What the hell does everybody want with my Gran Torino?

What the hell does everybody want with my Gran Torino?

Parcheggiata la Ford Gran Torino verde al centro della storia, Kowalski – Eastwood siede nella veranda della sua casa di Detroit che, come da allusiva inquadratura dal basso, pare l’Abramo Lincoln del Campidoglio. Un cimitero di lattine di birra vuote e l’espressione rabbiosa e disgustata – almeno per buona parte del film – raccontano la difficoltà ad accettare probabilmente l’età, la recente perdita della moglie ma soprattutto quel senso d’impotenza che nemmeno il Garand e la Colt 45 custoditi gelosamente in casa – ma pronti all’uso –  riescono ad attenuare. Walt Kowalski non sopporta il mondo così com’è diventato e gl’inveisce contro tutto il possibile repertorio di insulti fantasiosi e politicamente spietati.

Del resto, combattere in Corea e lavorare cinquant’anni alla Ford, per poi avere un figlio che guida una Toyota o ritrovarsi il quartiere invaso da quegli stessi musi gialli incontrati in Indocina , non è il massimo per un americano conservatore che più americano e conservatore di così, non si potrebbe.

Ma c’è di nuovo che a conoscerli meglio quei coreani così attaccati alle loro tradizioni somigliano più a Walt di quanto non gli somiglino i suoi figli. Per non parlare di quei debosciati dei nipoti. Così è possibile che un insospettato legame paterno con  due adolescenti asiatici perseguitati dalle gang, si stabilisca e divenga ragione di vita ( e non solo ) e che nel training  che insegni loro a difendersi ma anche a divenire americani, l’umore migliori. Rimane il senso d’impotenza che però si risolverà nel sacrificio – offerta di se stesso come opportunità di giustizia.

Carrellata e compendio di tutti i personaggi interpretati da Eastwood nella sua carriera. Lucida riflessione sulla fragilità illusoria di certi colossi dai piedi d’argilla, sul cinismo che tutto travolge tranne che l’integrità e il coraggio. Gran maliconia, grandi rimorsi, grandissimo Eastwood.

 

 

Gran Torino è un film di Clint Eastwood. Con Clint Eastwood, Bee Vang, Ahney Her, Christopher Carley, Austin Douglas Smith, John Carroll Lynch, William Hill, Chee Thao, Choua Kue, Brooke Chia Thao, Scott Eastwood, Xia Soua Chang, Cory Hardrict, Geraldine Hughes, Brian Howe, Brian Haley, Dreama Walker, Nana Gbewonyo, John Antony, Doua Moua, Sarah Neubauer, Lee Mong Vang. Genere Azione, colore 116 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Warner Bros Italia

Che barba, che noia

Che barba, che noia

Tra il Cioni di pattuglia –  che abbiamo preso il graffitaro –  e il Renzi additato futuro leader nazionale – che vuol cambiare la costituzione e il welfare – ci sarà pure dell’Altro in questo partito (che non c’è) e nella città di Firenze, messi in scena da Annozero giovedì scorso.

Certo abbiamo potuto vedere  la Casa del Popolo semideserta quando si parla di politica e affollata nei pomeriggi dedicati al liscio – dopo Giuseppe Bertolucci il fatto sembrava non essere più un segreto  ma tant’è, la visione della tombola, ci è stata riproposta come inequivocabile  segno dei tempi –

E ci hanno pure  mostrato gli abitanti di un quartiere malmesso e degradato, fortemente determinati all’ astensione punitiva di gruppi dirigenti e/o governanti pervicaci e sordi. Ma fondamentalmente c’è lui, il vincitore delle primarie, il nuovo, il giovane, l’Obama italiano, tutto maglioncini pastellini occhiali e ciuffo, in perfetta rispondenza col curriculum demo-margheritino classico, dal passaggio negli scout a quello in  Comunione e Liberazione  dove – non viene detto ma tanto sarà così – ha imparato il mestiere, che miglior Scuola d’Impresa di quella, crediate, non fu mai vista.

C’è da dire però che a forza di correre dietro a questa benedetta comunicazione politica può capitare che ci si dimentichi facilmente proprio del contendere, cioè della Politica. E infatti ad Annozero più che parlare di malfunzionamenti non si fa. Le ricette non sono mai interessanti. Meglio il Cioni a caccia di writers e il Renzi a rincorrere i macellai e gli chef illustri per piazzette e  mercati rionali.

Ma al di là delle definizioni sempre pronte – e sempre quelle – a lasciare di stucco, volendo passare dalla narrazione ai fatti, invece sono proprio i 100 punti per Firenze. Quelli su cui Renzi ha costruito la sua vittoria alle primarie, unitamente al resto del corredo : lo staff, il portavoce i ciclisti con la pettorina, i suoi volontari insomma e quel gran correre  in lungo e in largo per la città a promuovere se stesso. Dimenticavo Internet. Siti in stile Obamiano, beninteso.

Cosa aggiungere allora su quei cento punti programmatici, sedicenti innovativi, titolati ad effetto  – Segui la multa, Ripartire dalla Zeta, Paline parlanti e così via – ? Di sicuro che a questi giovani – o vecchi – aspiranti amministratori non farebbe male viaggiare un po’ di più, una qualsiasi capitale europea da chiunque governata – ma va bene anche Istambul mica c’è bisogno per forza della Ville Lumière – per capire intorno a quali Idee  cresce e si evolve una città, come viene recuperato il vecchio ed allocato il nuovo, come si riqualifica un’area e chi, al di là degli esecutori materiali  a smuovere la benedetta economia, dovrebbero essere i fruitori. A vantaggio di chi, si rivoltano le città come calzini. In funzione di quali politiche.

Invece niente : semplifichiamo, razionalizziamo tagliamo, ricuciamo compagini amministrative, cacciamo i politici e mettiamo i tecnici, istituiamo – parola magica – le Holding. Ma per fare cosa? Non certo per istituire serie commissioni di verifica dei contratti e degli appalti o modalità di affidamento che ne aumentino la trasparenza. L’innovazione alle volte più che nell’informatizzazione si nasconde tra le pieghe insospettabili di buone procedure.

Nè c’è ombra di politiche sociali, se si eccettuano scarni e  generici riferimenti buoni ad Abbiategrasso come a Grottaferrata. Non ci sono  centri antiviolenza, consultori, programmi di integrazione scolastica, tavoli interreligiosi, politiche per l’infanzia. Di colpo sono spariti da Firenze i poveri, gl’immigrati, le donne e i bambini. In compenso ci sono molti navigatori satellitari e quel tanto di tecnologia che fa nuovo in avanzata. E a parte aprire i bar di notte e fare il Cinema d’Estate, il deserto.

Non so se Matteo Renzi abbia la stoffa del leader nazionale, fin qui s’è visto solo uno stile disinvolto ed autocompiaciuto, da narcisetto in diretta. E siccome molto mi fido del giudizio di quelli della tombola, l’allusione alla smania di protagonismo e ad una marcata attenzione a fattori marginali, per quanto scontata, un po’ m’impensierisce.

Ma non perchè l’accostamento – inappropriato – con Enrico Berlinguer, proposto dalla scaletta, rimanda a fasi in cui il nuovo si ricercava , senza che fosse identificato necessariamente attraverso l’adozione di criteri generazionali, ma per il grosso potere che oramai ha assunto la forma rispetto ai contenuti : Matteo Renzi con i suoi cento punti, non dimentichiamolo, ha vinto le primarie e ad un certo punto bisognerà sin sperare che sia lui a vincere le elezioni e a governare Firenze.

Non ci fosse stato Staino a segnalare il punto di debolezza di una candidatura esclusivamente da dare in pasto alla comunicazione, pur nell’ingenerosità della definizione – pollo da batteria – si sarebbe potuto pensare, al solito,  di tenersi il vecchio se questo è il nuovo. E invece bisognerà continuare a cercare. Ma per carità : possibilmente lontano da Renzi.

Nell’illustrazione il Nettuno di Piazza della Signoria

Se l’Eden è a ovest

Se l’Eden è a ovest

Il clandestino Scamarcio – accusano con severità e pedanteria, i Soliti  – è troppo bello e levigato per essere vero. E dall’ex fuggiasco Gavras, ci si aspettava uno stile di denunzia più incisivo e  militante. Ovvero come introdurre un film sul Pregiudizio attraverso una serie di Stereotipi.

Ma Costa  – splendido ottantenne, ex fuggiasco dall’orribile dittatura, oramai parigino di adozione – pensa a Omero e a Charlot,  distribuendo ampie citazioni  nel racconto, ma soprattutto affrontando volutamente  un tema drammatico – l’immigrazione –  attraverso l’uso di registri narrativi inconsueti.

Ribaltando, l’ottica abituale,  approfittatori, violenti e  stupratori, appariamo noi, ovvero coloro che, in tutti i modi,  cercheranno di appropriarsi del giovanotto immigrato per sfruttarne le prestazioni e le capacità. Il clandestino così, da detestato intruso, diviene oggetto del desiderio. Nemmeno troppo oscuro.

Tra favola e metafora si snoda la vicenda del balcanico Elias che imbarcatosi per necessità  su una delle tante carrette del mare, sogna di raggiungere quello che per lui rappresenta l’Eden : Parigi, vissuta come luogo di tollerante accoglienza.

Gavras qui è abilissimo nel maneggiare il tema del Pregiudizio che non  limita alla pura  rappresentazione ma che serve sul piatto d’argento a  spettatori inconsapevoli, fabbricando con cura un clima di attesa del Peggio che poi si adopera a risolvere in un modo differente.

Una serie di brillanti trovate – Elias conosce solo una decina di parole in francese, parla pochissimo e quando gli capita, si esprime in un lingua inventata – crea gags divertenti che hanno l’andamento delle comiche.

Nel finale Elias è negli Champs Elysées, ha una bacchetta magica tra le mani,  la polizia alle spalle e davanti a sè la possibilità di accendere le luci della Tour Eiffel…

Omaggio ..agli emigranti gente che affronta mille peripezie per inseguire l’utopia. E’ necessaria grande personalità per lasciare tutto e arrivare in un paese in cui non sei nessuno e io volevo togliere al popolo dei clandestini un po’ di pesantezza, l’alone del pericolo…

Costa Gavras

Verso l’Eden è un film di Constantin Costa Gavras. Con Riccardo Scamarcio, Juliane Köhler, Ulrich Tukur, Anny Duperey, Antoine Monot Jr., Eric Caravaca, Michel Robin, Konstandinos Markoulakis, Florian Martens, Ieroklis Michaelidis, Bruno Lochet, Kristen Ross, Odysseas Papaspiliopoulos, Léa Wiazemsky, Tess Spentzos, Stella-Melina Vasilaki, Gil Alma, Marissa Triandafyllidou, Mona Achache, Alexandre Bancel, Igor Raspopov, Ina Tsolakis. Genere Drammatico, colore 111 minuti. – Produzione Grecia, Francia, Italia 2009. – Distribuzione Medusa –

Tutta colpa del Califfato

Tutta colpa del Califfato

Stamattina prima delle otto, Shinystat segnalava un insolito assembramento di visitatori provenienti dal Kuwait, dall’Arabia Saudita e dall’Egitto. Una decina circa. Chissà cosa li ha spinti fin qui ( spero non la speranza del Califfato Mondiale magari suggerita dal post precedente). Singolare coincidenza che ciò sia avvenuto il giorno otto di marzo e da un paio di sedi governative, impiegati a zonzo per il web di sicuro, ai quali,  già che ci sono,  insieme al benvenuto, porgerei volentieri la raccomandazione di tenere in gran conto le loro concittadine.

Ciò detto a me la Festa piace. Con o senza fiori e indipendentemente dal primo cittadino che – ricordiamolo – è pro – tempore, mentre  noi un po’ di meno.

 Quel che è stato conquistato dall’incendio della Fabbrica fino a oggi, sfidando infinite difficoltà, non è mai stato invano e merita di essere ricordato con ogni riguardo. Sia questo l’incoraggiamento per il tanto che c’è ancora da fare.

Nell’immagine, le attrici del film Due partite  tratte dal bel lavoro teatrale di Cristina Comencini. Un minuscolo omaggio a tutte le  giocatrici di canasta, poker, chemin e briscola della mia famiglia che nel corso del tempo, hanno lavorato per consentire a me  di essere quella che sono

Sei l'urtima rimasta …devi esse quella giusta

Sei l'urtima rimasta …devi esse quella giusta

A Franco Califano maestro di vita e di poesia autore di versi alati del tipo la macchina a lavare ed era ora/ decidi di far colpo quella sera, sul tedio e l’inevitabile  consunzione delle relazioni amorose, oppure Pasquale l’infermiere, m’hai capito/ quello che j’amancava mezzo dito, sul dubbio di paternità al cospetto della compagna friccicarella, la Giunta Capitolina ha affidato la celebrazione ufficiale dell’8 marzo. Concerto Recital al Parco della Caffarella.

Il sindaco deve aver pensato bene di ricorrere ad un artista organico che oltretutto di donne se ne intende, visto che  ieri l’altro a Roma 3, Facoltà di Giurisprudenza,  mentre era ospite di Azione Universitaria, lo stesso Califano – detto Er Califfo  qualora non fossero chiare le inclinazioni –  ha sgranato il consueto rosario:  
Quante donne? Da 1600 a 1700.
Le femministe mi danno del maschilista? Cazzi loro.
Le donne abbondanti sono meglio di quelle risicate .E un filo di cellulite fa libidine.

Contenti loro. Resta il dubbio del possibile ambito culturale o accademico in cui si è svolta una simile conferenza, ma stai a guardà il capello, come è stato pure spiegato, nel corso dell’iniziativa: basta col nozionismo, l’Università come Palestra di Vita, evviva la Poesia.( tutto maiuscolo)

Evviva. Anche se l’aula di Diritto Penale sembra la meno adatta a tenere a battesimo la Nuova Didattica. Non nozionistica bensì Poetica. Mancavano solo  le pallette colorate dell’incursione futurista e il repertorio si sarebbe potuto dire completo.

Sull’8 marzo i dubbi si moltiplicherebbero pure, ma arriva sempre il momento in cui si rimane senza parole. Oppure come dice Michele Serra oggi su Repubblica, meno male che c’è Alemanno che ci tiene allegri con le sue trovate.

Per questo chi non vuole che la festa sia mortificata con la solita paccottiglia xenofobico – securitaria, c’è il corteo del 7 marzo ore 15 dal Colosseo a Campo de’ Fiori, promosso dall’assemblea cittadina delle donne di venerdì 20 Febbraio 2009 cioè da AFFI e Casa Internazionale delle Donne  

A ognuno i propri percorsi. A cominciare dalla toponomastica.

Se ci faceva impressione istituzionalizzare la giornata col Centro Sinistra, figuriamoci con la Destra. Se non li conoscete…etc etc. E noi di Roma li conosciamo molto bene.

La foto l’ha scattata Pennarossa e loro sono le donne della Casa Internazionale di Roma

Nel titolo un verso – tra i più raffinati – della canzone del maestro di vita e poesia titolata – bontà sua – " me nnamoro de te"