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Tag: La fabbrica del cinema

Arabeschi

Arabeschi


Dieci inverni possono sembrare abbastanza per riconoscere un sentimento ma per i due protagonisti di questa storia,  si tratta di un arco tempo vissuto a distanza, la continuità semmai è in un filo che lega  gl’incontri casuali o in una corrispondenza intorno alla quale si costruiscono intimità e si dipanano equivoci. Ci si perde e ci si ritrova, poi si torna a perdersi,  in un tempo della relazione dilatato, mentre ciascuno vive proprie esperienze che, non a caso, restano fuori campo.

Una storia  di atti mancati e di reciproche paure, arabesco, più che percorso lineare o traiettoria,le cui evoluzioni o involuzioni, nonostante l’apparente  frammentarietà della vicenda, non determina mai intermittenza del sentimento.
Le cose, si sa, al di là dell’esemplificazione narrativa, vanno proprio così.

Tutti giovani in questo film , tutti efficaci ed incredibilmente maturi – attori perfetti, naturali e regista al suo promettente esordio, sceneggiatura impeccabile –  tutti abilissimi nello scantonare i rischi del raccontare una storia d’amore tra Venezia e Mosca, dall’andamento non convenzionale. Il cinema ne ha rappresentate migliaia.
Il banale, lo scontato ed il facile sentimentalismo. In agguato nella vita – magari assumendo più accattivanti definizioni –  figuriamoci in un film.
Un bell’esempio di cinema italiano.

 

Dieci inverni

è un film di Valerio Mieli del 2009, con Isabella Ragonese, Sergei Zhigunov, Michele Riondino, Glen Blackhall, Luca Avagliano, Liuba Zaizeva, Alice Torriani, Vinicio Capossela, Sergei Nikonenko. Prodotto in Italia, Russia. Durata: 99 minuti. Distribuito in Italia da Bolero Film

 

 

La menzogna del capostazione

La menzogna del capostazione

Fa bene Rubini ad essere ossessionato dai critici – poi anche dalla pittura, dai treni e dalla Puglia, ma quella è un’altra storia –  Invero a leggere la rassegna stampa –  una decina di recensioni tra quotidiani e periodici –  più che le sue ossessioni stavolta sembra che abbia messo in scena quelle degli altri.C’è nel film una serie di bozzetti paesani? Ma è Germi ! La storia è famigliare nonchè ambientata negli anni sessanta? Allora è Tornatore. L’ultimo film. Si tratta di ricordi? Non ci sono dubbi : è lo spirito del Fellini di Amarcord. Certo che essere influenzato da tutti questi maestri messi insieme dev’essere una bella gatta da pelare .Faticoso e impegnativo, se non altro. Peggio che girare un film.Nell’ansia di mettergli sottosopra l’identità artistica  – e invece Rubini ,piaccia o non piaccia, un tratto suo deciso ce l’ha, eccome –  o di correre dietro alle doti interpretative ed estrinseche  della Golino o di Scamarcio , quasi nessuno s’è accorto ,tanto per dirne una, dello straordinario montaggio a cura  della maga Esmeralda Calabria o della sceneggiatura di Domenico Starnone . Come se combinare la trama con l’ordito fosse un fattore marginale in un racconto.Come se la scrittura contasse nulla.

Visto che si affida a chi ne dovrebbe sapere di più, il pubblico meriterebbe di andare al cinema confortato da qualche  dato obiettivo, che a raccontare le proprie personalissime sensazioni, sono bravi quasi tutti.
A meno di apprezzare la critica  folle e visionaria –  in certi casi la preferisco, ma siamo distanti dai signori della mia rassegna stampa – ci si dovrebbe attenere di più ai fatti. E i fatti in un film che racconta ,per dirla con Rubini ,una menzogna sincera, vanno oltre il capostazione dalle ambizioni artistiche frustrate con la moglie bella e infelice, il cognato scavezzacollo e i bambini che ci guardano sullo sfondo del solito paesotto del sud dal quale si può solo fuggire ( niente paura, capita anche nel’Iowa)

Forse la lezione felliniana c’è e sta in questo raccontare il vero attraverso una ben orchestrata menzogna. Perchè è per il tramite del falso che si liberano gli elementi vitali di una storia. Cos’è il cinema dopotutto?

Opera meticolosa  nel delineare la parabola di ciascun personaggio e – old fashioned way  –  vagamente melò, senza però il fastidioso, intervento della nostalgia  ( e qui bisogna essere abili). Protagonisti assoluti : il talento con le sue vie assolutamente misteriose, la meschinità umana, la forza e le ragioni dell’amore.

L’uomo nero è un film di Sergio Rubini del 2009, con Sergio Rubini, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Fabrizio Gifuni, Guido Giaquinto, Maurizio Micheli, Vito Signorile, Anna Falchi, Margherita Buy, Vittorio Ciorcalo. Prodotto in Italia. Durata: 116 minuti. Distribuito in Italia da 01 Distribution

 

Camera molto fissa e luoghi comuni

Camera molto fissa e luoghi comuni

 

 

 

Non ti fidare dei latin lover, sono tutte bugie, sono italiani di merda, credono che siamo tutti zingari, ai miei tempi venivano qua per scopare, perchè credono che la Romania è un paese di sole donne e loro sono i tori, ora siete voi che andate direttamente lì farvi scopare, dunque vuoi andare a battere?, i maccheroni rapiscono i rumeni per rubargli gli organi. Il sindaco di Verona ha dichiarato la città libera dai rumeni.

Il catalogo delle presunte malefatte ovvero dei pregiudizi sugli italiani continua con il famoso epiteto rivolto ad Alessandra Mussolini che ha poi cercato, senza riuscirvi, di bloccare il film con una querela . 

A parlare è il padre di Francesca, la ragazza che tra mille peripezie cerca di racimolare i soldi per il viaggio in Italia, dove spera col tempo di aprire un asilo nido per i figli degl’immigrati. La conversazione non è che  lo specchio fedele di quel che in  in Romania si dice dell’Italia. Di qui la storia ci rimanda una serie di personaggi e di situazioni clichè, tuttavia assai credibili. Chiunque abbia assunto in casa una donna rumena, sa benissimo quale sia la preoccupazione principale della famiglia lontana e quanto queste poverette si adoperino per rassicurare i parenti sull’onestà del proprio impiego. E sa anche quanti sacrifici costino i viaggi verso un futuro migliore e quanta corruzione nelle maglie di una burocrazia implacabile e vorace.

Il cinema in Romania sembra molto versato a raccontare di un  paese ancora senza punti di riferimento ma in evoluzione, con un piglio e una capacità di penetrare i personaggi e le storie quasi da neorealismo. Emerge così un cinema nuovo, differente che però ha scarsa fortuna presso i distributori malgrado l’incetta di premi e riconoscimenti ottenuti nei vari festival.

Storia senza happy end possibile. Camera molto fissa quasi a ribadire situazioni con poche vie di uscita



Francesca è un film di Bobby Paunescu del 2009, con Monica Barladeanu, Doru Boguta, Luminita Gheorghiu, Teodor Corban, Doru Ana, Dana Dogaru, Mihai Dorobantu, Ion Sapdaru, Dan Chiriac, Gabriel Spahiu. Prodotto in Romania. Durata: 96 minuti. Distribuito in Italia da Fandango

 

 

 

I’m not a man, I’m Eric Cantona ( e con la maglia numero sette)

I’m not a man, I’m Eric Cantona ( e con la maglia numero sette)

 Sarà che a Cannes la proiezione di Looking for Eric era prevista il giorno successivo a quella di Antichrist – splendido ma angosciante –  sarà che i film di  Ken Loach hanno tutti un che di vivificante, fatto è che dopo aver visto le peripezie del postino Eric assistito – e chi meglio di lui –  dal suo ange gardien  Eric, tutti si sono sentiti immediatamente meglio.

Sette mesi dopo, la sensazione rimane inalterata, dunque l’effetto von Trier non c’entrava. Antichirst resta il bel film che era e Il mio amico Eric oramai passato per le maglie del doppiaggio, conserva intatto il suo strepitoso piglio.

Ken Loach che ama il calcio quanto il cinema ed Eric Cantona ex attaccante del Manchester che ama il cinema – Pasolini è il suo regista preferito – quanto il calcio, tant’è che, finita la carriera, s’è  dedicato anima e cuore alla sua passione, interpretando o producendo film e idee brillanti.

Come questa bellissima favola  che originariamente doveva essere sul rapporto del Campione con i supporters e che passata per le mani di Loach e del fido Laverty, si è ampliata trasformandosi in un elogio della working class tifosa e solidale, oltre che, naturalmente, del calciatore Cantona, entrato a far parte a buon diritto negli annali della storia del calcio per le qualità atletiche, per l’affetto che i tifosi del Manchester United ancora gli portano e per aver preso a pedate nel sedere un tifoso che gli aveva dato dello sporco francese . Gesto  costatogli un anno di squalifica.

Il fatto è che  l’idea centrale del film è anche l’Idea del Gioco secondo Cantona il quale sostiene che la sua migliore azione in campo è stato non un goal,  ma un assist smarcante servito a  Ryan Giggs, a tutt’oggi, miracolosa ala sinistra dei Red Devils.  – Devi sempre fidarti dei tuoi compagni  – Conclude. E per essere più forti – chiosa Loach – bisogna stare uniti.

C’è qualcosa di Frank Capra – lo hanno notato tutti e anche per me è così – nella storia del portalettere in crisi depressiva da vita di merda, affetti dissipati figli allo sbando e guai incombenti. Tutto sembra precipitare, finché il suo idolo, appunto Cantona, una bella sera non scende giù  dal manifesto appeso in casa, e materializzatosi lo accompagna in un glorioso tragitto di risalita.

Capra, Cantona e Loach, tre geni al servizio di una storia che non è solo edificante ma che contiene una visione esatta della società inglese, che individua nel tifo una metafora della Comunità, sospingendo con molta discrezione lo spettatore verso riflessioni sul significato della condivisione.

Sceneggiatura brillante ed aforismi irresistibili. Visto e ri-visto. Adorabile.

 Il mio amico Eric è un film di Ken Loach del 2009, con Steve Evets, Eric Cantona, Stephanie Bishop, Gerard Kearns, Lucy-Jo Hudson, Stefan Gumbs, Matthew McNulty, Laura Ainsworth, Max Beesley, Kelly Bowland. Prodotto in Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia. Durata: 116 minuti. Distribuito in Italia da Bim Distribuzione

 

 

 

Dallo Shtelt al Minnesota il passo è (quasi) breve

Dallo Shtelt al Minnesota il passo è (quasi) breve

Comincia con una storiella finto yiddish ambientata in uno shtelt ottocentesco. Il  dibbuk – sorta di fantasma – scambiato per essere umano, diventa l’occasione di una diatriba tra coniugi. E  finisce con uno sbalorditivo avvertimento nei titoli di coda :

 Nessun ebreo è stato maltrattato durante la realizzazione di questo film.

Tra prologo ed epilogo, la riscrittura della storia di Giobbe, affascinante, iperbolica, triste – e assai saccheggiata da letteratura e cinema – metafora della condizione umana.

Una vicenda paradossale, bizzarra in cui s’ intrecciano;Torah, Jimi Hendrix, Bar Mizva, marijuana, traversie e Kaballà e che a tratti si perde – come è giusto che sia –  nei tradizionalmente fumosi ed irresistibili responsi dei diversi rabbi, interpellati a dirimere questioni, ovvero a mitigare i devastanti esiti della valanga di guai che travolge Larry Gopkink a serious men caparbiamente intenzionato, come ogni ebreo che si rispetti, a divenire mensch.

 Ma il Minnesota, patria dei Coen e di Larry,  è a distanze siderali da Manhattan e il versante surreale dello spirito ebraico, la raffinata ironia delle considerazioni filosofiche alle quali  ci ha abituato Woody Allen, facilmente sfuma nell’irriverenza di un humour nero che reca indelebile il marchio Coen.( e quello della commedia made in Israel, un cinema che purtroppo ci è dato di vedere raramente)

Siamo dunque ad un lavoro meno strombazzato di Burn after reading o di Non è un paese per vecchi, interpretato da attori bravi quanto sconosciuti. Ma non per questo meno efficace e divertente nella sua follia di mescolare menschenkeit e Jefferson Airplanes, Torah e Sidor Belarsky, di mettere in bocca ai rabbi i versi delle canzonette o di far apparire scritte in ebraico in luoghi inattesi. Oltre la rara capacità dei Coen di raccontare di sè e del proprio passato senza scivolare in operazioni nostalgiche, senza inciampare  in fastidiose radici che, particolarmente in questo caso, diventerebbero monumenti alla Noia Autoreferenziale.

A Serious Man è un film di Ethan Coen, Joel Coen del 2009, con Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Fred Melamed, Sari Lennick, Aaron Wolff, Jessica McManus, Peter Breitmayer, Brent Braunschweig, David Kang, Benjy Portnoe. Prodotto in USA. Durata: 105 minuti. Distribuito in Italia da Medusa