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Categoria: La fabbrica del cinema

La parte giusta della storia (a moral choice)

La parte giusta della storia (a moral choice)

Mandatory Credit: Photo by Rob Latour/REX/Shutterstock (10112915fq) Spike Lee – Adapted Screenplay – “BlacKkKlansman?”91st Annual Academy Awards, Show, Los Angeles, USA – 24 Feb 2019

Vince The green book ben confezionato prodotto di luoghi comuni e morale della favola su come vanno le cose tra un driver bianco volgare e un nero artista raffinato, non un brutto film ma con il difetto di non mettere a profitto a sufficienza il rovesciamento dei ruoli tradizionali, riuscendo ad essere nel contempo un po’ risaputo.

Un classico Oscar insomma, cosa che giustamente ha indispettito il caro Spike, ben lieto della seppur consolatoria miglior sceneggiatura del suo BlaKkKlansman ma polemico come solo lui sa essere e non solo con le scelte dell’Academy. Ogni volta che c’è qualcuno che guida io perdo. E infatti, che sia il nero Hoke Colburn a scarrozzare Daisy nel 1990 o il bianco Toni Lip a portare in tourné Don Shirley nel 2019, il risultato non cambia e Spike perde in entrambi i casi l’occasione.

Si rifà animando palco e platea con un discorso di ringraziamento dalla chiusa travolgente :
The 2020 presidential election is around the corner. Let’s all mobilize, let’s all be on the right side of history. Make the moral choice between love versus hate,” he said. “Let’s do the right thing! You know I had to get that in there.” Non nomina direttamente Trump ma pochi minuti dopo è Trump a nominare lui tacciandolo di razzismo e ricordando quanto di buono e bello abbia realizzato la sua presidenza per la gente di colore (sempre all’erta stanno su internet questi presidenti e non parliamo dei ministri)

Quanto al resto : togli il conduttore per via di certe battute omofobe e silenzia il regista per ragioni analoghe, taglia qua e censura di là, della cerimonia più attesa non restano che le mise, ovvero le ciabatte Arizona di Frances McDormand indossate su sontuoso Valentino Haute Couture e spiegate dal direttore creativo Piccioli come un delicato contrasto e un’inclusiva testimonianza d’inclusività (che vor dì?).

E pensare che ogni anno gli 8.500 membri dell’Academy si danno un gran da fare tra complicati metodi di selezioni e votazioni in più riprese cui applicare sistemi prima maggioritari, poi proporzionali con tanto di soglie di sbarramento e distribuzione dei resti, un sistema da piccolo Stato che tiene alla democrazia ma così macchinoso da richiedere ogni anno l’intervento di una multinazionale di revisione dei conti per le operazioni di spoglio e conteggio. Ovviamente non può essere un metodo complicato di attribuzione dei voti a garantire la qualità.

Senza considerare il tentativo dell’estate scorsa di avvicinarsi al popolo (planetaria fissazione) istituendo la categoria outstanding achievement in popular film . Poi, vuoi le immancabili polemiche, vuoi il fatto che non s’erano ben capiti i criteri che avrebbero dovuto rendere popular un film e vista la già cospicua presenza nelle cinquine di ogni edizione dei vari Titanic e Compagnie dell’anello, non se ne è fatto niente.

Resta comunque inteso che nonostante tutto, ogni anno qualcosa di buono e di bello viene anche premiato, vedi i magnifici Roma di Cuaròn o The Favourite di Lanthimos o If Beale Street Could Talk tratto dall’omonimo libro di James Baldwin. (accorrete numerosi, possibilmente al cinema). Così, tanto per dire che tentativi non ricattatori e convenzionali di trattare temi come il razzismo ovvero il raccontare un intero Paese attraverso la piccola storia di una domestica, siano possibili. Forse l’ autenticamente popolare sta proprio nel dire le cose che si conoscono bene, con naturalezza e senza bisogno di ricorrere a schemi precotti. Istituendo nuove ed apposite sezioni si ottiene solo di aggiungere complicazioni alla confusione.

Infine delusione ( tutti dicono) per Glenn Close pronta e impacchettata per ricevere la statuetta ma che purtroppo si è portata sulle spalle tutta sola il peso di una storia ( The Wife), non all’altezza del suo talento (dietro un grande uomo bla bla c’è una grande donna, alle volte persino al posto di un grande etc… ma non si stancano mai di rimescolare la stessa eterna zuppa?)

Buon 1957

Buon 1957

Cravatte bianche tra i drappi e i decori della Crown Room al Romanoff’s Restaurant di Beverly Hills. Si festeggia l’inizio del 1957, l’anno che sarà di Arianna, de L’Ultimo treno per Yuma, di Aquila solitaria, di Passaggio di notte e de La Banda degli angeli. La foto di Slim Aarons suggerisce allegria – mai visto Gary Cooper ridere così – eleganza e nonostante la location infiocchettata, una certa sobrietà.

Non avendoli vissuti, non posso rimpiangere quei tempi ma il solo fatto che a questi divi non passasse per l’anticamera del cervello di sembrare uno di noi facendosi ritrarre mentre mangiano un supplì o si allacciano una scarpa, mi fa sembrare tutto meraviglioso. Si lo so che trattasi di quattro conservatori repubblicani (Stewart più moderato) etcetc ma che sollievo vederli, ciascuno nei propri panni, esprimere un’identità precisa.Buon 2019.

Il più bravo di tutti a raccontare

Il più bravo di tutti a raccontare

“Ma filmare è vivere, e vivere è filmare. È semplice, nello spazio di un secondo guardare un oggetto, un volto, e riuscire a vederlo ventiquattro volte. Il trucco è tutto qui”.

Non so se quella scena del disseppellimento fosse tratta da un episodio realmente accaduto, spero di sì per quel senso autenticamente liberatorio che suggerisce la bandiera di stracci rossi cuciti insieme, prudentemente nascosta durante il ventennio e infine esibita con gioia sfrenata, troppo grande per sventolare, viene agitata sull’aia da decine di mani.

Ci lascia il più bravo di tutti a raccontare, a dirci chi siamo, a trasformare la letteratura in immagini. Grazie di tutto.

Ne gâchon pas la  fête (parte prima)

Ne gâchon pas la  fête (parte prima)

Quesito fondamentale rivolto ad  Anna Karina, “c’était comment le baiser avec Jean-Paul Belmondo?

Risposta minimizzante « comme ça! »

Tuttavia il bacio comme ça tra Pierrot e Marianne ha incartato  il Palais e quanto possibile lì intorno, omaggio a  Godard – il vero l’unico habitué di Cannes, anche se non ci va da decenni lui, con o senza film in gara, semplicemente c’è sempre – alla vita spericolata, al montaggio che se ne infischia della sequenza  cronologica , alle canzonette e al cinema con le sale piene degli anni 60. Infine omaggio al 68, ai  cineasti – Truffaut,  Saura, Godard Polanski, Berri, Resnais –  agli attori  – Jean Pierre Léaud, Monica Vitti, Geraldine Chaplin – agli operai Renault che assieme agli studenti occuparono la Croisette bloccando il festival.

NO! NO! NO!  ai selfie, come del resto l’anno passato, ma stavolta con avvertimenti – divieto stradale distribuiti alla Stampa su graziosi cartoncini e impressi su banderoles sventolanti in punti strategici. Siamo venuti qui per vedere e non per essere visti  chiosa il pontificante  Frémaux  (si, vabbè)

No a Netflix in nome della centralità delle visioni in sala per le quali si evocano sperticate suggestioni e delle severe leggi francesi. Poi non s’è capito dove sono più i distributori coraggiosi e dunque i cinema dedicati in cui proiettare certe meraviglie (dico meraviglie perché credo lo siano) che Cannes seleziona ogni anno e che nessuno riesce a vedere. No alle anteprime, i film in concorso si guardano – pubblico, giornalisti, addetti ai lavori – tutti insieme appassionatamente o comunque dopo la Première  in modo tale da evitare stroncature anticipate (soprattutto su twitter). Vogliamo l’innovazione ma senza troppi smartphone e internet. No alle serie televisive, solo il cinema è poesia il resto è industria. (anche questo abbiamo dovuto sentire) Evidentemente si vuol  salvare il Sistema Cinema ponendo veti e spartiacque e rinunciando alla modernità, del resto Frémaux  come direbbe Sordi c’ha ‘na capoccia così e di sicuro anche una strategia. Speriamo vincente. Nelle more dei proclami e dell’elogio del tempo che fu, niente presentazione di The Other Side of the Wind l’incompiuto di Orson Welles ultimato da Peter Bogdanovich e finanziato da Netflix.  (Venezia si prepari)

No alle molestie e ci mancherebbe pure ma qui oltre che cospicua presenza di giurate e cineaste,  marce e raduni,  funziona un numero verde per denunciare eventuali molestie ambosessi. Non prima delle 9 di mattina, non dopo l’una di notte.Nel lasso di tempo in cui il servizio è chiuso non resta che mollare schiaffoni.

Oh Martin  A lui il premio Carrosse d’or 2018. La Quinzaine proietta il suo “Mean Streets”, Festival  di Cannes del ’74 , dove tutto cominciò ma rispetto alla sopravvivenza del cinema ha idee differenti  : “Ciò che conta è fare i film, anche se li paga Netflix”. Pure  Scorsese, va detto, “c’ha ‘na capoccia così”, la sua strategia però sembra più convincente il suo approccio più concreto e meno ancien regime.

Ah Lars  Riabilitato dopo sette anni di ostracismo per le stupidaggini dette nella conferenza stampa di Melancholia e dichiarato indesiderabile dalla Procura locale oltre che dalla severissima organizzazione del Festival, Lars von Trier  ha presentato a Cannes la sua opera ultima. Rentrée elaborata , per lui niente concorso, niente conferenze stampa, proiezione del film dopo le 22. (manca solo a letto senza cena). In compenso The house that Jack Built  non è all’altezza del suo – peraltro sempre discusso – standard.  e non tanto perché il pubblico abbandona la sala turbato, faccenda non inusuale che è stata rimarcata da tutte le recensioni  manco fosse un evento straordinario, ma perché The House è un film  inutilmente brutale. Abbiamo capito che l’umanità è, senza appello né possibilità di redenzione, malvagia ma trattare l’omicidio come opera d’arte architettonica pare un po’ troppo anche a chi, come me, è fondamentalmente d’accordo con la premessa.

Eh Daniel –  Il 68 si diceva,  quindi non poteva mancare un road movie sociale (qui i generi si moltiplicano) firmato Daniel Cohn Bendit e Romain Goupil, due protagonisti assoluti di quella stagione, il documentario si chiama  La Traversée , viaggio attraverso la Francia per incontrarne i cittadini registrando scrupolosamente i cambiamenti sociali. E gira che ti rigira chi vanno a interrogare… mais le Chef de l’Etat, ovvero Emmanuel  Macron, sette minuti di conversazione totalement improvisée ( si, certo) in un Caffè di Francoforte,  una cosa tipo ma guarda chi c’è : Macron ! Un movimento di macchina che Daniel ha già sobriamente battezzato scène culte. (Resta inteso che Daniel Cohn Bendit in smoking non si può guardare, se è, come dicono, la sua prima volta, faccia in modo che sia anche l’ultima ma il suo lavoro, acquistato dalla televisione e in onda domani alle 20,50 su France 5 è decisamente interessante)

Grâce à la justice, le sortilège est rompu, l’avvocato Sarfati che ha difeso il diritto di Don Chisciotte  e di Terry Gilliam di essere a Cannes chiude la questione della  presunta Maledizione che avrebbe accompagnato la lavorazione del film venendo a capo di una noiosa diatriba legale tra produttore e regista. A parte questo, incidenti, decessi, intemperie, ferimenti sono anche i protagonisti indiscussi  del making off  titolato Lost in Mancha.  Tuttavia il lieve ictus che ha colpito il caro Gilliam  ha potuto avere la meglio sulla Sfiga grazie alla sua forte tempra (ed impudenza)  Sono ancora vivo e verrò a Cannes. E così è stato. Il film è molto bello (e il documentario pure). Gli incidenti sul set capitano, i lutti ahimè anche e le questioni di soldi sovrastano ogni cosa ma…un nemico alla volta si può vincere.

 En marche!  10 maggio, mercoledì, cinque attrici  di fama planetaria percorrono mano nella mano Boulevard de la Croisette dirette non ai gradini del Palais des Festivals ma alla più modesta e defilata entrata del Marché du Film dove produttori, acquirenti, distributori e programmatori cercano di far funzionare il business del cinema per il prossimo anno. Marion Cotillard , Lupita Nyong’o, Penelope Cruz, Jessica Chastain e Fan Bingbing sono venute a cercare di persona personalmente il distributore del loro prossimo progetto cinematografico, 355 . Hanno pensato – giustamente – che sarebbero state più convincenti del regista Simon Kinberg ( X-Men: Days of Future Past ). L’impatto visivo  è travolgente i rangers cuissardes di Marion assolutamente perfetti per la marcia. Un trionfo.

(Fine prima parte) con altra  notizia fondamentale  :

Catherine Deneuve n’est plus blonde !