In catene
L’anno si chiude con l’immagine di Ingrid Betancourt perchè come dice Francesco Guccini nella ballata che le ha dedicato, noi non potremo dirci liberi finchè non sarà stata liberata lei . Quando fu rapita il 23 febbraio del 2002, era candidata per la Presidenza con Oxigeno Verde, il partito del quale è stata fondatrice. Stava cercando di raggiungere San Vincente del Caguàn per incontrarne il sindaco, attraversava una zona divenuta pericolosa a causa della rottura dei negoziati tra l’allora presidente Andrés Pastrana e i narcocomunisti delle Farc (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia , utopisti del niente , come da efficace definizione Gucciniana). La sua biografia, La rabia en le corazon del 2000 , uscita in Italia per Salani col titolo Forse mi uccideranno domani , ci consegna un’immagine differente da quella che i media colombiani amavano dare raffigurandola come un’estranea, vissuta più all’estero che in patria , con alle spalle un’ infanzia privilegiata nella sontuosa abitazione parigina della sua famiglia , dov’erano habituée Garcia Marquez e Neruda e una giovinezza brillante trascorsa negli ambienti diplomatici tra Europa e Stati Uniti.Tutto vero naturalmente come era vero che il modo migliore per minimizzare il senso del suo mandato di senatrice e gettare ombra sulla campagna presidenziale tutta incentrata sulla lotta alla corruzione era quello di presentare Ingrid come una Juana de Arco esaltata, innamorata di se stessa, dei colpi di scena mediatici, amata dai francesi per i suoi modi impeccabili e il suo accento perfetto e per aver lasciato credere a tutto il mondo – come osservava acidamente la Semana poco prima del rapimento – di essere l’unica persona onesta in tutta la Colombia. In realtà Ingrid è un osso duro , lo dimostrano le mille occasioni, dagl’incarichi pericolosi per conto del Ministero delle Finanze colombiane presso il quali era impiegata, nelle enclavi dominate dai signori della droga, alle battaglie politiche e alle denunce di corruzione ,finanziamento illecito e omicidio contro l’allora presidente Ernesto Samper, intraprese come senatrice, ai ben cinque tentativi di fuga dalla prigionia delle Farc, in cui ha dimostrato di avere un coraggio senza pari. Il resto della storia è fatto di una sequela di mediazioni,tentativi di scambio di prigionieri ogni volta falliti e di un movimento internazionale che chiede la liberazione di Ingrid e di tutti gli ostaggi detenuti dalle Farc.Se il rapimento ha interrotto la carriera politica di Ingrid, ne ha però rafforzato il personaggio fino a farne un simbolo, l’ispirazione di film, siti internet e libri. Cittadina onoraria di più di mille città del mondo, continua a non godere della stessa considerazione in patria, dove solo da poco tempo i media hanno imparato a parlarne con obiettività. E’ l’unica parte del mondo in cui non la rispettano conclude desolata Yolanda Pulecio, sua madre.
4 pensieri riguardo “In catene”
un poost stupendo
buon anno stef
ci sono molti punti in comune con la storia di Benazir Bhutto. E’ la colpa che le donne devono espiare, quella di essere brave e coraggiose.
possibile che queste donne possano fare politica (in senso lato) solo da morte o da prigioniere?
appunto…vedi Ingrid, Benazir Bhutto e Aun San Suu Kyi.
Bel post. Io continuo a sperare.
C’è una petizione su http://www.agirpouringrid.com vi invito a firmarla
Aly