Riequilibriamoci

Riequilibriamoci

20090416primapagina

Dopo la retorica – come ti sbagli –  viene il paternalismo delle sospensioni e dei correttivi,  riequilibrio lo hanno chiamato. Meglio non pensare a  come potrebbe realizzarsi,  in termini giornalistici,  una simile imposizione ma una cosa è certa :  falsità, bugie, fatti mai verificatisi, nel corso della scorsa puntata di Annozero, non devono essere passati. Che altrimenti si sarebbero pretese  le smentite. Non gli aggiustamenti

Tanto basta per vedere l’operazione per quel che è : la solita manovra che tra redde rationem e censura, viene contrabbandata per tutela della sensibilità e del buon gusto, presumibilmente di Governo, visto che altre Istanze non si sono lamentate,  tantomeno gli spettatori che continuano numerosi a guardare Santoro con gran soddisfazione dell’auditel e degli inserzionisti. Ciò sia detto così.. tanto per parlare una lingua che dovrebbe essere cara agli aziendalisti del servizio pubblico.

Niente di nuovo dunque, ed è per questo che ci si augurano reazioni degl’interessati, non improntate al vittimismo, poiché, in tal caso, l’affresco consuetudinario sarebbe stucchevolmente completo.

Quel che infastidisce, tuttavia  non è solo l’intenzione smaccatamente censoria del provvedimento, ma il fatto che tra i detrattori spicchi un discreto gruppo di esercenti la medesima professione dei sospesi e dei riequilibranti. Qualcuno finanche con buone attitudini di corifeo.

Si vede che la benevolenza governativa è più importante della dignità e della libertà di scelta. Ma che bravini.

Mi spiace non disporre di riproduzioni di buona qualità delle vignette di Vauro, volentieri avrei messo in cima al post quella sull’aumento delle cubature cimiteriali. Ma ci mancherebbe altro, dopo la sospensione pure lo sgarbo di proporne il lavoro attraverso  immagini sfocate o deformate. Un po’ troppo

Il digitale introverso Guevara

Il digitale introverso Guevara


Mai cortese iniziativa  fu tanto celebrata dalla critica come quella del produttore di distribuire un cestino nell’intervallo tra la prima parte – L’Argentino –  e la seconda  – Guerrilla – del Che di Sodebergh. Cinque ore di proiezione possono anche esigere un ristoro a metà del tragitto,  ma in fin dei conti  non si era trattato che di un sandwich e di una bottiglia d’acqua, quantunque adagiati  in graziosa  mise en place. Eppure se ne può rinvenire entusiastica menzione in ogni quotidiano del giorno dopo, addì 23 maggio 2008, alla pagina delle  critiche cannensi, con enfasi più marcata rispetto all’introversa scontrosità di Del Toro – che poi però si rifece con la palma del miglior attore, alla faccia degli inguardabili predecessori Sharif e Rabal –  o della trepidante attesa di un distributore che all’epoca dell’imprevisto dejeuner, non s’era ancora trovato.

Le cinque ore di (autentica e cinematografica) passione allora erano già destinate a diventare due film, per esigenze di sala, ma va da sè che il lavoro non può essere giudicato che nella sua interezza. La seconda parte sarà distribuita qui da noi, il primo di maggio, ma si sarebbe potuta tranquillamente offrire l’opportunità agli spettatori di vedere i due lungometraggi in sequenza, pur mantenendo la distinzione.

Costruita, in parte, adottando la falsariga del libro dello stesso Guevara titolato Sulla Sierra con Fidel – Cronache della rivoluzione cubana, essenziale nella sua digitale bellezza, a siderali distanze da altre celebranti e motociclistiche operazioni, poco trionfale, e retorica nemmeno un po’, ecco servita una delle imprese più anticommerciali mai viste al cinema.

Dunque pregevole, soprattutto nel proposito ben riuscito di  restituire al Che il posto che gli spetta nella Storia. Liberata l’icona dalle fin troppo calde drammatizzazioni e dall’abbrutimento del merchandising, possiamo ritrovare integro lo spessore dell’uomo politico e del soldato, grazie alla particolare attenzione posta  da Sodebergh nel rappresentare  il luogo e i sentimenti che animavano il tempo in cui è ambientato il film. Cronaca di un progetto rivoluzionario, più che di un sogno, seguito minuziosamente e a passo di documentario da una regia tesa a non invadere mai il campo, questo Che rappresenta un diverso modo di affrontare il biopic, più fondato sulla ricostruzione storica  che sulle indagini intorno alla psicologia del personaggio. Probabilmente chi ha definito il film di Sodebergh come qualcosa che Rossellini, Coppola e lo stesso Guevara avrebbero molto apprezzato, non aveva tutti i torti.

 

 

 

Che è un film di Steven Soderbergh. Con Benicio Del Toro, Demiàn Bichir, Santiago Cabrera, Elvira Mínguez, Jorge Perugorría, Edgar Ramirez, Victor Rasuk, Armando Riesco, Catalina Sandino Moreno, Rodrigo Santoro, Yul Vazquez, Ramon Fernandez, Julia Ormond, René Lavan, Roberto Santana, Vladimir Cruz, Sam Robards, Jose Caro, Pedro Adorno, Jsu Garcia, María Isabel Díaz, Mateo Gómez, Octavio Gómez, Miguelangel Suarez, Stephen Mailer, Roberto Urbina, Marisé Alvarez, Christian Nieves, Andres Munar, Liddy Paoli Lopez, Francisco Cabrera, Pedro Telémaco, Milo Adorno, Alfredo De Quesada, Juan Pedro Torriente, Jay Potter, Blanca Lissette Cruz, Laura Andújar, Euriamis Losada, Unax Ugalde. Genere Biografico, colore 126 minuti. – Produzione USA, Francia, Spagna 2008. – Distribuzione Bim

 

Un mare di detriti

Un mare di detriti

Strano modo di concepire l’Informazione come indispensabile  e preziosa, nel momento in cui s’incarica di fare da cassa di risonanza  alla Versione Ufficiale,  e irresponsabile – anzi indecente –  quando manifesta un punto di vista differente  rispetto alle martellanti celebrazioni governative con soccorsi e soccorritori  tempestivi, angelici ed efficientissimi.

A dire il vero non se ne può più. In questo paese ogni minimo tentativo di comportarsi come una comunità coesa, responsabile  e pensante,  annega invariabilmente in un mare di retorica. E se sopravvivesse ancora qualche dubbio sulle intenzioni del governo di servirsi del terremoto per trasformare le operazioni di soccorso, nell’ ennesimo miracolo dell’Era Berlusconi ter, basterebbe leggere le reazioni indispettite nei confronti di una trasmissione televisiva che si è solo limitata a denunziare alcune disfunzioni  attraverso le testimonianze dirette di chi ne ha dovuto sopportare i disagi, per tirare le conclusioni del caso. C’è dietro a tutto questo furore , un’idea di pubblico servizio da riconsiderare. O magari  di Pubblico tout court

Ma peggio del consueto ricatto che oppone la generosità dei volontari o lo spirito di servizio delle forze dell’ordine al fatto che, ancora  fino a ieri, mancavano l’acqua e le stufe nell’ospedale da campo di Piazza d’Armi –  come se tra i due eventi ci fosse relazione – c’è solo questa insensata richiesta di silenzio –  taccia la politica, tacciano le voci dissonanti – Godiamoci quest’altra favola bella del paese solidale e unito di fronte alla furia di elementi talmente imperscrutabili da rendere inutile la seppur minima forma di prevenzione.

Centotrenta sono i comuni abruzzesi  colpiti dal sisma, di molti non conosciamo nemmeno il nome, nonostante le numerose troupes e la consistente squadra di inviati di stanza in zona, troppo impegnati a segnalare le mosse del presidente del consiglio che consola gli afflitti e glissa sulle responsabilità. Lui non ha la bacchetta magica ma voi inviate i quattrini e soprattutto  non pensate alla politica. Chissà di che materia sono fatte  le virtù civili  tanto care ai media di questi tempi.

Un'altra scienza

Un'altra scienza

Naturalmente solo gli scienziati e i tecnici  sono davvero in grado si valutare l’ attendibilità della ricerca predittiva sul radon. Tuttavia, dopo la catastrofe che alcuni vorrebbero annunciata, non si può fare a meno di considerare una previsione sul sisma che più volte sbaglia il giorno e l’epicentro, come una non – previsione. Senza pensare al danno che involontariamente si arreca a questo tipo d’indagine, comunque scientifica –  pubblicizzandone gl’insuccessi e dunque via via abbassando quel livello di credibilità necessario al prosieguo dei finanziamenti –  si preferisce ogni volta coltivare l’idea dell’establishment crudele e dello scienziato buono, piuttosto che concentrare l’attenzione su acclarate cognizioni  scientifiche di contrasto,  pertanto su vere responsabilità.

Al Disastro che in pochi secondi spazza via tutto generando smarrimento, dolore e senso d’impotenza, non può essere sacrificato neppure un briciolo di raziocinio. Il Profeta Inascoltato segue l’iconografia della tragedia al pari delle squadre di soccorso, degli sciacalli colti sul fatto, dei ministri a ispezionare i campi profughi, delle rovine cosparse di cosidetti oggetti quotidiani.

Il paese emotivamente instabile preferisce correre dietro alle leggende piuttosto che soffermarsi a riflettere sul fatto che l’unico modo per arginare la catastrofe è seguire Regole che attengono ad un’altra scienza : quella delle Costruzioni. Inutile ricordare che nel paese delle superfetazioni e delle verande abusive, le norme antisismiche vengono puntualmente disattese. Anche negli edifici pubblici.

Passata la buriana, cioè tra breve, torneranno a raccontarci che seguire le regole comporta perdita di tempo e danno per l’economia o che possono  essere condonate  indistinte sopraelevazioni di interi piani realizzati senza minimamente porsi il problema di tenuta delle fondamenta. E che piuttosto che agevolare il lavoro degli Uffici Tecnici magari incrementando l’organico di qualche unità, è meglio sfoltire la materia e tagliare sui controlli.

Più che di antidoti emotivi ci sarebbe bisogno di guardare in faccia la realtà, laddove è dimostrato che la massima parte delle nostre disfunzioni – eufemismo, nel momento in cui si parla di vera qualità della vita e di morti per niente – è data dalla nostra cronica mancanza di senso civico e di classi dirigenti che per mantenersi in vita ne assecondano pervicacemente la china.

..and there’s nothing you can do about it. Nothing!

..and there’s nothing you can do about it. Nothing!

Basterebbe poco. Se richiesto di un commento, il Ministro con emme maiuscola rispondesse che in Democrazia le manifestazioni di dissenso sono un segnale di buona salute, finirebbe lì: in dissolvenza con brusio di ammirazione per l’istituzionale fair play . Nei futuri servizi sarebbe ricordato per l’aplomb.

E invece no. Bisogna cavalcare l’opinione più volgare reperibile su piazza e rendersene interprete. Scampagnata, carnevalata o che so io. Nei futuri servizi sarà difficile  che non sia ricordato per la stizza.

Salvo che nel prosieguo dell’intervista non gli si domandi dell’evasione fiscale, visto che manco a farlo apposta, qualche ora prima della scampagnata, sono stati resi noti i dati sui redditi del 2007 dai quali inequivocabilmente si evincono i 100 miliardi e passa, pari a 7 punti di PIL, tale è il costo del mancato introito nelle casse dello Stato che dobbiamo sopportare. Finalmente un primato europeo.

Qui la replica del ministro si tinge di fatalismo con l’incipriata cinefila  di profilo medio – E’ il paese, bambola – e pur  senza aggiungere il finale alla citazione – And there’s nothing you can do about it. Nothing! – si affretta a sintetizzarne il senso : il problema è strutturale. Boing.

Lo si fosse chiesto ad un impiegato dell’Agenzia delle Entrate, sarebbe comprensibile ma un Ministro con emme maiuscola e pretesa efficientistico riformatrice, dovrebbe squadernare le misure assunte e quelle in programma. A campanello : un.. due.. tre… : abbiamo fatto questo e quello e ancora faremo questo e quell’altro. Ma poichè in nome della semplificazione, più che smantellare il poco che il perfido Visco era riuscito a mettere in campo per contrastare l’evasione, non si è fatto, l’unica risposta possibile consiste nel buttarla in caciara.

In realtà ci sono conti che ancora tornano nel nostro Paese : sono quelli della manifesta diseguaglianza, ma qui è meglio non interrogare il ministro che altrimenti ripolvererebbe tutte le leggende sulla bontà dello stimolo a fare meglio che un tale disastro dovrebbe produrre. Film  a confortare l’ottimismo, ce ne sarebbero in quantità.

Sulla manifestazione di ieri la si può pensare come si vuole, se fosse o meno opportuna, se Franceschini dovesse o non dovesse… se Epifani sia o non sia.. Tutto si può discutere, tranne il fatto che chi tira la carretta ne abbia ben donde di lamentarsi e, se del caso, scendere in piazza. Magari senza doversi sobbarcare di ironie ministeriali. Gira che ti rigira a quelli del governo, maiuscoli o minuscoli che siano, è sempre la manifestazione libera del dissenso a infastidire. Eppure that’s the democracy, baby. The democracy! And there’s nothing you can do about it. Nothing!