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Tag: La fabbrica del cinema

Storia di un dolore, di un crimine e di una menzogna

Storia di un dolore, di un crimine e di una menzogna


Due lunghe file di profughi percorrono la  stessa strada, l’una in direzione contraria rispetto all’altra. E’ l’autunno del 1939, con il  patto  Molotov – Von Ribbentrop, l’Unione Sovietica di Stalin e la Germania di Hitler si sono divise la Polonia, annullandone di fatto i confini .

L’invasione dei due eserciti  è speculare, una manovra a tenaglia avvenuta quasi in simultanea. Infatti uno di quei  tronconi è in fuga dalla Wermacht e l’altro dall’Armata Rossa. La doppia tragedia produrrà  arresti e deportazioni nei campi di prigionia, nonchè nella primavera del 1940, l’esecuzione a freddo – uno ad uno con un colpo alla nuca – di 22.000 prigionieri tra civili e militari  nelle foreste di Katyn, Tver e Kharkov, per ordine del capo della polizia segreta sovietica, Lavrentij Berija, e di Stalin .

Le fosse comuni furono scoperte nel 1943, nell’immediato Mosca attribuì la strage ai nazisti, responsabilità che peraltro non trovarono conferma nemmeno a Norimberga. Al momento del ritrovamento, il quadro politico e militare era completamente stravolto, i  russi erano divenuti un indispensabile alleato per sconfiggere Hitler. Di qui la generale necessità di rimozione di quel capitolo dai libri di storia. Bisognerà attendere il 1990 perchè le autorità russe – Gorbaciov prima e Eltsin dopo – ammettessero le inequivocabili responsabilità russe, rendendo inoltre disponibile alla ricostruzione dei fatti un archivio fitto di documenti.( attualmente di nuovo secretati da Putin)

Katyn comincia con le immagini delle due file di profughi che avanzano e finisce drammaticamente  con lo schermo nero, pochi istanti  che paiono eterni sulle note dell’ Agnus Dei di Pendercki.  In mezzo il racconto dolente del massacro ricostruito nella sua dimensione più complessa, quella intima dei diari e delle lettere delle vittime. Andrzej Wajda – che in quell’eccidio perse suo padre –  è un narratore intenso ed appassionato, talmente coinvolgente è il suo modo di fare cinema che durante l’ultima campagna elettorale in Polonia, onde sottrarre se stesso alle pressioni dei politici e il suo lavoro a qualsiasi  strumentalizzazione, ha preferito che il film fosse presentato a elezioni ultimate.

Ottime le interpretazioni ed esperta la regia che in uno stile piuttosto tradizionale, intreccia varie storie, differenti per età e posizione sociale dei protagonisti,  con spostamenti temporali continui, in un crescendo drammatico che prepara il terreno al terribile epilogo. 

Uno dei problemi di questo film è dato dall’ impossibilità di rendere un quadro completo dell’accaduto a chi, magari più giovane, ha poca dimestichezza con quelle vicende storiche. Non tanto per l’inoppugnabilità delle prove, quanto per l’estrema articolazione dei contesti,  la comprensione dei quali sarebbe più facile affidare ad un documentario piuttosto che ad un film. Wajda tuttavia ci propone senza enfasi un lavoro corretto, onesto, fortissimo, in cui la ricerca della verità  è prioritaria rispetto alle polemiche alle strumentalizzazioni ed a qualsiasi ragion di stato.

La prima proiezione a Varsavia è stata seguita da un lunghissimo profondo silenzio interrotto solo da chi ha cominciato a pregare per i morti. Il silenzio ha accolto il film anche a Mosca, poi uno spettatore ha chiesto a tutta la platea di alzarsi in piedi e onorare le vittime di Katyn. In quel momento ho capito perchè ho realizzato questo film.

Andrzej Waida


Katyn è un film di Andrzej Wajda. Con Andrzej Chyra, Maja Ostaszewska, Artur Zmijewski, Danuta Stenka, Jan Englert, Pawel Malaszynski, Magdalena Cielecka, Agnieszka Glinska, Maja Komorowska, Wladyslaw Kowalski, Antoni Pawlicki, Agnieszka Kawiorska, Sergei Garmash, Krzysztof Kolberger, Wiktoria Gasiewska, Joachim Paul Assböck, Stanislawa Celinska, Alicja Dabrowska, Krzysztof Globisz, Oleg Drach, Oleg Savkin. Genere Drammatico, colore 117 minuti. – Produzione Polonia 2007. – Distribuzione Movimento Film –

Il y a longtemps que je t’aime

Il y a longtemps que je t’aime


Tra Il y a longtemps que je t’aime  a Ti amerò sempre, ce ne corre. Dispiace unirsi al coro di quelli che dicono che qui da noi i titoli dei film vengono tradotti a capocchia ma siccome qui da noi i titoli dei film vengono tradotti a capocchia, tocca fare i coristi.

Tanto più che il regista, Philippe Claudel, appartiene alla schiera dei Meticolosi & Attenti alla cura del particolare. Atteggiamento frequente negli  scrittori prestati al cinema, sempre ansiosi di  tradurre in immagini tutti i tic, gli sbrodolamenti descrittivi e le vocazioni intimiste tipiche dei letterati. Il risultato però, almeno per quanto riguarda il nostro Claudel, è un lavoro di notevole pregio, forse un po’ troppo leccato in qualche momento, ma trattandosi di troppo che non stroppia, per di più sacrificato sull’altare di un rigoroso impressionismo,  non è lecito lamentarsene.

Figura  chiave è Juliette  una donna di quarant’anni i cui trascorsi  non sono immediatamente svelati e che ritorna a Nancy – cittadina resa più provinciale di quanto non sia in effetti – dopo quindici anni di assenza. Accolta in casa della sorella minore che a malapena conosce e con la quale cerca, riuscendovi, di costruire un rapporto emotivo, turba, come spesso accade quando un corpo estraneo vi s’inserisce, la fragilità di un ordine costituito magari solo all’apparenza. Ogni personaggio della famiglia che accoglie Juliette,  scopriremo, ha un lato oscuro, un segreto, un mistero che la sua presenza  farà emergere con risultati che si possono immaginare.

Film intenso, mai lacrimevole, costruito su di una progressione drammatica disseminata di piccoli colpi di scena, narrazione che lavora su più livelli : la donna che deve ricostruire la sua vita, la famiglia che deve fare i conti con segreti inconfessati, due sorelle che cercano di avvicinarsi….il tutto abilmente mescolato con finezza di racconto e d’analisi.

Un po’ Rohmer un po’ Hitchcock. Per questo chi scrive, fedele alla consegna, non svelerà di questo film, segreto alcuno.

Ti amerò sempre è un film di Philippe Claudel. Con Kristin Scott Thomas, Elsa Zylberstein, Serge Hazanavicius, Laurent Grevill, Frédéric Pierrot, Claire Johnston, Catherine Hosmalin, Jean-Claude Arnaud, Olivier Cruveiller, Lise Ségur, Mouss, Souad Mouchrik, Nicole Dubois, Laurent Claret, Marcel Ouendeno. Genere Drammatico, colore 115 minuti. – Produzione Francia 2008. – Distribuzione Mikado

Why would I want to talk to David Frost?

Why would I want to talk to David Frost?

Da storica intervista televisiva, a pièce teatrale  di successo, a film,  ritrovando il racconto, in quest’ultima trasformazione, un brillante condensato di tre differenti generi. Consacrato da cinque nominations di quelle pesanti, including the best picture, come avvertono le locandine e i trailers, omaggio alla fatica di mettere in scena, lo storico match  in cui David Frost, anchor inglese privo di qualsiasi credito politico, incalzò talmente Richard Nixon, unico presidente degli Stati Uniti ad essersi dimesso,  da indurlo ad ammettere per la prima volta in pubblico le sue responsabilità nello scandalo Watergate. Ma anche storia degli antefatti, dei retroscena, del come si arrivò allo scontro televisivo, attraverso una lunga preparazione e ad un misurarsi reciproco assai simile a quello dei lottatori o dei pugili.

I protagonisti – Shenn e Langella – sono gli stessi della commedia di Peter Morgan, dunque da una parte pienamente avvezzi ai ruoli, dall’altra impegnati a moltiplicare gli sforzi innanzi alla cinepresa che a differenza del pubblico in teatro, scruta e mette a fuoco ogni dettaglio, così implacabile  da rendere evidente la più piccola falsificazione o il più infinitesimale degli errori. Bravi nel rendere l’uno, il presidente caduto in disgrazia che passò il resto della sua vita a cercare di risorgere, l’altro in quelli del conduttore d’intrattenimento per il quale quell’intervista rappresentò l’avvio  di ben diverse fortune professionali. Un Ron Howard inatteso in grado di rendere quell’evento sensazionale e i relativi  colpi  bassi come un’elegante raffinata partita a scacchi. Un gran bel film.

 Qui è possibile vedere The original Watergate  interviews, il vero scontro a fuoco del 1977 andato in onda per la televisione inglese in quattro puntate.

 

 

Frost/Nixon è un film di Ron Howard. Con Frank Langella, Michael Sheen, Kevin Bacon, Rebecca Hall, Toby Jones Titolo originale Frost/Nixon. Drammatico, durata 122 min. – USA 2008. – Universal Pictures

 

Sweet home?

Sweet home?

Davanti ad una casa priva di vie d’accesso,  laddove altri hanno il giardino o il cortile,  loro hanno un’autostrada mai terminata, chiusa da dieci anni, deserta. Loro sono una bizzarra famiglia e utilizzano quello spazio un po’ surreale come veranda, parco giochi, solarium, pista di pattinaggio. Si direbbero un gruppo compatto, lieto, giocherellone, ma a ben vedere quella  ricerca di felicità vissuta ai margini, lontana da mode e da rumori nasconde seri squilibri. Quando all’improvviso  l’autostrada sarà ultimata e prenderà a funzionare rendendo loro difficoltosa la sopravvivenza,  reagiranno come sempre : ignorando la realtà fino all’autoesclusione, alla rinuncia,  murandosi in casa per sfuggire ai rumori e all’inquinamento


Opera prima – documentari a parte –  di Ursula Meier, molto apprezzata a Cannes e dalla critica francese in genere. Meno dalle nostre parti, dove il film è stato giudicato cerebrale e un po’ troppo metaforico. In realtà la sceneggiatura funziona benissimo mentre cresce il disagio o quando, da piccoli e grandi indizi, viene rivelata la natura sostanzialmente folle  di quell’ insieme domestico. Ma essendo la narrazione costruita pietra su pietra, per essere destinata ad un finale tragico, l’happy end che la regista ammette di aver voluto inserire all’ultimo momento, squilibra l’economia del racconto,  risultando spiazzante e curiosamente stonato, quell’ improvviso risolversi della tensione, banalmente …nel trionfo dell’amore.

Il nemico non viene da fuori a turbare una serenità che non esiste e in cui ci  ostiniamo  a credere, il nemico è dentro di noi. Negazione ed autodistruzione procedono di pari passo. Sbaglia la critica che ha bollato questo film come criptico.

Grandissima Isabelle Huppert regina – e probabile artefice – incontrastata dell’Incubo Domestico e magnifica interprete del disastro psichico sotterraneo, ruolo a lei congeniale e già largamente sperimentato.

Futura Presidente della Giuria a Cannes 2009, compito che si propone di assolvere democraticamente con  occhio particolarmente attento al cinema di qualità che però richiami il grosso pubblico. Aspettando un nuovo Fellini. Che arrivi o meno, una cosa è certa : Isabelle sarà all’altezza.

Home è un film di Ursula Meier. Con Isabelle Huppert, Olivier Gourmet, Madeleine Budd, Kacey Mottet Klein, Adélaïde Leroux Drammatico, durata 95 min. – Svizzera, Francia, Belgio 2008. – Teodora Film

 

…e vai con Wagner

…e vai con Wagner

 


Bryan Singer, regista di rango alla prova di thriller emozionanti – The Usual Suspects, Legal Eagles, X Men – qui si cimenta con il filone sempreverde dei film sul nazismo, mentre dello stesso Genere stanno per arrivare qui da noi anche altri esemplari  – Good, Ingloriosous Basterd, The Reader – avendo il pubblico italiano già visto DefianceIl bambino dal pigiama a righe. Tutta colpa dell’11 settembre –  dicono – e del ritorno di quel senso di smarrimento e di morte per niente che l’idea delle stragi naziste implica.

Film preceduto e seguito da polemiche a non finire – germaniche specialmente – circa l’opportunità che un esponente di Scientology interpretasse il ruolo di un eroe nazionale ovvero gran preoccupazione per la lunga teoria di disgrazie, contrattempi e abbandoni  durante la lavorazione. Tutto questo fino alle varie Première europee, allorquando al consueto repertorio di rumors  si è  aggiunta – nonostante la pignoleria degli sceneggiatori –  la Madre di tutte le Querelles, quella sull’attendibilità storica, sui buoni e sui cattivi etc etc etc

Ciò che invece non è per niente chiaro e che nemmeno William Shirer, storico del Terzo Reich, ;rivela, è come fu  possibile che nell’ambito dell’operazione Valchiaria – uno dei dieci o dodici tentativi, purtroppo andati a male, di putsch contro Hitler – l’innesco dei due ordigni da sistemare nella Wolfsschanze, sia stato affidato ad un orbo, con una mano sola e due dita mancanti da quella cosiddetta buona. Tale era la condizione di Herr Kolonnel von Stauffenberg – il protagonista – all’epoca dei fatti.

Per il resto su Claus Philipp Maria Schenk Graf von Stauffenberg,  Shirer scrive che il ripensamento sul nazismo fu un po’ troppo tardivo e il complotto fortemente sospetto di voler semplicemente sostituire un gruppo di potere ad un altro, volendo i congiurati eliminare da quel regime solo gli stermini, tenendosi però tutto il resto. Cioè l’idea della Grande Santa Germania.

Mentre altri invece sono convinti che la congiura fu ordita per instaurare una sorta di regime liberaldemocratico e che il colonnello Claus fosse un eroe. Coraggioso invero lo fu, ma sfortunato oltreché obiettivamente impedito da quelle sue menomazioni. Ragion per cui, non riuscì ad innescare la seconda delle due cariche previste. Inoltre la riunione presieduta da Hitler non si tenne in quella stanza  ma altrove, poiché era luglio e faceva caldo. L’esplosione ci fu, ma il Führer se la cavò con qualche graffio. I congiurati invece furono passati per le armi il giorno stesso.

Ma qualunque sia la valutazione su Von Stauffenberg e su Cruise, legnoso & assorto, del resto come sempre –  atteso che un conte tedesco elegante ed austero, appartenente alle alte sfere militari, non è che esprima tanto di più- sarebbe un errore pensare a questo film come un prodotto scontatamente hollywoodiano. Molto perché risente della documentata ed elegante regia, molto perché il racconto poggia su di una ricostruzione accurata e su ipotesi razionali  in cui i personaggi non risultano, tutto sommato, centrali, col risultato che il rischio retorico santificante sfuma nella storia o nelle storie. Che poi è quel che più conta.

 

Operazione Valchiria è un  film di Bryan Singer. Con Tom Cruise, Kenneth Branagh, Bill Nighy, Tom Wilkinson, Carice van Houten Titolo originale Valkyrie. Thriller, durata 120 min. – USA, Germania 2008. – 01 Distribution