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Adele

Adele

Si elogia lo stile di Adele,signora ultraottentenne,da qualche tempo lontana dai rumori della politica,dedita alle traduzioni e alla pittura .Se ne rammenta l’impegno.Tutta la vita :dalla lotta partigiana alla Spagna di Franco e durante gli anni successivi ,le battaglie per i Diritti, il Femminismo ma anche la settima e l’ottava legislatura, a Montecitorio,eletta nelle liste del Partito Radicale,dove Adele contribuirà alla stesura della Legge 194.Poi,come spesso capita, disse che sentiva spegnersi la passione che aveva animato la sua vita e che forse "non capiva più" la politica.Così, dopo aver fondato nel 1989 insieme ad altri, il partito dei Verdi Arcobaleno,semplicemente si ritirò.L’annuncio della sua morte è stato dato oggi,a funerali avvenuti.Un ultimo desiderio questo :l’uscita di scena in silenzio.

La signora che scende le scale al braccio del deputato socialista, Loris Fortuna è lei,Adele Faccio.I signori che la circondano sono agenti di polizia in borghese.E’ il 25 gennaio 1975,poco prima ,davanti ad un’affollatissima manifestazione al cinema Adriano di Roma, Adele sul capo della quale pende un mandato di cattura per procurato aborto,è salita sul palco .All’arresto plateale ed immediato seguiranno trentatrè giorni di detenzione.

Inevitabile ripescaggio

Inevitabile ripescaggio

In questi giorni di dibattito sul Calcio, che un po’ è il solito vociferare melmoso e confuso,un po’ è anche l’occasione per riflessioni serie (Portelli sul Manifesto,Gianni Mura,John Lloyd su Repubblica, tutti di oggi ),il continuo e spesso inopportuno riferimento al calcio inglese, mi ha suggerito di disseppellire il Nick Hornby di Febbre a 90′ e  ciò perchè, poco dopo la sua uscita in Italia, erano in molti a definire questo suo libro sulla passione per il calcio, (scritto da  supporter dell’Arsenal piuttosto agguerrito quale egli è, ma nel contempo ironico,autocritico e ben consapevole di vivere un’esperienza così totalizzante da condizionare l’intera propria esistenza)come la Bibbia dei Tifosi.Il ripescaggio attiene alle pagine sulla vicenda dell’ Heysel.Illuminanti :

Penso che sia questa la ragione per cui quella sera mi vergognai tanto dell’accaduto : sapevo che i tifosi dell’Arsenal avrebbero potuto fare lo stesso,e che se all’Heysel ci fosse stato l’Arsenal a giocare,io di certo sarei statò là – non nei disordini o a caricare la gente – ma comunque parte integrande della comunità che generava quel comportamento.Poichè il punto fondamentale della tragedia fu questo : i tifosi di calcio avevano potuto guardare in televisione i servizi,per esempio,sui disordini di Luton Millwall o sul ragazzo accoltellato  in occasione della partita Asenal – West Ham e provare un senso di profondo orrore ma senza sentirsi in qualche modo legati o coinvolti.Gli esecutori materiali non erano il genere di persone che noialtri capivamo o con i quali ci identificavamo.Ma il gioco da ragazzi che a Bruxelles si rivelò omicida,s’inseriva chiaramente e con prepotenza in una serie di atti apparentemente inoffensivi ma evidentemente minacciosi – cori violenti,gesti volgari,,tutto quell’insieme di stupide smargiassate – a cui un ‘ampia “minoranza" di tifosi si abbandonava oramai da una ventina d’anni..In breve l’Heysel fu l’espressione di una cultura che la maggioranza di noi,me incluso,aveva contribuito a creare.Non potevi guardare quei tifosi del Liverpool e chiederti come avevi potuto fare con i tifosi del Millwall a Luton o con i tifosi del Chelsea nellapartita di Coppa di Lega ” Ma chi è quella gente?”.Perchè lo sapevi già.

Nick Hornby Febbre a 90′ Capitolo Liverpool – Juventus  29 maggio 1985 Edizioni Guanda pagina 154

Ognuno

Ognuno

Mentre i traduttori finiscono di lavorare intorno a The Castle in the Forest ultimo,in ordine di tempo ,libro di Norman Mailer,  esce, atteso (come merita) Everyman di Philip Roth.Centoventitrè pagine (meno di un pomeriggio, per il fortunato lettore) delle considerazioni di un uomo senza qualità, sulla propria morte che giunge al culmine di una vita che egli stesso definisce deludente seppure densa di avvenimenti e non priva di affetti.Differentemente dalle morality play del medioevo britannico cui il titolo – Everyman – allude, nelle quali i protagonisti in vista della fine, cercano di recuperare il tempo perduto diventando uomini migliori in virtù di percorsi edificanti, il Nostro protagonista (senza nome), s’impegna in un’ autoanalisi impietosa, in cui i flashback dei ricordi si mescolano alle considerazioni sull’Oggi scandito dall’abbandono progressivo di prestanza fisica  e salute ,(temi centrali),o dall’ennesima delusione procurata da un talento per la pittura in cui aveva sempre pensato di potersi rifugiare in vecchiaia e che invece, scopre, non esserci nemmeno.Ma indipendentemente dalla trama o dall’interesse che comunque possono suscitare le riflessioni proposte,quel che colpisce di Roth è la scrittura,potente, strutturata priva di orpelli,di compiacimenti intorno  ad un tema quello della Morte che pure è fortemente a rischio di cedimenti verso il lirismo,la nostalgia,il pentimento il recupero della  spiritualità religiosa.Mancando tutto ciò, non rimane che l’osso : la propria mortalità contro la quale combattere tutta la vita ma attraverso la quale, infine,  liberarsi del peso di esistere.

Everyman è un libro di Philip Roth tradotto da Vincenzo Mantovani ed edito da Einaudi

Non Perdetelo

Non Perdetelo

Polonia, Ucraina ,Bielorussia ,Moldovia, Romania, Ungheria,lo stesso tragitto non lineare raccontato da Primo Levi nella Tregua, il suo viaggio di ritorno dal lager fino a casa in Italia.Un intreccio di parole di ieri con immagini di oggi,con un prologo che parte da Ground Zero,dal punto in cui è finita la tregua dei nostri tempi.La strada di Levi comincia da Auschwitz.La cortina di ferro però è caduta.


Così c’è Nowa Huta la grande fabbrica polacca orgoglio del regime, oramai ridotta al lumicino.Lì operava l’Uomo di Marmo  e Andrzej Wajda racconta il dramma del comunismo mentre la camera indugia sullo squallore del liberismo, incrociando gli sguardi degli operai disoccupati seduti ai tavoli di un bar.


E ancora Chenobyl che all’epoca di Levi non esisteva e nemmeno adesso se non come luogo di assurdo turismo.La Bielorussia che non ha ancora accettato il crollo sovietico,che ha ancora i funzionari preposti all’ideologia,solo che tutto oggi sembra venato di grottesco.La strada di Levi il bel documentario di Davide Ferrario diventa la sintesi di un viaggio dolente attraverso il Novecento mentre la voce narrante di Primo levi non smette mai di essere di sottofondo.In Moldavia spunta un cammello più o meno nel luogo in cui Levi racconta di averne visto uno e in Romania, una comunità di zingari accampati vicino ad una quercia,una delle pagini più toccanti della Tregua.Soprattutto c’è in questo bellissimo documentario, una ricerca del senso delle cose come amava fare Levi :

La storia è qualcosa di complicato e ininterrotto. Per questo è importante, per esempio, comprendere il consenso, anche se gonfiato, di personaggi come Lukachenko. Bisogna capire quest’Europa in transizione, fatta di movimenti incompiuti. Come Levi scriveva negli anni ’60 La tregua, in mezzo alla Guerra Fredda, noi facciamo questo viaggio nell’Europa dell’Est durante quella al terrorismo. Perché, non dimentichiamolo, anche noi abbiamo vissuto una tregua. Quella che tra il 1989 e il 2001, tra il crollo del Muro di Berlino e quello delle Torri Gemelle, fu definita “la fine della storia”. E’ quello che mi ha spinto ad accettare l’idea di Marco Belpoliti, anche se l’iniziale entusiasmo si è traformato in una certa paura, vista quant’era ambizioso il progetto. Come Levi cerchiamo di comprendere il presente, attraverso la storia. In questo senso lui è nostro contemporaneo.

Davide Ferrario

 

 

 

Maximum City (si può tornare a casa?)

Maximum City (si può tornare a casa?)

Maximum city sottotitolo dell’edizione americana Bombay Lost and Found , Bombay perduta e ritrovata ( a noi è toccato Bombay città degli eccessi) è il bel libro di Suketu Mehta ,giornalista per eleganti riviste americane ( Harper’s,The voice of village,Granta), sceneggiatore per Bollywood, alla sua prima prova di scrittore.Riuscita,va subito detto, come meglio non si sarebbe potuto.Dopo ventun anni vissuti tra l’Europa e gli States Metha torna in qualità di NRI indiano non residente,(esponente dunque di una delle più grandi diaspore del mondo) e trova che nel frattempo la città è diventata eccessiva,intasatissima,immensa,divisa tra lusso e slums,tra potere e miseria,tra legalità ed illegalità,divisa tra passato estremo,presente altrettanto estremo e futuro conseguentemente estremo.Gli autori di razza sono invisibili,in questo caso la materia estremamente ricca e complessa, impone di essere dietro alle cose,di nascondersi dietro alle domande e, impercettibilmente, di ottenere le più incredibili risposte : ne fuoriesce a valanga il ritratto di una città esplosiva,la rappresentazione dell’incubo e della meraviglia urbana.Come si sopravive in una città in cui l’Alta Corte  ha decretato che le estorsioni sono deducibili dalle tasse?Quanto costa un killer?(35 dollari).Come sono le condizioni abitative in condomini in piena deregulation dove tutti, approfittando di una vetusta legge sul blocco degli affitti che scoraggia i proprietari da qualsiasi intervento manutentivo,fanno dispetti- elettrici,idraulici,strutturali – a tutti, spesso a rischio di crolli e disastri?Accanto al racconto di una quotidianità resa con distaccato umorismo,Mehta indaga la grande criminalità,i contrasti etnico religiosi e Bollywood e lo fa intervistando alti ufficiali di polizia,celebri per essere incorruttibili ma dalle maniere spicce (la tortura è una pratica corrente),o l’esponente di spicco del del Shiv Sena il partito nazionalista indiano che vanta i  musulmani assassinati nei moti del 1993 e che adesso fa affari con i sopravvissuti,gestisce una televisione via cavo,non fa mistero di nutrire una forte ammirazione per Hitler e manda la figlia in una scuola elegate e prestigiosa della città.Un libro pieno di cose e di storie in cui Mehta racconta tutto con la grande qualità dei giornalisti che non inquinano i fatti con le opinioni ma che puntano alla rappresentazione attraverso una scrittura densa ed efficace :al di là del Taj Mahal dell’India Gate zona in cui in genere i turisti si fermano c’è, come e per gran parte dell’India,un’altra città,un altro mondo:una sorta di laboratorio folle del futuro della convivenza urbana e forse della civiltà.

Maximum City – Bombay la città degli eccessi-   è un libro di Suketu Mehta tradotto da Fausto Galuzzi e Anna Nadotti.Edizioni Einaudi