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I’m not a man, I’m Eric Cantona ( e con la maglia numero sette)

I’m not a man, I’m Eric Cantona ( e con la maglia numero sette)

 Sarà che a Cannes la proiezione di Looking for Eric era prevista il giorno successivo a quella di Antichrist – splendido ma angosciante –  sarà che i film di  Ken Loach hanno tutti un che di vivificante, fatto è che dopo aver visto le peripezie del postino Eric assistito – e chi meglio di lui –  dal suo ange gardien  Eric, tutti si sono sentiti immediatamente meglio.

Sette mesi dopo, la sensazione rimane inalterata, dunque l’effetto von Trier non c’entrava. Antichirst resta il bel film che era e Il mio amico Eric oramai passato per le maglie del doppiaggio, conserva intatto il suo strepitoso piglio.

Ken Loach che ama il calcio quanto il cinema ed Eric Cantona ex attaccante del Manchester che ama il cinema – Pasolini è il suo regista preferito – quanto il calcio, tant’è che, finita la carriera, s’è  dedicato anima e cuore alla sua passione, interpretando o producendo film e idee brillanti.

Come questa bellissima favola  che originariamente doveva essere sul rapporto del Campione con i supporters e che passata per le mani di Loach e del fido Laverty, si è ampliata trasformandosi in un elogio della working class tifosa e solidale, oltre che, naturalmente, del calciatore Cantona, entrato a far parte a buon diritto negli annali della storia del calcio per le qualità atletiche, per l’affetto che i tifosi del Manchester United ancora gli portano e per aver preso a pedate nel sedere un tifoso che gli aveva dato dello sporco francese . Gesto  costatogli un anno di squalifica.

Il fatto è che  l’idea centrale del film è anche l’Idea del Gioco secondo Cantona il quale sostiene che la sua migliore azione in campo è stato non un goal,  ma un assist smarcante servito a  Ryan Giggs, a tutt’oggi, miracolosa ala sinistra dei Red Devils.  – Devi sempre fidarti dei tuoi compagni  – Conclude. E per essere più forti – chiosa Loach – bisogna stare uniti.

C’è qualcosa di Frank Capra – lo hanno notato tutti e anche per me è così – nella storia del portalettere in crisi depressiva da vita di merda, affetti dissipati figli allo sbando e guai incombenti. Tutto sembra precipitare, finché il suo idolo, appunto Cantona, una bella sera non scende giù  dal manifesto appeso in casa, e materializzatosi lo accompagna in un glorioso tragitto di risalita.

Capra, Cantona e Loach, tre geni al servizio di una storia che non è solo edificante ma che contiene una visione esatta della società inglese, che individua nel tifo una metafora della Comunità, sospingendo con molta discrezione lo spettatore verso riflessioni sul significato della condivisione.

Sceneggiatura brillante ed aforismi irresistibili. Visto e ri-visto. Adorabile.

 Il mio amico Eric è un film di Ken Loach del 2009, con Steve Evets, Eric Cantona, Stephanie Bishop, Gerard Kearns, Lucy-Jo Hudson, Stefan Gumbs, Matthew McNulty, Laura Ainsworth, Max Beesley, Kelly Bowland. Prodotto in Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia. Durata: 116 minuti. Distribuito in Italia da Bim Distribuzione

 

 

 

Salsa Pedro

Salsa Pedro

 







Anche se non fosse – come dicono i patiti delle graduatorie –  il miglior Almodovar, avercene. E poi se i termini di paragone sono Parla con lei o Tutto su mia madre, superarsi non sarebbe impresa da poco nemmeno per uno come lui.

Maltrattato in patria dal maggior quotidiano nazionale  – presuntuoso noioso e vuoto – Los abrazos non è un film che ha il requisito dell’immediatezza. Presi, come ci si ritrova,  a sbrogliare una trama che dispiega personaggi – ciascuno col proprio doppio – su tripli piani temporali,  tra rimandi, ruoli, destini incrociati e citazioni, il piacere del film potrebbe sfumare.

In realtà,  a meno di essere integralisti della modalità narrativa A-B-C, nel tipo di struttura prescelta, risiede molto del fascino del film. Il resto è affidato ad una gran complicità artistica ed umana con Penelope Cruz, ad un utilizzo al meglio di ogni strumento a disposizione – musica, costumi, scene etc – e ad un gusto cinefilo smodato.

Il che rende amabile ogni fotogramma, vuoi per la presenza per niente discreta – e giustamente! – di Viaggio in Italia, vuoi per l’omaggio al Cinema e a chi , maestranze comprese, lo realizza. 

Ma non si tratta di citazioni tout court, piuttosto del mostrare senza reticenze quale peso abbiano avuto, registi come Malle, Hitchcock, De Palma, Tarantino, Godard, Demy, Antonioni, Allen, Minnelli nel suo cinema.

Storia di amour fou in cui la gelosia e la voglia mettersi  a (ri)fare cinema giocano un ruolo chiave.Tradizionale melodramma noir, cucinato in struggente salsa Pedro.

Gli abbracci spezzati è un film di Pedro Almodóvar del 2009, con Penelope Cruz, Lluís Homar, Blanca Portillo, José Luis Gómez, Tamar Novas, Rubén Ochandiano, Rossy de Palma, Ángela Molina, Carlos Leal, Carmen Machi. Prodotto in Spagna. Durata: 129 minuti. Distribuito in Italia da Warner Bros.

 

 

You know somethin’, Utivich? I think this might just be my masterpiece.

You know somethin’, Utivich? I think this might just be my masterpiece.

 


Poi dice che gli ci sono voluti dieci anni – inframmezzati, nei ritagli di tempo, dalla realizzazione di due cosucce del tipo  Kill Bill e Grindhouse, per portare a termine questo film .

E ti credo. Prima tira giù dagli scaffali la Cineteca di Babele sana sana, poi scrive a mano, subito dopo copia ( con un solo dito) il tutto su di una Smith Corona dei fine ’90 ( memoria sì, ma corta, deve stampare ogni volta la pagina )….

Ma tutta questa semicatastrofe d’imperizia e di stravaganza dei mezzi,  sostiene Tarantino, è una vera salvezza, perchè la scrittura è torrenziale e i personaggi tendono ad andarsene per conto proprio. E quale migliore opportunità per limare, scremare, tagliare se non l’essere privi del copia – incolla? Se lo dice lui. Alla fine del decennale strambuglione, questo è quanto :

Dimenticate il soldato Ryan per spostarvi nel solco infinitamente più avvincente della Spia di Damasco di Anche i boia muoiono della Grande Fiamma, di Duello al sole, di tutta la fantasmagorica produzione di propaganda nazi, dello spaghetti western, di Quel maledetto treno blindato di Castellari. E così tra Cannoni di Navarone e  Sporche dozzine, badando bene di non  dimenticare Lubitch, ne’ Leone, ora mescolando ora agitando l’infinità d’ingredienti,  avrete solo una piccola idea di cosa possa essere il fenomenale  Inglorious Basterd, film porno kosher o maccheroni combat, come è stato catalogato. E dato che fare secchi i nazisti come meritano, cioè con ogni mezzo di cui uno è recuperarne lo scalpo con la mazza da baseball, pare sia meglio del sesso e che il cinematografico dilagante Made in Italy,non occhieggia, ne’ sfuma, il racconto c’è.

Ma non si pensi al centone delle citazioni più o meno raffinate. Nessuna civetteria cinefila, nessuna frivolezza. Qui semplicemente si rifà la storia, si costruisce la Strategia della Paura per annientare il nemico, si ordiscono complotti in cinema parigini, si rappresenta finalmente la vendetta ebraica – non a caso a Tel Aviv il pubblico è andato in visibilio – si fanno morire i cattivi – Hitler, Goebbles, Goering – tutti insieme e  in un sol colpo. Prima la trappola della Premiere del film di regime, poi il rogo – vero, con tanto di lievi ustioni per gli attori –

Che dire. Null’altro se non che questo film, perfetto nella sua meticolosa stramberia risulta essere un lavoro di gran pregio. Da Stolz der Nation il film – nel film – di propaganda, veramente realizzato e tale da poter piacere al Reich, agli attori incredibili, all’idea dei cinque capitoli – compreso prologo ed epilogo – ognuno con uno stile diverso. Ne’ morale, ne’ politicamente corretto – avverte l’autore – poichè queste non sono le priorità. Ma poi esce fuori lo stesso un film politico di prim’ordine – e lui, quello che scrive con un dito solo, lo sa molto bene – .

(The masterprice cui allude il titolo del post è la svastica che Raine- Pitt disegna affondando il coltello  nella fronte del perfido nazista fino al cranio. Applausi a scena aperta, in molti cinema della capitale)

Bastardi senza gloria è un film di Quentin Tarantino del 2009, con Brad Pitt, Mélanie Laurent, Christoph Waltz, Eli Roth, Michael Fassbender, Diane Kruger, Daniel Brühl, Til Schweiger, Gedeon Burkhard, Jacky Ido. Prodotto in Francia, Germania, USA. Durata: 153 minuti. Distribuito in Italia da Universal Pictures

Das Weiße Band

Das Weiße Band

Non ci sarebbe niente di male se fosse vero, come del resto sembrerebbe,  che i premi assegnati a Cannes 2009, portano il forte imprinting Huppert. I presidenti, in definitiva si nominano appositamente perchè si assumano responsabilità e non per coordinare un lavoro con spirito esclusivamente notarile. ( chi prossimamente, in sede di selezione o in giuria, dovesse ritenere inelegante il dover difendere gl’interessi delle opere d’arte del proprio paese, impari la lezione Huppert)

Meno bene però è andata quando per spiegare il senso di una scelta evidentemente non assunta all’unanimità,  la stessa Huppert ha sostenuto  che Michael Haneke, come tutti i grandi artisti, o lo si ama o lo si detesta. Sciocchezza colossale, ci sono opere, è vero, che suscitano sentimenti contrastanti ma senza che questo sia di per sè un inequivocaile sintomo di grande qualità artistica. Mentre valeva la pena, proprio  trattandosi di Haneke, di porre accenti meno banalizzanti, magari sulla visione disperante di un’ umanità perversa e senza riscatto di cui l’intera cinematografia di quest’autore  è pervasa, ma soprattutto sul modo con il quale tutto ciò viene reso in termini di immagini.

 Un  pastore protestante, per esempio,  chiama i suoi due figli  nello studio per infliggere loro l’ennesima punizione. Michael Haneke ha fatto sistemare la macchina da presa nel corridoio prospiciente la stanza, quasi sulla porta, l’obiettivo seguirà l’azione ma in nessun caso varcherà quella soglia.

Haneke ha fissato lì la sua giusta distanza, quella dalla quale non si mostra ne’ si dimostra niente altro, se non che il Peggio che deve venire, incombe dietro quella porta. Il suo cinema dunque racconta la storie lasciando ognuno libero di formarsi un ‘opinione. Non l’autore quindi è l’artefice intorno al quale ruota la vicenda ma lo spettatore.

Implacabile diario di epoca pre bellica (prima guerra mondiale) in un villaggio della Germania del Nord, in cui i più deboli – i bambini, le donne ma anche gli handicappati – sono sottoposti ad una tale serie di vessazioni da parte dei notabili – non a caso esponenti del potere religioso, politico etc – da lasciar intuire che le violenze fisiche e psicologiche subite, siano da parte di quello stuolo di ragazzetti biondi con gli occhi azzurri, destinate tristemente a replicarsi, vent’anni dopo, su altri deboli, altri bambini, altri diversi.

Una certa educazione e cultura in senso assolutista porta a degenerazioni altrettanto assolutiste, al terrorismo, al fanatismo religioso, al nazismo, anche se questo mio film non è un lavoro solo sui fascismi. Ha annotato il regista a margine della proiezione.

Troppo scontato il riferimento a Bergman per l bianco e nero o per lo schiudersi dei mostri ma in effetti questo è solo e soltanto un film molto Hanekeiano.

Das Weiße Band è Un film di Michael Haneke. Con Susanne Lothar, Ulrich Tukur, Burghart Klaußner, Josef Bierbichler, Marisa Growaldt, Janina Fautz, Michael Kranz, Jadea Mercedes Diaz, Steffi Kühnert, Sebastian Hülk, Michael Schenk, Leonie Benesch, Leonard Proxauf, Theo Trebs. Genere Drammatico, b/n 144 minuti. – Produzione Austria, Francia, Germania 2009. – Distribuzione Lucky Red

Où es tu?

Où es tu?

Dedicato ad Andrej Tarkoski  – ma zeppo di riferimenti letterari e pittorici :  Munch, Bosch, Strindberg, Freud, Nietzsche – ecco qui il film che ha fatto più incetta di insulti e definizioni senz’appello – scandaloso e provocatorio – le più frequenti. A queste ultime tuttavia si potrebbe anche non attribuire connotazioni del tutto  negative,  atteso che Lars Von Trier filma da sempre con violenta sincerità e gran maestria i demoni della propria depressione E non solo della propria, sembra,  quantomeno a giudicare da certe curiose reazioni della sala

Vedi momenti di fou- rire . Presumibilmente non dovuti a comicità involontaria.

Dunque, a meno di non essere appassionati della ( pur rispettabile) formula  A B C  messaggio e finale a piacere, raccogliamo tutte le provocazioni che Von Trier dissemina sul percorso, prima tra tutte, quella rappresentata dalla ossessiva paura della sessualità femminile, vera origine del sentimento misogino che spesso gli viene addebitato dalla critica.

A seguire  quella data dalla messa in scena del conflitto tra i sessi come contrasto tra razionalità e pulsioni,  sapere e istinto, follia ed equilibrio in una sorta di resa dei conti di cui il sadismo è l’ingrediente fondamentale.  Sarà anche demoniaco tutto ciò,  ma di sicuro non estraneo all’essenza delle cose.

 Vorrei invitarvi a gettare uno sguardo furtivo dietro la tenda, uno sguardo sull’universo oscuro della mia immaginazione, sulla natura delle mie paure, sulla natura dell’Anticristo.  Si legge nelle belle note di regia.

Strutturata in quattro capitoli, la storia si apre e si chiude con un brano di Händel :

Lascia ch’io pianga mia cruda sorte
E che sospiri la liberta

Tema centrale dunque è il dolore di una coppia alla prova più dura della perdita di un figlio che cade dalla finestra mentre i genitori fanno l’amore in preda ad un tale raptus erotico, da non accorgersi del pericolo.

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Rimasti soli – dei due si ignora il nome –  si trasferiscono in una  baita del livido Eden Forest, un bosco percorso da fenomeni inquietanti. Ma nel tentativo di uscire dal tunnel di follia che li ha condotti ai confini della realtà, intraprendono una sorta di via crucis tra espiazione, e sensi di colpa in cui tutto può accadere. E infatti accade.

Bellissime le immagini e gli effetti speciali, particolarmente la sequenza iniziale al ralenti col montaggio che passa  in continuazione dall’inteccio amoroso alla caduta del bambino e viceversa,  alludendo a  terrificanti associazioni :  amore e morte, innocenza e dannazione, piacere e sofferenza. I temi cari a Von Trier sono tutti racchiusi in queste due ore di coinvolgente – e per stessa ammissione del regista –  autoterapeutica visione .

Toccante interpretazione di Charlotte Gainsbourg

Antichrist è un film di Lars von Trier. Con Willem Dafoe, Charlotte Gainsbourg. Genere Drammatico  colore 100 minuti. – Produzione Danimarca, Germania, Francia, Italia, Svezia, Polonia 2009. – Distribuzione Lucky Red