Le ali per volare

Se la nuova compagnia avrà o meno le ali per volare, lo si vedrà di qui a poco . Al momento, l’intera operazione – politica e non di mercato – mette in pista un’azienda di trasporto aereo troppo modesta per poter reggere. I nuovi proprietari non potranno far altro che avviare un portage per traghettare, tra qualche tempo, la compagnia in mani più esperte. E se dovessero essere quelle di Air France che fino a pochi mesi fa, offriva due miliardi e mezzo, più si accollava i debiti, la beffa sarebbe completa. Molti dicono che l’Alitalia rappresenti una sorta di paradigma di come vanno le cose qui da noi ed è vero, lo si è visto nelle piccole come nelle grandi cose. Nella gara scorretta e poco trasparente . Nella catena di conflitti d’interesse che si sono messi in moto. Nella trattativa sregolata. Nelle pesanti intrusioni del governo in ogni piega dell’operazione. Nel criminalizzare il dissenso dei lavoratori. Nella corsa finale ad accaparrarsi la medaglietta dell’Artefice Unico e, da ultimo, nel negare alla CGIL, dopo averla crocifissa, il merito di aver strappato in extremis i due protocolli d’intesa in cui si sancisce la necessità di ricollocare mille precari, la tutela dei salari del personale di terra, il recupero in produttività di quanto decurtato, e il resto dei chiarimenti attinenti al quadro normativo ( riposi, qualifiche, malattie). Non un’esaltante vittoria, visti anche i numerosi disoccupati e l’enorme costo per la collettività, ma di sicuro un consistente miglioramento per centinaia di lavoratori e, non meno importante, il recupero del meccanismo della trattativa che sembrava perso, tra ricatti e ultimatum. Bonanni e Angeletti invece di minimizzare, dovrebbero riflettere : o il senso di responsabilità concerne tutte le parti o produce rapporti insopportabilmente sperequati. Odioso fardello per ogni democrazia che si rispetti.
Il piano industriale che disegnava la compagnia tutta italiana, piccina picciò, appositamente dimensionata per importare poca spesa ed essere rimessa in vendita – tempo tre o quattro anni – e che fondava le sue uniche speranze sul monopolio della tratta Milano Roma, è sfumato. Sul tavolo c’erano l’occupazione, i salari, il servizio e le regole del gioco, queste ultime completamente stravolte in una trattativa che, nei fatti, non c’è mai stata, se si eccettuano gli ultimatum, i ricatti e qualche spicciolo in termini di accoglimento di minime richieste. Come da copione, ieri prima che l’ultimatum scadesse, al manifestarsi della controproposta della CGIL e di altre cinque sigle sindacali, i capitani coraggiosi hanno battuto la ritirata. Al Salvatore, quello che per biechi motivi propagantistici, in campagna elettorale, s’è fatto in quattro per emarginare l’unica proposta dignitosa, non rimane che far diffondere via filo, etere e carta stampata, la versione dei fatti che lo esonera da ogni responsabilità, mentre sistema una foglia di fico sul suo, forse più clamoroso, fallimento: la colpa è del sindacato, istigato dall’Opposizione che da sempre ha puntato allo sfascio del bel progetto. Quello che oltre a segare posti di lavoro e salari, non garantiva affatto un servizio accettabile e competitivo e come se non bastasse, socializzava le perdite e privatizzava gli utili. Saranno anche atipiche le manifestazioni di giubilo dei lavoratori, ma proprio per questo, invece di riflettere sul Titanic – è la terza volta da stamane che ne ascolto la metafora, su tre diversi notiziari, più l’ editoriale di un quotidiano, va bene esprimere fino alla nausea, gli stessi concetti, ma potrebbero almeno cambiare le parole - e sull’irresponsabilità dei lavoratori, forse è il caso di leggere in quelle reazioni , il senso liberatorio dalla gestione di una crisi in cui è stato fatto saltare ogni schema : dagl’imprenditori con nessuna voglia di assumersi il seppur minimo rischio d’impresa, alle banche più versate a guardare di buon occhio la politica che il mercato, al commissario che non si è capito bene che mestiere faccia, ai cospicui aiuti di Stato. Il tutto per partorire una proposta impossibile, messa sul tavolo col metodo del ricatto. In epoca di confusione, di falsità e di pianificazione dei conflitti, è bene che ciascuno recuperi il proprio ruolo e lo svolga fino in fondo, pena lo spaesamento collettivo e bene ha fatto Epifani a cercare con una nuova proposta, il prosieguo della trattativa e il recupero di quel ruolo che altri sembrano aver smarrito. Se fallimento ci sarà, non si potrà davvero dire che la colpa è stata la sua.

