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San Cosimato ( guarda noi ‘ndo vivemo)

San Cosimato ( guarda noi ‘ndo vivemo)

Questa storia può essere raccontata utilizzando gli strumenti del sarcasmo e dell’ironia ovvero quelli più seri e compassati dell’analisi politica ma gli uni, indispensabili a stemperare il Tedio quando si tratta di imprese a 5 stelle, non soccorrono più lo Sconforto e gli altri non sono sufficienti a comprendere quello che sta succedendo in questa città. Cercherò dunque di far ordine  in qualcosa che oltretutto mi riguarda e che sta accadendo a pochi metri da casa mia. Tenendo a freno la rabbia :

Nella foto sopra è riconoscibile Carlo Verdone  mentre assiste alla proiezione di  Bellissima  di cui ha tenuto poco prima un’istruttiva, brillante  presentazione. Siamo nell’arena di piazza San Cosimato, Trastevere, da qualche estate luogo di rassegne e iniziative organizzate da un gruppo di giovani appassionati di cinema che, riuniti in associazione – Piccolo cinema America –   partecipano a bandi e curano progetti  mirati soprattutto a sottrarre le sale cinematografiche ad usi impropri o come nel caso di San Cosimato a far vivere  luoghi  altrimenti dimenticati. Tu chiamala se vuoi Riqualificazione.

I giovani sono giovani davvero  – non più di venticinque anni – quindi non particolarmente  esperti ma egualmente forniti di entusiasmo e soprattutto di uno speciale istinto per trovare la quadra tra Qualità e Gusti del Pubblico, il che ha prodotto nel corso del tempo cartelloni cinematograficamente significativi. Le loro proiezioni gratuite sono affollatissime e il loro entusiasmo ha conquistato l’intero quartiere che letteralmente li adora. Da tutto questo è scaturita l’attenzione di figure di spicco del Cinema Italiano. Tanto per citare qualcuno : Bertolucci, Moretti, Virzì, Benigni, Guadagnino, e qualche estate fa, pure Scola e Rosi  ciascuno animando le serate  con dibattiti, interventi, presentazioni di film propri e altrui.

Poteva la favola bella dei giovani engagés amati dal quartiere etc non avere i suoi orchi cattivi a tendere insidie e trappole? Pochi a dire il vero e in perfetta linea con una certa tradizione di questa città che ha sempre visto iniziative del genere osteggiate con le argomentazioni classiche de  il cinema non è cultura, i monumenti  (quando si tenevano rassegne tra le rovine) sono più adatti ad ospitare quartetti d’archi e via enumerando. Allora erano strali di democristiana provenienza, fosse ancora tra noi Renato Nicolini, pace all’anima sua,  ne avrebbe raccontate delle belle sui detrattori dell’Estate Romana ma oggi che il vento è cambiato chi avrebbe potuto aspettarsi la ripresa in grande stile degli sbandieratori del disturbo alla quiete pubblica (lo scorso anno, si comincia sempre con quello) o delle guerricciole via facebook, twitter o quel che è, sull’opportunità di vedere vecchi film, sul come guardarli e dove,  ovvero sulle possibili patologie che affliggerebbero gli spettatori dell’arena davanti alla meraviglia di Maddalena Cecconi che presenta sua figlia Anna al Maestro Blasetti.

Per farla corta, il governo della città che non ha mai amato troppo i giovani dell’associazione, l’arena e i trasteverini (che non l’hanno votato) vuol mettere a bando la piazza come iniziativa dell’Estate Romana. E non ci sarebbe niente di male se il capitolato non contenesse forti limitazioni all’attività fin qui svolta e clausole vessatorie tali da sconsigliare la partecipazione . Che dire. Siamo alla vendetta.

Eccola qua 

L’intemerata moralistica è servita.Come ai bei tempi. Come si conviene in ogni scostumata campagna elettorale in cui pur di delegittimare l’avversario si scomodano i morti, i vivi, la mercificazione dell’arte,la manipolazione del consenso, il panem, i circenses e tutto il resto del corredo di inutili banalità biascicate in sostegno della Purezza della Cultura e dei Luoghi Deputati. Ancora immondizia in questa città. Ancora una volta di stampo reazionario.

Bellissima non è (solo) un film sulle illusioni e ambizioni piccolo-borghesi di una madre.E’ un film sul Cinema. Lo racconta assai bene una sequenza in cui Spartaco e Maddalena sul terrazzino della loro casa al Prenestino stanno guardando un film che viene proiettato nell’arena allestita in uno spazio sottostante. Il film è Il fiume rosso di H. Hawks, Maddalena è rapita dalla scena di una mandria che sta attraversando il fiume.

Spartaco è scettico : ah Madale’ lascia sta er cinema.

E Maddalena  : Ah Spartaco , nun me capisci tu. Guarda che bei posti…guarda noi ‘ndo vivemo.

Ecco: guardate noi ‘ndo ce tocca vive.

 

 

Passione triste

Passione triste

Piccola nota a carattere biografico in premessa :

Mi permetto di dire la mia, talvolta giudicando,  perché nel corso di una non breve militanza, ho lavorato a progetti di interesse collettivo realizzati in nome e per conto prima del PCI, poi del PDS dei DS e infine del PD. E l’ho fatto sempre da una posizione di minoranza. Cioè combattendo resistenze, ostilità, personalismi. Tutto questo nella convinzione che l’utilità di quei progetti (asili nido, mense scolastiche, impianti sportivi, centri anti violenza tutti ancora funzionanti e al servizio dei cittadini romani) valesse bene il logoramento di una battaglia interna spesso aspra, rappresentando quei progetti il senso di un’appartenenza convinta : la mia.

L’istinto di fuga non è mai stato nelle mie corde mentre vale ancora la lezione ingraiana del “gorgo in cui rimanere e combattere” di recente evocata da Gianni Cuperlo in sede di Assemblea Nazionale. Dunque resto qui e sono ancora minoranza.)

 

 

E allora poiché mi piace parlare di politica, faccio finta che le recenti defezioni non possano essere causate dal profilarsi di una legge elettorale proporzionale buona solo a sollecitare frazionismi, tutele di rendite di posizione e revanchismi. Egualmente metto da parte la perplessità che mi suscita il rabbrividente, per fallimentare inattualità, titolo dell’impresa : Rivoluzione Socialista.Tralascio anche le molte contraddizioni, una per tutte quella su Gentiloni à la carte – Gentiloni for ever  come merce di scambio.

Infine voglio ancora  ignorare il fatto che lo specialissimo sentimento di odio nei confronti di Matteo Renzi  abbia in sé qualcosa di talmente patologico e sospetto da ridurre la portata e, in qualche modo, offuscare le ragioni politicamente più nobili degli scissionisti.

Dunque, sgomberato il campo, come si dice in questi casi con brutta espressione, da retropensieri, processi alle intenzioni e visioni psicoanalitiche, un paio di dubbi permangono. Uno riguarda l’energia che i fuoriusciti  hanno investito nell’andarsene e il perché la medesima foga non sia stata impiegata durante i mille giorni del governo Renzi nel doveroso tentativo di correggere via, via  errori,  veri e presunti, che invece  oggi con intempestiva chiarezza vengono posti in forte rilievo come motivazioni  imprescindibili della scissione.

In definitiva quale potrebbe essere stato il compito di una minoranza se non quello di proporre alternative orientando diversamente articolati e riforme?

L’altro riguarda la curiosa idiosincrasia per la conta (fase finale, forse poco elegante ma inevitabile di ogni processo democratico) che in tutti i casi ristabilisce l’entità dei rapporti di forza, come si sarebbe detto un tempo, oggi più pedestremente : di chi governa il partito e di chi  aspetta con laboriosa pazienza di cambiare le cose.Una chiarezza necessaria  che non può essere elusa, pena la perdita dell’ orientamento e di conseguenza del senso della realtà.

Non riesco a credere che,  espletata una misera contabilità, gli scissionisti abbiano avuto una così scarsa fiducia nell’efficacia delle proprie ragioni da decidere di non sottoporre la proposta al vaglio di un Congresso. Rimandando quell’uscita con tanto di porte sbattute magari a dopo un confronto più ampio di quello offerto  in Assemblea o  in Direzione, avrebbero reso più dignitoso il distacco.

Che male hanno fatto a costoro gli iscritti? Perché ne hanno temuto il giudizio?

Il fallimento di un progetto politico cui si è  lavorato per anni non dovrebbe consumarsi con un banale non ci sono le condizioni.

Soprattutto quando non è dato conoscere quali sarebbero state le condizioni per rimanere. In questa sarabanda di dichiarazioni e di retorica a suon di fumosi quanto desueti scenari federativi  pro salvezza della sinistra, quando non della patria, francamente mi perdo. La conoscenza di certe dinamiche non mi soccorre, l’esperienza nemmeno. E so anche perché.

Ma per una volta la tristezza impedisce alla fatica dell’autocritica di  trasformarsi in autolesionismo. I dubbi rimangono. Gli scenari che si profilano nella vita vera non possono essere contrastati con la frammentazione, casomai con l’Unità, costi quel che costi. Peggio della destra che comunque avanza, c’è questo farsi strada nella testa delle persone comuni dell’idea che protezionismi, sovranismi, e uomini forti più o meno soli al comando, potranno salvarci la pelle.

E contro queste distorsioni non basteranno le operazioni parlamentari, i tatticismi,  e il risiko degli schieramenti, nemmeno di quelli dei più volenterosi. Servirà la forza di un pensiero autenticamente riformista a partire dalle piccole cose quali il licenziamento di una legge elettorale che non produca storture, alleanze spurie e pasticci vari. Servirà la correzione degli errori prodotti in corso d’opera e una fatica spesa in direzione opposta a quella fin qui messa in campo : quella della ricucitura. Solo un grande partito supportato dalla speranza che non sia già tardi potrà fare tutto ciò.

 

 

Nell’illustrazione Paolo Virzì sull’Unità di oggi, tenta, riuscendovi, di alleggerire il senso  di amarezza.

 

 

 

 

 

Distacchi

Distacchi

 

I distacchi, avvertono i conoscitori dell’animo umano, sono fondamentali opportunità di crescita. Quando me lo dicono, domando se per caso non vi siano modi meno dolorosi di quelli del lutto, evento realmente definitivo e proprio per questo inspiegabile. Ovvero – ma questo lo tengo per me, temendo di passare per presuntuosa arrogante – se io non sia sufficientemente cresciuta , alla mia non tenera età, da non aver più bisogno di questi strappi per diventare grande.

L’elaborazione del lutto è entrata a far parte del lessico comune, me la auspicano insospettabili verduraie imponendo al proprio linguaggio abituale, sobbalzi da triplo salto mortale con avvitamento. Pare facile. E invece non lo è affatto. Parola di chi questi distacchi sopporta da quando era ragazzina e ora teme un pericoloso effetto domino, essendo il mio povero papà, punto di riferimento di molte altre persone che l’età ha reso estremamente fragili.

Per conto mio, ho ripreso il cammino da subito, seguendo un vecchio istinto ed una di lui,  precisa indicazione. Solo questo blog ha subito una battuta d’arresto, scrivere in certi momenti significa tirare fuori il peggio, tra rabbia, lamenti  e retorica. Questione di pudore – mi piace pensare –  o forse di scarso coraggio, di indisponibilità a mostrarsi. Comunque a lui non sarebbe piaciuto nemmeno questo tipo di cedimento, l’altissimo senso della sua lezione preferita: occhi asciutti, schiena dritta e testa alta, ne avrebbe invariabilmente sofferto.

Così ho deciso che non me ne può fregar di meno dell’elaborazione del lutto. Mi tengo stretto il dispiacere e vado avanti. Che altro non so e non ho voglia di fare.

Nell’illustrazione una sequenza di Baaria. Padre e figlio stanno per assistere al primo film della vita di Giuseppe Tornatore.

Dov’eravamo rimasti ?

Dov’eravamo rimasti ?



Agl’infiniti linguaggi del cinema alla ricchezza del suo alfabeto d’immagini e di conseguenza all’inutilità dei sacri principi estetici, delle gabbiette interpretative, delle divisioni in generi, alti, bassi, medi,  tanto care ai teorici e agli schematici desiderosi di mettere le braghette a qualsiasi cosa.

Giuseppe Tornatore di nuovo in campo, è costretto a investire più tempo per spiegare cosa NON è Baaria, piuttosto che a raccontare cos’è. Un’ opera sontuosa, epica, fragorosa, velocissima. Poi d’accordo – non rompiamoci la testa contro i muri che rimangono intonsi e soprattutto sempre quelli – non è Bertolucci, per mancanza di solenni e robuste impalcature ideologiche, ne’ Fellini per un modo differente d’intendere il cinema di poesia. Curioso però che il terzo atto di Novecento non abbia visto e probabilmente non vedrà mai luce perchè come generosamente spiega l’Autore, si è smarrita la tensione, la sintonia con quel contesto politico-culturale che aveva accompagnato le fasi della lavorazione sia di Novecento che del contemporaneo (meraviglioso) Salò

Stai a vedere che la rivoluzione non la fa chi dovrebbe e la si pretende dal cinema, dice un personaggio della Terrazza di Scola.

Non rompiamoci la testa. E sia. Raccogliamo l’esortazione di Peppuccio, forti di una recente piazza, bella ed assertiva ma anche vagamente sfiancati da delusioni e perplessità prodotte da un giro significativo per congressi di circolo. Presenze da ritagli di tempo, dunque non come si dovrebbe, ma le giornate sono sempre più complicate tra lavoro e famiglia da seguire. ( Volevo tutto? Carriera, impegno, affetti, famiglia adorabile ma ingombrante e fracassona? Eccomi servita)

Però, già che ci siamo,  usiamola la testa. Narcisismo, sciatteria, incapacità, – le prime due generano la terza – hanno segnato l’opposizione di centro sinistra in questi ultimi quindici anni . Moretti coglie nel segno con espressioni appropriate ed ha, come sempre,  ragione da vendere.

Gli ultimi episodi poi, sembrano cadere a proposito, racchiudendo un modus e, vorrei dire, un’era. Poichè anche se ognuno sa che la presenza dell’intero gruppo parlamentare democratico avrebbe comunque prodotto presenze in campo avverso in quantità sufficiente da far passare il decreto sullo scudo fiscale, non è possibile offrire ad un elettorato deluso ed amareggiato questa immagine da sbando.

Ci stanno chiedendo tanto e, per quanto ne so e verifico, molti sono ancora disposti a dare e ad impegnarsi – che di questi tempi vuol dire anche sostenere il peso esistenziale di una diversità – 

I parlamentari privi di giustificato motivo, però,  favoriscano dimettersi e non perchè si vogliano tributi di sangue a placare le ire del popolo, ma per una questione di rispetto e di etica politica. Suvvia, fuori dalle scatole, senza eccezione alcuna, com’era nelle chiamate al voto sull’Unità all’epoca in cui gli SMS – che siano comunque benedetti – erano in mens dei.

You sold your soul to the devil when you put on your first pair of Jimmy Choo’s, I saw it.

You sold your soul to the devil when you put on your first pair of Jimmy Choo’s, I saw it.

Tu hai venduto l’anima al diavolo quando hai indossato il tuo primo paio di Jimmy Choo. Ti ho vista. Dice Emily ad Andrea in The devil wears Prada.

E in effetti dietro questa polacchina – che definirei da diporto – della collezione invernale, coda, forcone e zoccolo un po’ s’intravedono.

Siamo grati alla commedia americana ( in genere) per l’intelligente divertimento e gli utili consigli di stile. Le scarpe poi –  io me lo ripeto da sempre –  sono un significativo emblema del costante desiderio dell’Umanità di andare da qualche parte.

Non so se la teoria sia accreditata ma potrebbe. E comunque funziona benissimo per tacitare i sensi di colpa post incursione nel settore calzaturiero o per sostenere le incertezze dell’essere spesso  in desperate need of ...( scarpe, borse, cinture)

Volendo, le divine commesse ti rifilano anche la borsa nello stesso suede con frange e perline. Un po’ troppo da diporto  per una che con queste ai piedi andrà al lavoro. Magari di pomeriggio.( ma comunque stanno sotto la scrivania…chi le vede? E vabbè )