Sfogliato da
Categoria: Ali

Le ali per volare

Le ali per volare

ali22

Se la nuova compagnia avrà o meno le ali per volare, lo si vedrà di qui a poco . Al momento, l’intera operazione – politica e non di mercato – mette in pista un’azienda di trasporto aereo troppo modesta per poter reggere. I nuovi proprietari non potranno far altro che avviare un portage per traghettare, tra qualche tempo, la compagnia in mani più esperte. E se dovessero essere quelle di Air France che fino a pochi mesi fa, offriva due miliardi e mezzo, più si accollava i debiti, la beffa sarebbe completa. Molti dicono che l’Alitalia rappresenti una sorta di  paradigma di come vanno le cose qui da noi ed è vero, lo si è visto nelle piccole come nelle grandi cose. Nella gara scorretta e poco trasparente . Nella catena di conflitti d’interesse che si sono messi in moto. Nella trattativa sregolata. Nelle pesanti intrusioni del governo in ogni piega dell’operazione. Nel criminalizzare il dissenso dei lavoratori. Nella corsa finale ad accaparrarsi la medaglietta dell’Artefice Unico e, da ultimo, nel negare alla CGIL, dopo averla crocifissa, il merito di aver strappato in extremis i due protocolli d’intesa in cui si sancisce la necessità di ricollocare mille precari, la tutela dei salari del personale di terra, il recupero in produttività di quanto decurtato, e il resto dei chiarimenti attinenti al quadro normativo ( riposi, qualifiche, malattie). Non un’esaltante vittoria, visti anche i numerosi disoccupati e l’enorme costo per la collettività,  ma di sicuro un consistente miglioramento per centinaia di lavoratori e, non meno importante, il  recupero del meccanismo della trattativa che sembrava perso, tra  ricatti e ultimatum. Bonanni e Angeletti invece di minimizzare, dovrebbero riflettere : o il  senso di responsabilità concerne tutte le parti o produce rapporti insopportabilmente sperequati. Odioso fardello per ogni democrazia che si rispetti.

Tutta colpa dell’iceberg

Tutta colpa dell’iceberg

Ali06Il piano industriale  che disegnava la compagnia tutta italiana, piccina picciò, appositamente dimensionata per importare poca spesa ed essere rimessa in vendita – tempo tre o quattro anni – e che fondava le sue uniche speranze sul monopolio della tratta Milano Roma,  è sfumato. Sul tavolo c’erano l’occupazione, i salari, il servizio e le regole del gioco, queste ultime completamente stravolte in una trattativa che, nei fatti, non c’è mai stata, se si eccettuano gli ultimatum, i ricatti e qualche spicciolo in termini di accoglimento di minime richieste. Come da copione, ieri prima che l’ultimatum scadesse, al manifestarsi della controproposta della CGIL e di altre cinque sigle sindacali, i capitani coraggiosi hanno battuto la ritirata. Al Salvatore, quello che per biechi motivi propagantistici,  in campagna elettorale, s’è fatto in quattro per emarginare l’unica proposta dignitosa, non rimane che far diffondere via filo, etere e carta stampata, la versione dei fatti che lo esonera da ogni responsabilità, mentre sistema una foglia di fico sul suo, forse più clamoroso, fallimento: la colpa è del sindacato, istigato dall’Opposizione che da sempre ha puntato allo sfascio del bel progetto. Quello che oltre a segare posti di lavoro e  salari, non garantiva affatto un servizio accettabile e competitivo e come se non bastasse,  socializzava le perdite e privatizzava gli utili. Saranno anche atipiche le manifestazioni di giubilo dei lavoratori, ma proprio per questo, invece di riflettere sul Titanic – è la terza volta da stamane che ne ascolto la metafora, su tre diversi notiziari, più l’ editoriale di un quotidiano, va bene esprimere fino alla nausea, gli stessi concetti, ma potrebbero almeno cambiare le parole - e sull’irresponsabilità dei lavoratori, forse è il caso di leggere in quelle reazioni , il senso liberatorio dalla gestione di una crisi in cui è stato fatto saltare ogni schema : dagl’imprenditori con nessuna voglia di assumersi il seppur minimo rischio d’impresa, alle banche più versate a guardare di buon occhio la politica che il mercato, al commissario che non si è capito bene che mestiere faccia,  ai cospicui aiuti di Stato. Il tutto per partorire una proposta impossibile, messa sul tavolo col metodo del ricatto. In epoca di confusione, di falsità e di pianificazione dei conflitti,  è bene che ciascuno recuperi il proprio ruolo e lo svolga fino in fondo, pena lo spaesamento collettivo e bene ha fatto Epifani a cercare con una nuova proposta, il prosieguo della trattativa e il recupero di quel ruolo che altri sembrano aver smarrito. Se fallimento ci sarà, non si potrà davvero dire che la colpa è stata la sua.

C’era una volta il piano Air France

C’era una volta il piano Air France

 

Dopo essersi assicurati il tempo necessario ad effettuare la due diligence, costato al contribuente la sciocchezza di trecento milioni, l’altra parola magica per la fantasmagorica cordata è Piano Industriale, lo vorrebbe conoscere per esempio, Colaninno padre, incerto sulla profittabilità dell’operazione e sul proprio futuro ruolo imprenditoriale,  ma anche Gilberto Benetton che a Berlusconi e Tremonti le ha cantate chiare dicendo, in poche parole : noi c’impegnamo ma…mica siamo l’IRI. Come dire : qui non si fa beneficenza, senza considerare il fatto che un partner internazionale assicurerebbe più facilmente il successo all’impresa. Se lo dice lui…Insomma la cordata c’è  ma sono tutti lì  a condizionare la propria partecipazione ad un progetto più chiaro e delineato.
Ovviamente si parla di Alitalia e, atteso che ogni notizia sulla compagnia è  reperibile ovunque –  il sito, i giornali, le prime pagine dei quali questa vicenda ha occupato per mesi – appare chiaro che le tattiche dilatorie sono sempre in grande spolvero. Tutto questo con il  tempo che non ha smesso di essere denaro, poi,  visto l’incremento del prezzo dei carburanti, il cielo sa se la perdita quotidiana, attestata intorno al milione, sia contenuta ancora in tale cifra . Altre notizie trapelano, la più inquietante riguarda la crescita esponenziale degli esuberi :  dai duemila stimati da Air France si è passati a quattromila poi ai cinquemila attuali ( ma qualcuno giura che siano settemila)  che però adesso comprendono anche quelli  Air One che venderebbe alla Nuova Alitalia alcune delle sue attività ( flotta aerea, autorizzazioni e contratti di acquisto dei nuovi aerei …). Ha un bel dire Corrado Passera che non sono previste fusioni visto che in quel caso  la nuova società acquisirebbe i debiti  – intorno al miliardo di euro – di Air One, ma se il personale viene gestito come fosse un esubero Alitalia e le attività liquidate con azioni della nuova società, sbaglio o abbiamo inventato un nuovo tipo di slalom gigante in cui  oltre al fatto che non si è capito chi paga i debiti della vecchia Alitalia, la remissione per i  lavoratori di entrambe le compagnie è certa? Poi dicono che manca il Piano Industriale. …Da quel che si capisce l’intrepida cordata, vuol rilevare  Alitalia ripulita dei debiti e degli esuberi, scaricando sulla collettività diversi costi.
C’era una volta il piano Air France  che prevedeva un investimento immediato di due miliardi di euro. Che sarebbero serviti  :  150 milioni di esborso per gli azionisti di Alitalia, più 600 milioni di rimborso delle obbligazioni emesse da quella società, più l’ assunzione dei debiti che figuravano nel bilancio della Compagnia di bandiera. Air France si era impegnata inoltre  a ricapitalizzare l’ azienda con un miliardo di euro . (e siamo a tre ).  Inoltre l’impegno sarebbe stato  di portare la società a profitto  entro cinque anni col taglio degli esuberi ( stimati in 2000 unità) , il rinnovamento della flotta, l’ abbandono di Malpensa e un investimento complessivo di 6,5 miliardi entro il 2013 nel quadro di un grande gruppo che comprende Air France, Klm, ed  eventualmente  la stessa Alitalia. L’ impegno totale dell’ acquisto e del rilancio contemplava dunque 10 miliardi di investimenti.
Qui invece è grasso che cola se la cordata arriverà a stanziare un miliardo di cui  trecento milioni del prestito ponte sono già da restituire al Tesoro.Il tutto per mettere in pista una Compagnia Bonsai che coprirà  per lo più le tratte nazionali e qualcosa in Europa. Si ritorna all’assetto degli anni 60. Con  qualche condizione al contorno decisamente mutata. Ma poco poco. C’era una volta il piano Air France, abortito che era già grandicello, sacrificato all’orgoglio nazionale che come tutti i sentimenti roboanti, costa molto, rende poco e non si sa mai cosa nasconda davvero.

La boccata d’aria ( ghe pensi mì )

La boccata d’aria ( ghe pensi mì )

Alitalia 34

In un’azienda normale, che normalmente perde un milione al giorno e che oltre ad essere sull’orlo del fallimento, non è un modello di efficienza e nemmeno quello che comunemente viene definito un buon affare, si sarebbe allontanato l’unico compratore credibile ( rimasto)  e chiesto un finanziamento ad un istituto bancario per tirare a campare la produzione , solo se una cordata di emiri sperperoni (ed improvvidi ) avesse stipulato un patto di sangue con la proprietà e messo sul piatto un’offerta da capogiro a fronte di un piano industriale da maghi del know how. Ma Alitalia, si sa, di normale non ha nemmeno la spillatrice dell’ufficio acquisti. Dunque, continua la saga, il tempo passa  e il conto da pagare sale. In compenso, al posto della cordata degli emiri sperperoni, abbiamo la boccata d’aria – come l’ha definita Fini  – 300 milioni di Euro ( 150 in più del previsto su richiesta di Berlusconi) del Prestito Ponte, necessaria a garantire il funzionamento del servizio fino a conclusione di nuove trattative. E questo intanto smentisce la favoletta di campagna elettorale sull’entità; del cash flow e sul largo margine di autonomia che, da una parte avrebbe spostato  di qualche mese l’ombra di un fallimento, dai  più ritenuto imminente, e dall’altra, consentito di trattare col massimo della tranquillità e, se del caso, di esaminare  offerte di altri acquirenti . Offerte e acquirenti che allo stato ancora non si sono materializzati. Oggi invece lo Stato interviene in tutta fretta, attivando una procedura che per motivi di ordine pubblico (ovvero a fronte del prosieguo di un servizio essenziale) deve essere richiesta a Bruxelles per l’avallo  e finanziata dal Ministero degli Interni per non risultare come un  aiuto statale alle imprese, e per questo, stigmatizzato dalle normative comunitarie. Niente paura però,  il prestito sarà restituito a fine anno a condizioni di mercato, cioè al tasso d’ interesse corrente. Una bella consolazione . Peccato che essendo lo Stato proprietario di Alitalia al cinquantanove per cento ( e se s’indaga sul resto della proprietà, forse anche qualcosina di più) ogni perdita, interesse passivo o dissesto, gravi comunque sulle spalle del contribuente appunto per quel cinquantanove per cento. Resta inteso che questo oneroso pannicello caldo, non ha effetto alcuno sulla perdita che noi continueremo a sostenere con quattrini nostri   che nessuno mai ci restituirà. In compenso il premier in doppiopectore scravattato  Caraceni,  potrà far colazione con Cossiga e con tutti quelli che riterrà, facendo vanto di efficienza meneghina ” ghe pensi mi “. E chissà perchè, proprio per questo, più  che una rassicurazione, ha il sapore di una minaccia.

Ci sarebbe il primo conto da pagare

Ci sarebbe il primo conto da pagare

ali

Far danni prima ancora di essersi insediati a Palazzo Chigi non è  impresa da tutte le forze politiche  ma questo è esattamente quello che è successo con il ritiro di Air France dalla trattativa per l’acquisizione di Alitalia. Defezione del resto, ampiamente prevista nonchè auspiacata dalla neomaggioranza. Chiedere ad Air France, da parte di Alitalia, di chiarire la situazione legale successiva alla rottura delle negoziazioni,  tecnicamente significa volersi mettere al riparo dalle penali che intervengono quando una trattativa è ancora in piedi e  si cercano altri partner. La risposta, che è stata fatta pervenire al Tesoro, e non all’Alitalia, non poteva non sancire la fine dei negoziati. Il via libera che si attendeva per poter procedere ufficialmente all’acquisizione di nuove offerte, ora c’è. Allo stato, se non interviene un aumento di capitale sociale il fallimento è pressocchè automatico. Il progetto Air France in tal senso, prevedeva l’impegno di un miliardo , ora c’è da vedere se la cordata italiana supportata da alcune banche farà altrettanto. Nel consorzio potrebbe esserci Aeroflot, con una quota non superiore al 49% di Alitalia, per evitare la perdita dei diritti di volo. Finisce qui l’unica speranza concreta di trattativa trasparente, con piano industriale attendibile proposta dal più grande vettore al mondo: Air France. Comunque vada, una sola prospettiva è sicura : lo Stato si appresta a immettere nella voragine Alitalia altri 150 milioni di quattrini pubblici a fondo perduto. Il gioiello di famiglia è rientrato nelle disponibilità dei proprietari  che possono essere grati ad un modo di fare affari secondo il quale  sono sempre gli altri  ad assumersi  rischi e  costi. In primis i lavoratori, nel gongolio generale che ieri sera ha accolto la notizia,  nessuno li ha nominati e a seguire i contribuenti anche quelli assenti dal chiacchiericcio stucchevole del salottino bianco di regime.