune sulla paura da invasione barbarica e sul senso d’insicurezza che ne discende. Formazioni che non possono esser annoverate certo tra le fila della destra tradizionale cosidetta di governo. Prova ne è che i Tories inglesi – partito che non potrebbe mai riscuotere il mio consenso ma  per il quale credo sia lecito nutrire una certa considerazione – stanno seriamente pensando di dar vita ad un gruppo a parte in seno al parlamento europeo. Conservatori va bene, populisti forcaioli e fascistoidi è un’altra storia.

Il disastro impone un mutamento di rotta, vedremo se la sinistra europea sarà in grado di fare conti definitivi con la crisi culturale e politica che investe la propria tradizionale impostazione socialdemocratica, oramai obsoleta e in rotta di collisione dalla caduta del muro in poi.  Dopo trent’anni forse è il caso di chiudere quel tipo di  partita avviando una stagione autenticamente  riformista.

Ma per tornare all’orticello di casa  la perdita del PD – 7% dei voti –  quantunque siano note le direzioni che hanno preso –  non può definirsi un risultato soddisfacente,non perchè  ce la passiamo meglio che gli altri in Europa, portiamo in dote al futuro gruppo un discreto numero di eletti il che nulla toglie al risultato che è di evidente sconfitta.

Anche il PD ha da affrontare la sua battaglia politica e culturale.

Certo viene da sorridere che nel momento in cui si cercano consensi per vincere i ballottaggi, si facciano anche discorsi di lungo respiro su future (strutturali) alleanze. Ma questo fa parte di un costume politico improntato al senso dell’opportunità. Tutto non si può mica avere.

Al momento l’unico risultato di cui compiacersi  è il silenzio – sono quasi tre giorni – del  Premier. Che pace, pur nella disfatta.

Nell’illustrazione Picos de Europa ( Spagna sett. Asturias)