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Anno: 2007

Lettere dal nemico

Lettere dal nemico

Quando la superiorità del nemico è schiacciante e la resa impossibile,il buon comandante è quello che sa interpretare gli ordini, mette in salvo i civili e  impegnando il nemico con intuizioni e invenzioni imprevedibili, ne rallenta l’avanzata,anche a costo di perdere tutti i suoi uomini.Un film di guerra,un po’ Fuller un po’ Peckinpah,bello e fluido con combattimenti psicologici più che con colpi di mortaio, raccontato con un linguaggio estremamente credibile  ma ,- sfida ed eresia  estrema –  : il punto di vista narrativo è quello del Nemico del quale oltretutto vengono celebrati onore ed etica.Attesissimo,applaudito e premiato intanto a Berlinale (ma poi ci sono anche quattro nominations a Los Angeles),Clint Eastwood firma questo  Letters from Iwo Jima,incentrato sulla vita del generale giapponese Kuribayashi, in cui  si smonta pezzo a pezzo,il mito dell’eroismo (a partire dallo spirito dei Kamikaze) chiudendo il dittico contro la guerra,il militarismo e lo sciovinismo iniziato da Flags of our fathers.Commovente ed emozionante nello splendore del bianco e nero e nella musicalità della lingua giapponese, naturalmente sottotitolata.

Il suonatore Jones

Il suonatore Jones

La terra ti suscita
vibrazioni nel cuore: sei tu.
E se la gente sa che sai suonare,
suonare ti tocca, per tutta la vita.
Che cosa vedi, una messe di trifoglio?
O un largo prato tra te e il fiume?
Nella meliga è il vento; ti freghi le mani
perché i buoi saran pronti al mercato;
o ti accade di udire un fruscio di gonnelle
come al Boschetto quando ballano le ragazze.
Per Cooney Potter una pila di polvere
o un vortice di foglie volevan dire siccità;
a me pareva fosse Sammy Testa-rossa
quando fa il passo sul motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare le mie terre,
– non parliamo di ingrandirle –
con la ridda di corni, fagotti e ottavini
che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa,
e il cigolìo di un molino a vento – solo questo?
Mai una volta diedi mani all’aratro,
che qualcuno non si fermasse nella strada
e mi chiedesse per un ballo o una merenda.
Finii con le stesse terre,
finii con un violino spaccato –
e un ridere rauco e ricordi,
e nemmeno un rimpianto

Fiddler Jones gli stava addosso come nessun altra identità , anche se dove finivano le sue dita cominciava una chitarra e non un violino (che per questioni di metrica poi diventò un flauto).Coltivare la propria visione del mondo oltre le cose era il suo tratto,il suo segno inconfondibile.Per questo,diversamente da un medico,un chimico ,un giudice ,non si tratta di un suonatore e basta.E’ proprio lui Jones, quello che dove altri vedevano siccità, faceva turbinare le gonne delle ragazze al ballo.E quel ridere rauco e ricordi e nemmeno un rimpianto è la risposta alla domanda inziale della Collina :

E dov’è Jones, quel vecchio suonatore
Che giocò con la vita per tutti i suoi novant’anni.
Affrontando la tormenta a petto nudo.
Bevendo e piantando casino.
Senza mai un pensiero
Né alla moglie, né ai parenti,
Né all’amore, né al denaro, né al cielo?…

Da Spoon River Antology (1915) di Edgar Lee Masters traduzione di Fernanda Pivano

L'Infinito creativo

L'Infinito creativo

L’ultima foto di famiglia

L’ultima foto di famiglia

 

A Lucia Annunziata va sicuramente il merito di avere messo insieme, episodio dopo episodio,documento dopo documento, il racconto di un anno – il 1977 –  denso di accadimenti.La cronaca non scarna e al contempo rigorosa di uno dei passaggi chiave della storia della sinistra italiana, è accompagnata da analisi e considerazioni nonchè da una conoscenza puntuale delle forze in campo,il  Movimento soprattutto, nelle sue articolazioni e con le sue dinamiche.Tuttavia il punto di vista prevalente rimane quello della testimone, più che quello della protagonista (nel doppio ruolo di cronista del Manifesto e di militante ) e questo ci fa ritrovare quella felice modalità del giornalismo  che non solo vuole i fatti distinti dalle opinioni ma che considera professionale la  limitazione del narcisismo e dell”invadenza delle sensazioni del narratore, sulla materia trattata.E quantunque il libro non sia privo di percezioni che attengono anche alla sfera emotiva,va detto che la scelta degli umori è caduta su sensazioni  ampiamente condivise di rabbia,spavento,incertezza ma anche di voglia di venirne a capo,di continuare nonostante gl’innumerevoli lutti, i fallimenti e il conseguente senso d’impotenza.Nessuno di quelli che “fecero l’impresa” è autorizzato, a mitizzare.Ma ognuno di noi può riconoscersi nel racconto.Ognuno potè “vedere" ,come l’Annunziata, il materializzarsi sotto i propri occhi,  del conflitto politico generazionale tra i militanti del PCI e i sindacalisti da una parte e il Movimento dall’altra,la mattina del 17 gennaio 1977 alla Sapienza.Ognuno potè prendere atto della infinita distanza tra l’uno e l’altro schieramento mentre si fronteggiava,rincorreva,picchiava  e dell’indisponibilità caparbia a qualsiasi tipo di interlocuzione politica.Ecco dunque il tema centrale del libro: il rifiuto  di confrontarsi, in primo luogo da parte di quel Pci che dopo aver superato, un anno prima, il 35 per cento dei voti, ritenne che il modo migliore, o forse l’unico, per utilizzare quei consensi, fosse la politica di unità nazionale, scomoda anticamera forse del compromesso storico o forse, chissà, di una democrazia dell’alternanza del futuro. Chiudendosi a riccio nei confronti di chi questa scelta la contestava, nella convinzione che, magari “oggettivamente”, lo facesse per contrastare “l’ascesa della classe operaia alla direzione dello Stato”: non a caso “diciannovismo” e “sovversivismo” furono le maledizioni più utilizzate.
Non era semplice trovare interlocutori nel Movimento. Ma, se non ci si provò neppure, non fu solo perché il movimento, tutto il movimento, a quella politica era fieramente avverso. Fu prima  ancora perchè quella generazione appariva letteralmente incomprensibile, del tutto diversi com’era dalla gruppettistica dei primi anni Settanta. Così diversi da rendere inservibili, nonostante fossero oltre ogni dire, estremisti, una categoria classica come quella dell’estremismo: quasi degli alieni che erano cresciuti attorno alla sinistra tradizionale senza che questa ne avesse il minimo sentore.Alieni Ostili. E più di tutto colpiva, come ha scritto Adriano Sofri, quel loro voler essere prima di tutto comunità, senza tema di vedersi ristretti in una sorta di riserva indiana: Non aveva voglia, quel movimento, di conquistare il potere e nemmeno di guadagnare alla propria causa la maggioranza, ma di mettersi in proprio. E se non si riuscì in alcun modo a comunicare fu pure perché quel movimento, quei giovani anticipavano a modo loro un mondo nuovo, il nostro, che di emancipazione del lavoro, movimento operaio, blocco storico, egemonia e strategia delle alleanze, non si ricorda neanche più; e irridevano prima ancora di contestare non solo i sindacati ma i partiti, anzi, il sistema dei partiti, proprio quando questo si sentiva invincibile, e come si vide poi,non lo era affatto.

Per me tra le ultime foto di famiglia più eloquenti c’è quella qui in alto : E’ il 17 febbraio 1977,il ragazzo che sta cancellando la scritta alla Sapienza fa parte di una task force di iscritti al PCI e al sindacato che precede di poche ore la visita di Lama e ha il compito di ripulire l’ateneo dalle scritte irriverenti degli Indiani Metropolitani.L’obiettivo non può cogliere la sua perplessità che è data sia dai baroni (da cacciare) definiti bianchi rossi e neri (quindi tutti sullo stesso piano), sia da quell’ a pallini espressione fantasiosa ed inedita nell’ambito della comunicazione politica che all’epoca si avvale  di registri seriosi e severissimi.Quel giorno furono  i canti,i balli,le invettive e i calambours,i giochi di parole (Lama non l’ama nessuno, o i Lama stanno in Tibet) ad alimentare il  clima di tensione.Curiosamente quei segnali di evidente diversità tra loro e gli altri inquietarono i militanti del PCI assai più che i servizi d’ordine agguerriti.Cominciò così…con la decisione di opporre a Lama,prestigioso capo sindacale,l’ironia.Finì come finiva sempre allora.Botte e cariche della polizia.

L’ Ultima foto di famiglia è un libro di Lucia Annunziata edito da Einaudi

Pasque di sangue

Pasque di sangue

Il bel gruppo dell’illustrazione rappresenta il martirio del Beato Simonino ed è custodito nel Museo Diocesano di Trento.Nel marzo del 1475 l’intera comunità ebraica di quella stessa città, fu accusata di un atroce assassinio rituale: ne sarebbe stata vittima un bambino cristiano, il piccolo Simone, torturato e crocifisso in periodo pasquale in evidente spregio della fede cristiana. I presunti responsabili, fatti imprigionare dall’inflessibile vescovo Renetta, principe della città e sottoposti a interrogatorio e a tortura, naturalmente finirono col confessare e furono condannati a morte.Su questo caso Ariel Toaff nel suo Pasque di sangue assume,una posizione  che è stata motivo di aspre polemiche in seno alla comunità ebraica italiana e tra i medievisti.In sostanza Toaff   non  fornisce le prove  inconfutabili e definitive di un fatto che davvero sarebbe per noi sconvolgente –  la realtà di quell’assassinio rituale – ma si limita, con  dovuta prudenza ed esemplare coraggio, a osservare che in assenza di prove ma dinanzi a una casistica storica quanto mai complessa, nessuno è autorizzato a scartare aprioristicamente la possibilità che le indagini condotte dalle autorità del tempo fossero corrette e che ci si trovi veramente dinanzi a uno spaventoso delitto.L’indagine si basa sulle carte processuali ,in particolare quelle inquisitoriali piuttosto minuziose nella descrizione degli usi liturgici ebraici, sostenendo Toaff essere queste troppo dettagliate,troppo al corrente degli usi e costumi ,per non essere vere, assume in buona sostanza gli stessi documenti dei negazionisti,rovesciandone però l’interpretazione.Non sono in grado di stabilire attraverso l’esame delle carte quale sia la corretta interpretazione di quell’episodio,tuttavia mi sono sembrate eccessive le preoccupazioni possibili istigazione all’antisemitismo espresse con forza dalla Comunità Ebraica Romana e dallo stesso padre di Ariel,il rabbino emerito Elio Toaff .E’ di oggi la notizia del ritiro del libro,probabilmente per fare in modo che Ariel vi aggiunga alcune annotazioni.L’idea di poter essere strumentalizzato ha prevalso su tutte le altre,io spero che il libro,che è bellissimo,torni sugli scaffali delle librerie opportunamente chiosato ma integro.A me sembra che Toaff piuttosto che consolidare un odioso luogo comune antisemita,contribuisca a formulare un’altra ipotesi egualmente  irrispettosa della figura classica dell’ebreo come vittima inerme e rassegnata al proprio destino.Nelle sue pagine si legge quanto fosse diffuso e violento l’anticristianesimo in alcune frange delle comunità ebraiche in quelle regioni e a quei tempi,e che tale  ostilità espressa per lo più con insulti o derisioni era motivata dal clima di particolare oppressione che cristiani esercitavano in maniera cruenta e sistematica.La storia che Toaff racconta è quella di una una probabile forma di esasperazione aggressiva come reazione ad infinite violenze subite.Non discuto che siano contestabili le tesi ma è innegabile che da parte di alcuni la lettura che di questo libro è stata data, è emotiva e non del tutto equilibrata. In Occidente, fu Agobardo di Lione, nel nono secolo, il primo ad accusare gli ebrei di infanticidio rituale. Alcuni decenni più tardi, alla fine dell’undicesimo secolo, i crociati in partenza dall’Europa per la Terra Santa si resero responsabili di orribili e odiosi massacri contro le comunità ebraiche tedesche e boeme. Da allora, la storia del popolo d’Israele nella nostra Europa è stata una sequenza continua di violenze e di soprusi, culminati nel tentato genocidio durante la seconda guerra mondiale. Ebbene: è poi così antistorico, così privo di plausibilità, il pensare che, fra tante migliaia di vittime innocenti e silenziose, di tanto in tanto non ci fosse qualcuno che – più feroce, più disperato e meno rassegnato degli altri – concepisse e mettesse in atto qualche atroce disegno di vendetta? 

Pasque di Sangue Ebrei d’Europa  e omicidi rituali è un libro di Ariel Toaff edito da il Mulino