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Categoria: Guerra e pace

New Dawn

New Dawn

Questa  lunga colonna  di automezzi che mercoledì notte si è messa in marcia verso il Kuwait,  appartiene alla 4th Stryker Brigade, ultima divisione di fanteria statunitense a lasciare la zona di operazioni in Iraq.


La rovinosa avventura denominata  Iraqi freedom  finisce così, senza che nessuno degli obiettivi a suo tempo strombazzati dall’arroganza neocon, sia stato raggiunto. Non la Libertà, non la democrazia, tantomeno la sconfitta del terrorismo


E poichè la guerra non può davvero considerarsi finita, nemmeno la pace.


Foto dal sito ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti.

Tanto vale…

Tanto vale…

 

Certo che spendere milioni di euro per mantenere in piedi una  baracca che, tra gli altri compiti, dovrebbe avere quello di sostenere il governo afghano nella riorganizzazione della Giustizia e poi sentirsi rispondere che da quelle parti il fermo di polizia ha la durata di quindici giorni, è davvero  il colmo.

Del resto l’attivissima Farnesina  dev’essere  in linea con la filosofia dell’Ineluttabile se  ai rilievi di scarsa efficienza, spiega che durante il fermo le garanzie (niente avvocati, visite, nemmeno quelle dell’ambasciata, ne’ contestazione ufficiale dei reati) sono sospese. Grazie tante. O magari  pensa di essere già nella Patria del Diritto, trascorsi i quindici giorni, via libera a visite e negoziati. 

Data la scarsa tensione mostrata nella fase che resta interlocutoria, verrebbe da chiedersi  a cosa servano la Politica e la Diplomazia, ma le domande troppo tendenziose non aiutano come viene ripetuto – anche da sedi autorevoli – a mò di cantilena.

 

Si dovesse stranire Karzai.


Nel frattempo tra i tanti punti oscuri, sarebbe da chiarire se il governo italiano fosse o meno al corrente dell’operazione di polizia, come lo erano i militari inglesi, per esempio,  e, in caso positivo, perchè  non abbia chiesto conto al governo afghano di una simile iniziativa, cioè del fermo – inopinato  almeno finchè non vengono almeno chiarite le accuse – da parte  dei servizi segreti, dei tre esponenti di Emergency .

Se questo è il metodo procedurale che da cooperanti internazionali,  abbiamo insegnato agli afghani, tanto valeva che costoro si fossero tenuti la legge del taglione.

E ancora, se questa è la – molto sbandierata nelle sedi più convenienti – considerazione di cui godiamo nel Paese che molto deve ad Emergency, tanto vale togliere le tende. Non solo quelle dell’ospedale.

Del resto nemmeno il Governo Italiano offre gran prova di cultura giuridica quando adombra sospetti di colpevolezza dei tre cooperanti, dimenticando che in qualsiasi Consorzio Civile ciascun indiziato è innocente fino a prova contraria.

Tutto questo speriamo nell’infondatezza dei sospetti  dei nostri ministri, è semplicemente un modo inopportuno, sconveniente ed irrituale che  rende l’  intervento presso il governo afghano, inutilmente sommesso e comunque inefficace oltre a sottacere  scarsa volontà nei confronti di un’Organizzazione Umanitaria che non fa mistero delle proprie opinioni di ripudio della guerra come soluzione unica delle controversie,  ne’ della propria missione di soccorso svolta a prescindere dall’appartenenza delle vittime.

Il fatto di avere o meno trovato materiale esplosivo nei magazzini dell’ospedale non autorizza alcuna autorità locale  ad operare in un vuoto di Diritto contro il quale il governo italiano avrebbe il dovere di protestare con maggior forza di quanto non abbia fin qui dimostrato.

La verità non può essere ricercata in assenza di garanzie. Se così non è, significa che siamo ancora più lontani dalla sconfitta del terrorismo di quanto non si possa pensare.

Ciò detto, anche io sto con Emergency, gli eventuali  se e ma che comunque riguardano le condizioni delle associazioni non governative in genere, me li tengo, ovvero scompaiono di fronte a questa ennesima aperta violazione dei diritti delle persone.

Se di fronte alle opinioni di un paese libero, Karzai dovesse stranirsi ancora un po’, peggio per lui.

 

Nell’illustrazione, quello che in gergo militare si chiama fighting kit. La foto è di un soldato di stanza in Helmand

 

Diplomazia al lavoro

Diplomazia al lavoro

Oggi il problema è Hamas. Capisco chi vorrebbe negoziare ma l’Unione europea e Israele giustamente non l’hanno fatto….Dopo cinque minuti dalla fine della tregua Hamas ha ripreso a lanciare razzi contro Israele continuando un’azione francamente sconsiderata……
Se Hamas avesse detto sì
” al cessate il fuoco “Israele si sarebbe già fermata“, ma “la disponibilità di Hamas non c’è stata e per ora non c’è. L’organizzazione terroristica palestinese non è un interlocutore politico e rifiuta tutto quello che la comunità internazionale propone”.

Franco Frattini

Nel momento in cui l’impegno dei negoziatori è teso – come sempre in questi casi – a ricercare, in calce ad un difficile accordo, formule  che non urtino le suscettibilità e non umilino l’orgoglio delle parti in conflitto, sembra impossibile che un ministro degli esteri possa usare espressioni di tale disinvolta parzialità. Eppure Franco Frattini queste parole ha pronunziato in sede di Audizione, all’indomani del bombardamento israeliano della scuola ONU dei profughi – 42 morti da aggiungersi agli altri, oltre 600, dei giorni scorsi,  e manco l’ombra di un terrorista o di una rampa di cosidetto missile in quelle aule – consegnando così il nostro paese al ruolo meschino, defilato e poco dignitoso, sul piano internazionale, di cieco supporter. Nemmeno gli americani, impegnati con Mubarak a scambiare il controllo del valico di Rafah e dei tunnel scavati sottoterra contro lo stop dell’avanzata di terra di Tsahl, osano un simile linguaggio. Le responsabilità hanno un peso differente a seconda dei punti di vista, ma comunque la si pensi, la tregua è obiettivo minimo ed indispensabile, ottenerla importa un lavoro in cui è necessario rimuovere dalla trattativa ogni elemento di partigianeria ad evitare che il dialogo degeneri creando un ulteriore zona di conflittualità. A meno di credere nella bontà  della prova di forza, della lezione da infliggere ai terroristi, analisi spicce e giudizi sommari andrebbero evitati. Umiliare Hamas o peggio, auspicarne lo sterminio significa assottigliare le possibilità  dei moderati di Fatah. Significa gettare le basi per non finirla mai.

Dunque, dimentico oltretutto, di quanto è in gioco su quel palmo di terra, origine di tutti i conflitti con il mondo islamico e incurante delle minacce costituite da Hezbollah o delle centinaia di martiri pronti a intervenire, il problema, secondo Frattini, è Hamas al quale non è nemmeno sufficiente aver vinto le elezioni per essere definito  interlocutore politico. Che acume.

 

Chi sei

Chi sei

Mumbay5

Di lui e dei suoi compagni – circa duecento, più o meno della stessa età –  conosciamo la fisionomia e degli attentati di cui si sono resi responsabile a Mumbai , siamo stati informati, in alcuni casi in tempo reale, grazie ai media mainstream, alle tecnologie e alla Rete ( twitter, blog, persino flickr ).

C’è tuttavia uno scarto enorme tra la possibilità di conoscere e divulgare particolari, anche i più  infinitesimali, e il fatto che di tutto il resto, cioè di quel che è dietro questi giovani terroristi,  non si sappia praticamente nulla. Come se quegli stessi  particolari, il kalashnikov, lo zainetto, lo sbarco dal gommone, la precisione simultanea degli attacchi, fossero inutili ai fini della quadratura del cerchio. In questo contesto,  persino l’aver individuato un  braccialetto arancione al polso dei componenti il  Commando, è risultato fuorviante.  

Rivendicano la strage i Deccan Mujaheddin, sigla fin qui sconosciuta, con tipico linguaggio jiadista. Così giovani. E pronti a morire. Per cosa? C’entra Al Qaeda? Fanno parte di una comunità locale? Sono sovvenzionati dal Pakistan? Dove si sono addestrati?

Nessun meticoloso citizen journalism, nessuna Intelligence, nemmeno quelle più equipaggiate, sembra essere in grado di dare una risposta. Solo congetture.

 Un attentato l’anno, negli ultimi tre anni, nella sola Mumbai. In questo caso  però sappiamo, analizziamo, commentiamo ed esecriamo,  solo per la presenza nei luoghi delle stragi, di cittadini occidentali.

Ci sono stati attacchi, tuttavia,  anche in  Bangalore, Jaipur, New Dehli, Rajastan. Una carneficina fitta di luoghi, se la guardi su di una mappa, ma che spesso finisce nelle pagine interne dei giornali.

 A meno di potersene servire per agitare Mostri e chiedere misure restrittive nei confronti dei cittadini di religione islamica che vivono qui da noi, in genere, tutto tace.

Siamo nelle mani di  questi figli di un temporale, come li avrebbe definiti qualcuno? Probabilmente,  ma soprattutto sono state  politiche internazionali perdenti e  sconsiderate ad accentuare i drammi e a buttare benzina sul fuoco, negli ultimi anni. E ad esporci. Speriamo sia finita quell’epoca.

Lei

Lei

Georgia 04

La ramazza poggiata in un angolo le deve essere  servita ad attenuare il senso di devastazione e di angoscia che segue la visione del disastro. Una fatica, quella di ammucchiare i detriti negli scatoloni che può sembrare ridicolmente inutile, in specie dopo il passaggio dei raid aerei. Tanto più che la foto è stata scattata ieri l’altro, in pieno conflitto. Ma quella corvée obbedisce alla sua ansia di un barlume di normalità  e contemporaneamente imprime in concretezza, la cifra del suo essere in ogni caso presente. L’unica pratica che, qualunque cosa accada, le rimane fedele è la cura della casa e dei suoi. Cercare di ripristinare un po’ d’ordine, le deve essere sembrato un passaggio indispensabile a qualsiasi ripartenza. Non so se la donna che siede al centro di questa stanza, sia osseta, georgiana o cosa, ne’ è importante conoscere quale tipo di bombardiere le abbia procurato tanto dolore. So che la non richiesta compostezza di questa autentica vittima di un congegno infernale, incute rispetto. Vorrei inviare migliaia di copie di questa foto ai patiti degli schieramenti, del Risiko Internazionale, degli scacchieri e dei nuovi confini tra oriente e occidente. E naturalmente ai negoziatori, che abbiano sempre innanzi agli occhi la concreta sofferenza delle vittime.