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Questi due

Questi due

veltroni berlusconi

L’unico rischio –  fregature a parte –  è rappresentato dalla  possibilità che il clima di dialogo si risolva in condivisione di responsabilità ( e di eventuali insuccessi ) soprattutto rispetto alla stagione recessiva che avanza. La questione di mantenere distinti i ruoli è dirimente ed è qui, non nei proclami,  che si giocano le vere questioni identitarie e le differenze culturali tra le due compagini.  Il resto sono illazioni, e se si tratti o meno di bluff, di tranello, d’imboscata o quel che l’è, lo scoprireremo solo vivendo, per dirla col cantante. E per arrivare a capirne di più, non ci toccherà nemmeno vivere troppo : primo banco di prova sarà la Rai, a seguire la questione dei Regolamenti Parlamentari da mettere sul piatto prima possibile, onde evitare che eventuali esodi di eletti dai rispettivi gruppi, generi altri gruppi, vanificando così la volontà degli elettori che particolarmente in questo, si è espressa con nettezza. In tutta questa nuova fase non vedo niente di epocale : è nella logica del rapporto democratico tra governo e opposizione alternare scontro e confronto a seconda delle circostanze, cioè dei provvedimenti da assumere. Sono stati questi ultimi quindici anni segnati dalla netta prevalenza della contrapposizione e del filibustering parlamentare a produrre aberrazioni quali riforme istituzionali tagliate con l’accetta, votate a maggioranza e poi smentite successivamente dal Referendum, egualmente è accaduto con Pensioni e Giustizia per non parlare di quel capolavoro che è la legge sulla fecondazione assistita. Se il nostro Paese appare bloccato, parte della responsabilità va attribuita a questa conduzione : cioè all’assenza di dialogo e di compromesso tra le parti politiche. A quei due che si stringono la mano alla fine del dibattito sulla fiducia, ripristinando un’abitudine e una buona regola democratica, non rimane che vedere l’uno le carte dell’altro. A noi di sperare nella riuscita dell’impresa.

Sed è una terrorista ( les liaisons dangereuses)

Sed è una terrorista ( les liaisons dangereuses)

V day

Ho frequentato le scuole insieme a molti ragazzi che di lì a breve, avrebbero aderito  alla lotta armata, con alcuni  ho intrattenuto relazioni superficiali, di altri sono stata amica. Quando me ne è stato chiesto conto, ho dimostrato non solo la mia contrarietà all’uso della violenza ma anche la mia completa estraneità a qualsiasi fatto criminoso avesse visto il coinvolgimento dei miei conoscenti e i miei amici. In ogni caso si è potuta appurare la mia inconsapevolezza. E’ tardi oramai per coltivare aspirazioni a cariche pubbliche, tuttavia quando si parla di me, non m’interessa che siano taciute le mie relazioni ma vorrei che, insieme ad esse,  si precisassero fatti e contesti. Ecco perchè :

E’ un fatto che Renato Schifani abbia intrattenuto relazioni con Nino Mandalà, futuro boss di Villabate, nel 1979, come pure è vero che dopo vent’anni  Mandalà venne accusato di mafia. Ed è ancora vero, linguaggio colorito ed epiteti gratuiti, a parte, quello che dice Travaglio e cioè che i fascistelli di destra e di sinistra e di centro che mi attaccano ancora non hanno detto cosa c’è di falso in quello che ho detto.Credo infatti che nemmeno Schifani abbia mai negato le relazioni  di allora. Eppure questo per Travaglio è sufficiente per convincere il pubblico che il presidente del senato sia in odore di collusione con la mafia. Esattamente come chi scrive potrebbe essere stata in odore di terrorismo.Travaglio racconta fatti ma non dice che delle presunte connessioni mafiose di Schifani non si parla semplicemente  perchè ulteriori approfondimenti non hanno condotto oltre quella relazione del 1979. Il metodo mi ricorda vagamente quello adottato con Mastella. L’imprenditore vorrebbe un appuntamento col politico – evento abituale e di per sè innocentissimo – e da ennesima intercettazione si apprende che lo sventurato rispose "Mandamelo". Tanto basta per imbastire un paio di trasmissioni su presunti intrighi del politico con l’imprenditoria. Ecco qui che il giornalismo, soi disant, d’informazione, diventa immediatamente  giornalismo d’opinione. Tanto basta per collocarsi a buon diritto nelle pagine più ambigue del  Costume Nazionale rompendo il paradigma travagliesco della tutela dei cittadini da una stampa e da una televisione  mercenaria o asservita al potere. E se si vuole un’idea di quanto sia socialmente utile un simile metodo, basta fare una ricognizione dei blog in cui sulla scorta di quanto sostenuto nella trasmissione Che tempo che fa, già si afferma di essere governati senza più speranza e senza tutela dai mafiosi. L’ultimo divertimento in città è disperarsi senza vedere mai una via d’uscita. Se invece si volessero tirare le somme su quanto di utile ha prodotto il furor di popolo derivante dalle denunzie della scorsa stagione, basterebbe guardare l’elenco dei parlamentari e le new entry per capire che simili operazioni sono strutturate per lasciare le cose come stanno. Non promuovono cambiamento, in compenso producono senso d’impotenza e frustrazione. Queste agenzie del risentimento lavorano ad un cattivo giornalismo,ne fanno una malattia della democrazia e non una risorsa. Si fanno pratica scandalistica e proficuamente commerciale alle spalle di un’energica aspettativa sociale che chiede ai poteri di recuperare in élite integrity,in competenza,in decisione.Trasformano in qualunquismo antipolitico una sana e urgente,necessaria critica della classe politica istituzionale ( Giuseppe D’Avanzo. La lezione del caso Schifani. Repubblica del 13 maggio 2008 ). Abbiamo davvero bisogno di tutto questo? E soprattutto possiamo tollerare che nel servizio pubblico si giochi con la buonafede di chi, inconsapevole dei fatti, si mette in ascolto per saperne di più ? Quale libertà è stata offesa se non quella del pubblico che, oltretutto, paga il canone?

L’aria che tirerà ( chez Lucia)

L’aria che tirerà ( chez Lucia)

annunziata11

Dice Tremonti – e la digressione è stata cento volte più interessante dell’annunciata querelle extragettito si, no, forse, all’interno del programma televisivo in mezz’ora – che la sinistra non è vicina alla gente. Veramente non lo dice solo Tremonti, sono in molti a sostenerlo.Un progressivo scollamento dall’elettorato tradizionale è in atto già da qualche anno sebbene, sottoforma di quesito ricorrente – come essere vicini alla gente – la sinistra si sia posta a più riprese ed anche in sedi autorevoli,  la questione di come articolare la sua presenza nella società. Diciamo da quando la crisi della partecipazione alla vita politica ha cominciato a funzionare un po’ come la crisi delle vocazioni, una contribuiva a svuotare i conventi, l’altra le strutture territoriali. Il partito leggero al quale molte colpe, in tal senso, si vogliono attribuire, più che una scelta, ha rappresentato una necessità derivante da una presa d’atto iniziata già dai tempi del PCI . Certo si sarebbe potuto fare di più, stringendo alleanze con l’Associazionismo o patti più funzionali tra gli eletti nelle amministrazioni locali e i cittadini, per esempio. Le circostanze in cui simili relazioni si sono attivate, hanno prodotto risultati importanti ma è pur vero che la temperie del riflusso nel privato ha favorito l’insorgenza di spinte individualistiche inconciliabili con le istanze del sociale. Difficile contrastare un fenomeno che investe settori che vanno ben oltre  la politica. Miglior gioco ha invece avuto la destra nel cavalcare il disagio che occasionalmente si esprime a livello locale  su specifici problemi. Ma in quel caso è l’approccio di sinistra a non essere  popolare e vicino alla gente . Non sono da disprezzare problemi che investono la vita dei cittadini ma non c’è risoluzione al disagio, in una società complessa, che non importi il mettere le mani in un sistema di connessioni di dati derivanti da altri sistemi :  industriale – economico, politico globale e locale, sociale con gli indicatori sulla oggettiva e soggettiva qualità della vita e così via. Non è un caso che nel momento in cui tali considerazioni vengano poste ai barricaderi del Nimby, la sensazione di distanza si accentui. Lo stesso vale per i temi definiti dell’allarme sociale anche nel caso in cui il senso d’insicurezza derivi da reali inconvenienti e non da predisposte campagne mediatiche. Si possono non demonizzare le ronde, considerarle per dirla con D’Avanzo una  misura di tutela delle comunità smarrite e disgregate ma poi la Politica deve trovare soluzioni ai problemi in ambito istituzionale, non delegando ai cittadini funzioni di polizia. Tra qualche giorno Maroni presenterà una serie di provvedimenti su Immigrazione e Criminalità  la cui piena attuazione – ammessa che sia quella la strada –  richiederebbe un sistema giudiziario più efficiente, più strutture detentive, più centri di accoglienza, una diversa legislazione europea e in qualche caso anche un’altra Costituzione Repubblicana oltre che la cancellazione di Schenger. Eppure questo pacchetto che è di puro impatto mediatico, obbedisce ai desideri di coloro ai quali la sinistra non riesce ad essere vicina semplicemente perchè tende a concepire il governo dei processi in altri termini. Diciamo che per Tremonti and co, lasciando in pace Gramsci, pur convocato in soccorso delle tesi sull’anacronismo della sinistra,  è facile essere vicino alla gente dispondendo di un sistema d’Informazione che pur non orientando direttamente il voto, definisce sin nei minimi particolari, spesso costruendoli, quali siano i connotati del  mondo in cui viviamo e lo fa con gran dispiego di mezzi, non solo attraverso le campagne di stampa, i telegiornali o i talk show  ma destinando all’uopo, l’intero palinsesto, le fiction e i mille programmi d’intrattenimento, quiz della speranza compresi. Determinato il clima, non è difficile inventare la misura salvifica da diramare sottoforma di spot. Se l’aria che tira è questa, e a quanto sembra non riguarda solo la sinistra italiana ma la sinistra europea più  o meno al completo, non sarà cosa di poco conto invertire la tendenza. Forse aveva ragione Pintor a dire che la sinistra è finita. E probabilmente questa incapacità di affermare le proprie pur dignitosissime soluzioni altro non è se non un segnale d’invariabile declino.

Viva l’Italia, l’Italia che non ha paura

Viva l’Italia, l’Italia che non ha paura

Un’idea precisa di Futuro alimenta lo spirito della Resistenza – ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi  – Quella stessa idea, sostenne i Liberatori – per dignità non per odio – nell’impresa dolorosa di affrancare il nostro paese da un’orribile dittatura. A distanza di anni,  anche noi ci dibattiamo nel disperato bisogno di un Futuro del quale spesso avvertiamo il senso di sottrazione. Se la memoria del passato non riesce ad animare il nostro guardare avanti, la festa della Liberazione sarà presto ridotta ad un rituale deporre le corone sotto alle lapidi. Ma  la Resistenza parla ancora alle nostre coscienze con il linguaggio moderno della solidarietà – soltanto con la roccia di questo patto giurato fra uomini liberi – e della difesa dei diritti calpestati – ai nostri posti ci troverai, morti e vivi, con lo stesso impegno – Non merita, il sacrificio  di quelle donne e di quegli uomini di essere vanificato, ne’ le attese dei ragazzini dell’immagine qui sopra, di essere deluse.

Francesco De Gregori ci ha messo il titolo, Piero Calamandrei gl’inserti dalla poesia “Ora e sempre Resistenza”. Di mio c’è una bella voglia di contrattaccare.

Vinca l’eresia ( una volta tanto)

Vinca l’eresia ( una volta tanto)


Non del tutto casualmente, le proposte politiche più interessanti, al momento vengono da due amministratori locali. Ed è forse per quel comune tratto di continuativa eresia nei confronti delle rispettive appartenenze che i loro interventi risultano meritevoli di attenzione . Soprattutto nei momenti in cui la riflessione sull’ insuccesso si appiattisce un po’ troppo sui registri consueti di fallimento del marketing elettorale, si avverte un consistente vuoto  di misure in vera controtendenza . Credo che l’originalità nasca  dalla stessa pratica di governance e che attendibilità, chiarezza, veridicità scaturiscano da una capacità speculativa educata a misurarsi con le complessità quotidiane. Vendola ha pronunziato l’intervento più ricco dell’Incontro dell’Arcobaleno a Firenze, applaudito in piedi dalla platea, sebbene non riportato nel sunto che della giornata il sito di Rifondazione pubblica . E non  a caso. Uno che vuole saltare a piè pari la fase del redde rationem, per avviare subito quella del che fare, non può essere il più amato dagli Apparati. Al centro del suo ragionamento sta un problema di linguaggio, serissimo a mio avviso, e non meno importante, quello inerente ad un’altra questione che viene definita dell’ascolto, ovvero di analisi della realtà che non possono prescindere da prese d’atto, vuoi delle dinamiche, vuoi delle sensibilità in gioco, (nel caso specifico vengono citati  i precari di cui si parla ma che non vengono ascoltati ). Quello che magari non è chiaro, è cosa si vuol fare dell’ascolto :  cioè se questo rendersi disponibile alla società civile, possa o meno produrre cambiamenti in termini di orientamenti programmatici. Un laboratorio politico quale Vendola auspica, vive d’interazione, ma cosa succede se dal confronto con la realtà scaturiscono contraddizioni tali da richiedere un mutamento di rotta?. Di fronte a fatti di questa importanza i nostri strumenti analitici e strategici sono asfittici, desueti, poveri, ce la caviamo solo con un po’ di sociologia della catastrofe . Espressioni dure, che oltretutto scavano in annose controversie ideologiche legate al modo d’intendere la pratica politica. Non so se le parole di Vendola diverranno mai il suo  documento politico congressuale e nemmeno se l’applauso caldo e spontaneo  sia scoppiato per i toni appassionati più che perché le ricadute altamente sovversive di un’ottica marxista, della sua proposta. Da qui a luglio vedremo se Vendola riuscirà a vincere la sua battaglia di rinnovamento del partito che oltretutto, essendo ancora presente a livello locale, potrebbe dedicarsi con maggiore intensità a ricucire rapporti che al momento sembrerebbero smarriti. E’ di Cacciari invece la proposta più ardita, di Partito Democratico del Nord federato al PD centrale. La questione settentrionale, colpevolmente trascurata dai partiti di sinistra è, non da un giorno, richiamata all’attenzione  e ritenuta da Cacciari dirimente. Il PD  che a quei territori ha dedicato candidati e tappe del viaggio elettorale di Veltroni , ha prestato ad essi, forse per la prima volta, reale attenzione . Ma un intervento che, se isolato, rischia di essere percepito come pura strategia in vista delle urne, non è sufficiente: i passaggi successivi non possono non tener conto della specificità di quei territori in cui convivono le regioni della grande industria fordista e quelle  del terziario, del finanziario e della creatività. Distanze culturali enormi con il resto del paese, segnate da una perdita di contatto della sinistra con le trasformazioni sociali. Il capitalismo personale, la rivoluzione culturale della classe operaia, sono processi che non sono stati compresi fino in fondo.Il conseguente allontanamento con perdita di consensi ne è stato l’esito disastroso. Per questo un nuovo cammino importebbe la necessità della rappresentanza autonoma, libera, nella formazione di gruppi dirigenti, candidature, programmi. Magari fosse vero…anticipare l’idea federalista con una differente forma partito. Migliore ipotesi di radicamento sul territorio non si potrebbe immaginare.Senza considerare l’eliminazione del partitone elefantiaco che dal centro pretende di sapere tutto e di governare ogni cosa. E il cuore mi dice che se son veri gli strilli all’apostasia di alcuni dirigenti con tanto di rivendicazione del primato della questione meridionale, l’idea è incredibilmente efficace. Anche qui bisognerà aspettare, non troppo però. Domani Veltroni va a Milano a discutere con i diretti interessati. Sperem.Come dicono da quelle parti.