Sfogliato da
Mese: Maggio 2008

Ecco Gomorra

Ecco Gomorra



L’unico rischio era quello che Gomorra diventasse, nella trasposizione, un documentario, ovvero un film di denuncia, cioè che di tutta quella materia ricchissima su cui poggia  il libro, si facesse, trascinati dall’enfasi, un’opera didascalica  –  il Bene e il Male distintamente allineati – con coronamento di giudizi ed esperte considerazioni. Su tutto – cronaca, sociologia, economia, criminologia, politica – invece ha prevalso il Cinema nel racconto di sei episodi emblematici, messi in scena da Ugo Chiti, Massimo Gaudioso e Maurizio Brauccio, interpretati da un gruppo di solidi attori teatrali sotto la direzione da Matteo Garrone, bravo anche nel maneggiare il magma con il distacco che richiede ogni narrazione già drammatica di per sè. Gli episodi s’incrociano determinando una trama in cui nulla è casuale  – fabbriche clandestine cinesi, stakeholder  dello smaltimento illegale, esecuzioni a freddo, ragazzini ansiosi di entrare a far parte del giro, mitologia malavitosa   - ma in cui Garrone riesce ad esprimersi differentemente  dalla nutrita schiera dei registi che si sono occupati del genere, proprio per quella sua attenzione ai fatti più che alle digressioni . Dietro la regia essenziale, tuttavia, come sempre capita in questi casi, s’intravede un lungo lavoro di ricerca introspettiva e sui contesti . Il film  non è sfuggito ai selezionatori di Cannes 2008. Inserito nella sezione Concorso  farà il suo esordio domenica prossima. Qui in Italia,  è nelle sale a partire da oggi.

Gomorra è un film di Matteo Garrone. Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor, Ciro Petrone, Carmine Paternoster. Genere Drammatico, colore 135 minuti. – Produzione Italia 2008. – Distribuzione 01 Distribution

Tentarle tutte

Tentarle tutte

Tutte le mostre del cinema sono macchine di mondanità, cinefilia e mercato, ma solo Cannes sa coniugare i tre elementi in chiave di scelte qualitative impeccabili e soddisfacenti. Il cinema non è più lo stesso, il festival quindi deve confrontarsi con queste trasformazioni evitando di chiudersi in se stesso, di diventare un circolo per i soli abbonati. aveva detto Thierry Frémaux il nuovo  délégué général   di Cannes alla presentazione parigina dell’edizione 2008, cosicché tutti avevano pensato a chissà quali cedimenti nei confronti del mercato. E invece niente, basta guardare la programmazione per capire quanto la sua Cannes sia ben lontana finanche da tentazioni scioviniste lasciando pochissimo spazio nella sezione dei film in gara,  sia alla potente cinematografia francese di stato ( che tutto paga, alla Sale Lumiére come nei dintorni per un raggio di venti chilometri ) che alle multinazionali ( che tutto possono ). La lista dei film in concorso parla chiaro:  tra gli altri, un dittico su Che Guevara di Steven Soderbergh : The argentine e Guerrilla girati il primo in 16 mm anamorfico, il secondo in super 16, niente Dolly, tutto macchina a mano e treppiede, prodotto con finanziamenti non USA.  E ancora Clint Eastwood con The Exchange, thriller indipendente con Angelina Jolie,  Wim Wenders con Palermo  Shooting, storia di un fotografo di mezza età in crisi. Intelligente anche la scelta di dedicare ampi spazi alle cinematografie latinoamericana, turca e israeliana, presenti sia in Concorso che alla Quinzane nel segno di una vitalità culturale di cui  Cannes non difetta  ma anche di un non voler demordere :  rispetto alla recessione che avanza e che ha dimezzato il volume d’affari del Sundance Festival, è necessario esplorare nuovi mercati.Tentarle tutte insomma . Vedremo.. è proprio il caso di dire . Menzione speciale a Richie Hevans che inaugura la Kermesse cantando Freedom in omaggio a Woodstock  – qui tra le altre cose si celebra il quarantennale del 68 con mitica filmografia d’epoca – al manifesto della Mostra firmato  David Lynch e al gran ritratto di Ingrid Betancourt, sul Palais per il quarto anno consecutivo. Il resto sono storielle per riempire la rubrica social dei giornali che ancora ne detengono una, (cioè quasi tutti)  : la cascata di diamanti e zaffiri di Chopard ( sponsor ufficiale e realizzatore del premio : la palma d’oro) sullo chiffon glicine di Bar Rafael, il pancione della divina Jolie, Sean Penn, presidente della giuria – sobrio! – che tanto per cambiare dice male di Bush e fuma al chiuso della sala di riunione insieme alla Satrapi, Madonna e Sharon Stone a raccogliere fondi per la ricerca sull’Aids, la Muti con scollatura abissale, Kashoggi, Afef, Eva Longoria, Natalie Portman in viola  …e non è ancora arrivato Indiana Jones con il suo ultimo film, ovviamente e rigorosamente fuori concorso…che gran lancio però.

Questi due

Questi due

veltroni berlusconi

L’unico rischio –  fregature a parte –  è rappresentato dalla  possibilità che il clima di dialogo si risolva in condivisione di responsabilità ( e di eventuali insuccessi ) soprattutto rispetto alla stagione recessiva che avanza. La questione di mantenere distinti i ruoli è dirimente ed è qui, non nei proclami,  che si giocano le vere questioni identitarie e le differenze culturali tra le due compagini.  Il resto sono illazioni, e se si tratti o meno di bluff, di tranello, d’imboscata o quel che l’è, lo scoprireremo solo vivendo, per dirla col cantante. E per arrivare a capirne di più, non ci toccherà nemmeno vivere troppo : primo banco di prova sarà la Rai, a seguire la questione dei Regolamenti Parlamentari da mettere sul piatto prima possibile, onde evitare che eventuali esodi di eletti dai rispettivi gruppi, generi altri gruppi, vanificando così la volontà degli elettori che particolarmente in questo, si è espressa con nettezza. In tutta questa nuova fase non vedo niente di epocale : è nella logica del rapporto democratico tra governo e opposizione alternare scontro e confronto a seconda delle circostanze, cioè dei provvedimenti da assumere. Sono stati questi ultimi quindici anni segnati dalla netta prevalenza della contrapposizione e del filibustering parlamentare a produrre aberrazioni quali riforme istituzionali tagliate con l’accetta, votate a maggioranza e poi smentite successivamente dal Referendum, egualmente è accaduto con Pensioni e Giustizia per non parlare di quel capolavoro che è la legge sulla fecondazione assistita. Se il nostro Paese appare bloccato, parte della responsabilità va attribuita a questa conduzione : cioè all’assenza di dialogo e di compromesso tra le parti politiche. A quei due che si stringono la mano alla fine del dibattito sulla fiducia, ripristinando un’abitudine e una buona regola democratica, non rimane che vedere l’uno le carte dell’altro. A noi di sperare nella riuscita dell’impresa.

Sed è una terrorista ( les liaisons dangereuses)

Sed è una terrorista ( les liaisons dangereuses)

V day

Ho frequentato le scuole insieme a molti ragazzi che di lì a breve, avrebbero aderito  alla lotta armata, con alcuni  ho intrattenuto relazioni superficiali, di altri sono stata amica. Quando me ne è stato chiesto conto, ho dimostrato non solo la mia contrarietà all’uso della violenza ma anche la mia completa estraneità a qualsiasi fatto criminoso avesse visto il coinvolgimento dei miei conoscenti e i miei amici. In ogni caso si è potuta appurare la mia inconsapevolezza. E’ tardi oramai per coltivare aspirazioni a cariche pubbliche, tuttavia quando si parla di me, non m’interessa che siano taciute le mie relazioni ma vorrei che, insieme ad esse,  si precisassero fatti e contesti. Ecco perchè :

E’ un fatto che Renato Schifani abbia intrattenuto relazioni con Nino Mandalà, futuro boss di Villabate, nel 1979, come pure è vero che dopo vent’anni  Mandalà venne accusato di mafia. Ed è ancora vero, linguaggio colorito ed epiteti gratuiti, a parte, quello che dice Travaglio e cioè che i fascistelli di destra e di sinistra e di centro che mi attaccano ancora non hanno detto cosa c’è di falso in quello che ho detto.Credo infatti che nemmeno Schifani abbia mai negato le relazioni  di allora. Eppure questo per Travaglio è sufficiente per convincere il pubblico che il presidente del senato sia in odore di collusione con la mafia. Esattamente come chi scrive potrebbe essere stata in odore di terrorismo.Travaglio racconta fatti ma non dice che delle presunte connessioni mafiose di Schifani non si parla semplicemente  perchè ulteriori approfondimenti non hanno condotto oltre quella relazione del 1979. Il metodo mi ricorda vagamente quello adottato con Mastella. L’imprenditore vorrebbe un appuntamento col politico – evento abituale e di per sè innocentissimo – e da ennesima intercettazione si apprende che lo sventurato rispose "Mandamelo". Tanto basta per imbastire un paio di trasmissioni su presunti intrighi del politico con l’imprenditoria. Ecco qui che il giornalismo, soi disant, d’informazione, diventa immediatamente  giornalismo d’opinione. Tanto basta per collocarsi a buon diritto nelle pagine più ambigue del  Costume Nazionale rompendo il paradigma travagliesco della tutela dei cittadini da una stampa e da una televisione  mercenaria o asservita al potere. E se si vuole un’idea di quanto sia socialmente utile un simile metodo, basta fare una ricognizione dei blog in cui sulla scorta di quanto sostenuto nella trasmissione Che tempo che fa, già si afferma di essere governati senza più speranza e senza tutela dai mafiosi. L’ultimo divertimento in città è disperarsi senza vedere mai una via d’uscita. Se invece si volessero tirare le somme su quanto di utile ha prodotto il furor di popolo derivante dalle denunzie della scorsa stagione, basterebbe guardare l’elenco dei parlamentari e le new entry per capire che simili operazioni sono strutturate per lasciare le cose come stanno. Non promuovono cambiamento, in compenso producono senso d’impotenza e frustrazione. Queste agenzie del risentimento lavorano ad un cattivo giornalismo,ne fanno una malattia della democrazia e non una risorsa. Si fanno pratica scandalistica e proficuamente commerciale alle spalle di un’energica aspettativa sociale che chiede ai poteri di recuperare in élite integrity,in competenza,in decisione.Trasformano in qualunquismo antipolitico una sana e urgente,necessaria critica della classe politica istituzionale ( Giuseppe D’Avanzo. La lezione del caso Schifani. Repubblica del 13 maggio 2008 ). Abbiamo davvero bisogno di tutto questo? E soprattutto possiamo tollerare che nel servizio pubblico si giochi con la buonafede di chi, inconsapevole dei fatti, si mette in ascolto per saperne di più ? Quale libertà è stata offesa se non quella del pubblico che, oltretutto, paga il canone?

L’aria che tirerà ( chez Lucia)

L’aria che tirerà ( chez Lucia)

annunziata11

Dice Tremonti – e la digressione è stata cento volte più interessante dell’annunciata querelle extragettito si, no, forse, all’interno del programma televisivo in mezz’ora – che la sinistra non è vicina alla gente. Veramente non lo dice solo Tremonti, sono in molti a sostenerlo.Un progressivo scollamento dall’elettorato tradizionale è in atto già da qualche anno sebbene, sottoforma di quesito ricorrente – come essere vicini alla gente – la sinistra si sia posta a più riprese ed anche in sedi autorevoli,  la questione di come articolare la sua presenza nella società. Diciamo da quando la crisi della partecipazione alla vita politica ha cominciato a funzionare un po’ come la crisi delle vocazioni, una contribuiva a svuotare i conventi, l’altra le strutture territoriali. Il partito leggero al quale molte colpe, in tal senso, si vogliono attribuire, più che una scelta, ha rappresentato una necessità derivante da una presa d’atto iniziata già dai tempi del PCI . Certo si sarebbe potuto fare di più, stringendo alleanze con l’Associazionismo o patti più funzionali tra gli eletti nelle amministrazioni locali e i cittadini, per esempio. Le circostanze in cui simili relazioni si sono attivate, hanno prodotto risultati importanti ma è pur vero che la temperie del riflusso nel privato ha favorito l’insorgenza di spinte individualistiche inconciliabili con le istanze del sociale. Difficile contrastare un fenomeno che investe settori che vanno ben oltre  la politica. Miglior gioco ha invece avuto la destra nel cavalcare il disagio che occasionalmente si esprime a livello locale  su specifici problemi. Ma in quel caso è l’approccio di sinistra a non essere  popolare e vicino alla gente . Non sono da disprezzare problemi che investono la vita dei cittadini ma non c’è risoluzione al disagio, in una società complessa, che non importi il mettere le mani in un sistema di connessioni di dati derivanti da altri sistemi :  industriale – economico, politico globale e locale, sociale con gli indicatori sulla oggettiva e soggettiva qualità della vita e così via. Non è un caso che nel momento in cui tali considerazioni vengano poste ai barricaderi del Nimby, la sensazione di distanza si accentui. Lo stesso vale per i temi definiti dell’allarme sociale anche nel caso in cui il senso d’insicurezza derivi da reali inconvenienti e non da predisposte campagne mediatiche. Si possono non demonizzare le ronde, considerarle per dirla con D’Avanzo una  misura di tutela delle comunità smarrite e disgregate ma poi la Politica deve trovare soluzioni ai problemi in ambito istituzionale, non delegando ai cittadini funzioni di polizia. Tra qualche giorno Maroni presenterà una serie di provvedimenti su Immigrazione e Criminalità  la cui piena attuazione – ammessa che sia quella la strada –  richiederebbe un sistema giudiziario più efficiente, più strutture detentive, più centri di accoglienza, una diversa legislazione europea e in qualche caso anche un’altra Costituzione Repubblicana oltre che la cancellazione di Schenger. Eppure questo pacchetto che è di puro impatto mediatico, obbedisce ai desideri di coloro ai quali la sinistra non riesce ad essere vicina semplicemente perchè tende a concepire il governo dei processi in altri termini. Diciamo che per Tremonti and co, lasciando in pace Gramsci, pur convocato in soccorso delle tesi sull’anacronismo della sinistra,  è facile essere vicino alla gente dispondendo di un sistema d’Informazione che pur non orientando direttamente il voto, definisce sin nei minimi particolari, spesso costruendoli, quali siano i connotati del  mondo in cui viviamo e lo fa con gran dispiego di mezzi, non solo attraverso le campagne di stampa, i telegiornali o i talk show  ma destinando all’uopo, l’intero palinsesto, le fiction e i mille programmi d’intrattenimento, quiz della speranza compresi. Determinato il clima, non è difficile inventare la misura salvifica da diramare sottoforma di spot. Se l’aria che tira è questa, e a quanto sembra non riguarda solo la sinistra italiana ma la sinistra europea più  o meno al completo, non sarà cosa di poco conto invertire la tendenza. Forse aveva ragione Pintor a dire che la sinistra è finita. E probabilmente questa incapacità di affermare le proprie pur dignitosissime soluzioni altro non è se non un segnale d’invariabile declino.