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Qui non si baciano rospi ( e due)

Qui non si baciano rospi ( e due)

Cinici – e imbecilli – sono quelli che inneggiano, quelli che pretendono di trarre dal gesto di un disperato, un teorema politico, coloro i quali pensano di speculare sull’accaduto incastrando – tutte le occasioni sono buone – l’Opposizione, la Stampa e le solite trasmissioni televisive – sempre quelle – col ricatto della responsabilità nel determinare  il clima d’odio.
Non parliamo poi di quelli del se l’è cercata.
Ne’ di quelli che rivendicano il diritto di odiare.
  All’episodio in questione si possono applicare tutte le teorie possibili da quella  spicciola  – ed assurda – del nuovo terrorismo a  quella più sofisticata  – ed attendibile  – del doppio corpo del sovrano, ma il fatto acclarato è che ciascuna delle reazioni di cui sopra  è accomunata dalla medesima cifra antipolitica, non a caso indignazione e sostegno con o senza le avversative di cui tanto si  discute, vengono espressi per il tramite dello stesso tipo di linguaggio. C’è l’odio, l’amor (qui ) vincit ,il dolore che che s’immola e riscatta nonchè l’invidia. Categorie apparentemente prelevate dal bagaglio del  senso comune, espressioni immediate, comprensibili  ma che poco hanno a che vedere  con la politica. Un’involuzione  buona solo a trascinare l’attenzione altrove
In tutto ciò si avrebbe la pretesa di avviare il dialogo per le riforme ovvero con scadenze più ravvicinate, discutere di processi brevi, separazione delle carriere, obbligatorietà dell’azione penale, responsabilità dei giudici e, naturalmente, di restrizioni da applicare a cortei, internet e quant’altro.
Nel ridisegnare i nuovi assetti – quelli post deprecabile aggressione – mi pare che , riapertura dei manicomi a parte, non manchi proprio nulla, mentre le pretese di dettare le condizioni ai negoziati aumentano di giorno in giorno, in una sorta di corsa a regole da applicare ad un gioco che non c’è.
A meno di considerare gioco l’ottenimento dell’immunità – siamo del resto allo sfinimento e qualcuno comincia a pensare che sia il minore dei mali – o alla lunga ,l’ipotesi presidenzialista. Ma lì le regole dovrebbero essere altre e l’atteggiamento meno ricattatorio. Soprattutto più votato a legiferare per il Paese e non per uno solo.
Continuano tragicamente a non esserci rospi da baciare, quantunque feriti e offesi, sembrano più vitali e principeschi che pria.

In croce

In croce

crocefisso Mathis Gothart Grunenwald

Quanto chiasso. Se in un’ aula scolastica gli orientamenti religiosi sono molti – o inesistenti – e il simbolo uno solo, quale potrà essere il responso di una Corte di Giustizia che si rispetti? Avallare la tesi della religione o della cultura prevalente, emarginando i diritti delle minoranze?

Impossibile che un organismo internazionale possa esprimersi in tal senso. Nemmeno qui da noi del resto potrebbe esistere legge che impone il crocefisso nelle scuole, tant’è  che per giustificarne la presenza, spesso si ricorre all’escamotage del simbolo culturale arcaico. Ma non funziona lo stesso, se la religione di stato è un istituto obsoleto ( oltre che abolito) figuriamoci la cultura.

La Corte si è pronunziata sul ricorso di una privata cittadina insoddisfatta – è un suo diritto –   delle sentenze emesse in Italia, deliberando sulla scorta di quanto disposto dalla Convenzione e dai Protocolli. Inutile far passare quei giudici per laicisti assatanati.

E comunque stiano tranquilli i fanatici dei simboli dell’appartenenza culturale, già pronti a dar battaglia su futuri presepi e recite scolastiche alla porporina. Risarcimento della ricorrente a parte, nulla può accadere, i crocefissi non saranno rimossi d’autorità.

Tuttavia, ogni occasione sembra buona per affermare una supremazia religioso- culturale che vista la temperie, pare semplicemente ridicola. La risoluzione dei problemi andrebbe affidata al buon senso degl’interessati –  insegnanti, famiglie, studenti –  senza avere la pretesa  del Dettato Universale e soprattutto senza conflitti, animosità e guerre sante. La vera laicità risiede nelle regole che, nel rispetto delle Leggi, una comunità può darsi.

Le scelte del cuore come le chiama Fo sul Manifesto di oggi, mal si adattano alla protervia. Converrebbe lasciar libere le classi di trovare ciascuna  la propria soluzione. Altrimenti si sa quanto siano puntigliosi i magistrati, leggono nei loro libri, poi traggono via via conclusioni che non possono non apparire tranchant. Non sempre ci azzeccano ma, direi, che non è davvero questo il caso.

Cattivi ( due )

Cattivi ( due )

ponte dei sospiri

I numeri parlano di condizioni umilianti per mancanza di spazi vitali  e degrado degli ambienti, ma nonostante l’ansia securitaria che tutto sembra dominare da qualche anno a questa parte, non si riesce a stabilire –  in un’idea di sicurezza meno becera e più funzionale del semplice ammassare  criminali veri e presunti nelle celle – un nesso tra dignità della condizione detentiva e possibilità riabilitative.

E se la sorte dei settantadue cittadini eritrei dispersi in mare non riesce a suscitare sentimenti di umana pietà, figuriamoci le proteste dei detenuti nelle carceri.

Nel migliore dei casi, l’Immaginario alimentato da rappresentazioni mediatiche compiacenti, lavora considerando disagi e malfunzionamenti come una sorta di pena accessoria da scontare e zitti. Nella peggiore,  affidare in via esclusiva la gestione di qualsivoglia problema di civile convivenza all’irrazionalità della repressione, è considerata l’ipotesi resolutiva per eccellenza.

Amministratori pavidi e politici privi di scrupoli nel manipolare e speculare sull’insicurezza sociale, hanno così buon gioco infilando, uno via l’altro, provvedimenti assurdi, buoni solo ad incrementare il flusso nelle carceri.

La Bossi Fini sull’immigrazione, La  Fini Giovannardi sugli stupefacenti e l’ ex Cirielli sulla recidiva – e non l’Indulto che ha registrato una bassa percentuale di rientro per delitti commessi dopo la liberazione – sono le leggi responsabili del sovraffollamento. A queste vanno aggiunte tutte le ordinanze  delle varie emergenze in città – lavavetri, mendicanti  etc – che se pur realizzano pochi giorni di permanenza in galera, in compenso assicurano un andirivieni a getto continuo.

Altro che invenzioni di nuovi reati. Se il governo non mette mano al Codice Penale assumendo il criterio universalmente riconosciuto che non tutti i crimini sono punibili con la detenzione, non basteranno i nuovi edifici – peraltro di là da venire – previsti dal mirabolante –  ancorchè privo di copertura finanziaria – Piano Carceri.

63.500 sono i detenuti, di cui 20.000 stranieri. Più di uno su due, sconta la misura cautelare, dunque oltre il 50% è in attesa di giudizio. La capienza – ma si parla in termini amministrativi, cioè di spazi espressi in metri quadri,  non certo di strutture dignitose –  è solo per 43.300 unità.

Siamo ampiamente fuori legge, se nulla accade, il Guardasigilli che pure l’ha escluso, presto dovrà ricorrere ad un nuovo provvedimento di clemenza. Anche questo fa parte del Costume della Casa. Mai più condoni, sanatorie, indulti, ma poi anche per mancanza di adeguata programmazione, queste misure si adottano egualmente.

E del resto se non si è in grado di garantire un giusto processo o condizioni di vita degne all’interno delle carceri, non c'è altra via d’uscita che liberare i detenuti. In uno Stato di Diritto non è ammesso ne’ operare fuori della Legge ne’ consegnare i cittadini al degrado e all’autolesionismo.

Nell’illustrazione il ponte che a Venezia congiungeva  le aule dei Tribunali  di Palazzo Ducale alle Prigioni Nuove, detto dei Sospiri

  

Cattivi ( uno)

Cattivi ( uno)

Era fatale che la cattiveria, criterio guida di misure orgogliosamente annunciate, tempo addietro, da Maroni, ispirasse  articolati  che ontologicamente con la Giustizia c'entrano come i cavoli a merenda, ma che, in compenso, sembrano studiati apposta per alimentare  un generale clima di vieto cinismo.

Ed è grazie a questa temperie che tutto diventa possibile. Dal simpatico giochetto rimbalza il clandestino – in un clic ! –  al negare contro ogni evidenza che di recente, nel Mediterraneo  settantatrè  esseri umani siano morti, in buona sostanza, per omissione di soccorso.

Al cospetto di una violazione così patente dei diritti umani, si sfiora il ridicolo degli eterni battibecchi con Malta o delle giustificazioni, millimetro alla mano, a base di competenze territoriali. Insensatezze, tanto più che il dovere di prestare soccorso in mare prescinde dal regime giuridico della zona in cui dovrebbe avvenire e può praticamente esercitarsi ovunque – acque internazionali, zone economiche esclusive o contigue, acque territoriali straniere – come pure recita il disattesissimo trattato di Ginevra. A proposito di Diritto che se svincolato dalla Giustizia, genera mostri.

Come definire del resto , la finta incredulità o l’interpretazione capziosa degli accordi internazionali, se non come pretesti per dire che tutto va bene invitando ciascuno a girare la testa dall’altra parte. E che dire della totale assenza di espressioni di cordoglio o di umana solidarietà. Un Ministro della Repubblica non è un supporter qualsiasi , ahinoi, ci rappresenta. Forse la Pietà non è inclusa nei sentimenti di cui il ministro intende farsi interprete. Nemmeno quella di circostanza.

 A dire il vero c’è anche chi, come il capogruppo Lega Bricolo, elogia Maroni e l'ottimo risultato degli accordi con Gheddafi. Con i morti in mare e col gommone che senz’ombra di dubbio,  ha preso il largo dalle coste libiche, ci vuole un bel temperamento a non ammettere che il trattato sia, di fatto, un colabrodo.

Del resto anche il Capo del Governo, il prossimo 30 agosto sarà  in Libia per celebrare con l’amico Muammar l’anniversario della firma del trattato di Bengasi e già che c’è, anche  il quarantennale di El Fatah, il colpo di stato ordito dal Colonnello, che cade appunto il primo di ottobre. Festeggiamenti solenni  con tanto di trasferta per parata acrobatica delle Frecce Tricolori.

L’epilogo è tutto qui, non so che cosa si aspettino vivi o morti, i profughi eritrei. Tra loro e un riconoscimento di diritti violati, non passano solo le solite strategie politiche  rassicuranti ma anche numerosi businnes italo libici : Alenia, Aermacchi, BNL, Augusta e, come ti sbagli, un  gasdotto dal nome suggestivo Greenstream. Chissene importa se il colonnello ogni tanto chiude un occhio sulla tratta degli esseri umani. Speriamo solo che alla fine del viaggio ai sopravvissuti non tocchi l’incriminazione per reato di clandestinità. Altro rischio, a meno di chiedere (e ottenere) asilo politico.

Nell’illustrazione una barca di clandestini abbandonata sulle coste calabre. La foto l’ha scattata lixia 78

 

Arpa d’or dei fatidici vati

Arpa d’or dei fatidici vati

tonale 2

Ci fu l’anno della canotta, quello di Roma ladrona, quello della tolleranza zero e doppio zero della Versione Gentilini, e  quello più classico delle invasioni barbariche con relativi presidi di militari in difesa di frontiere e  valichi. Poi vennero le ronde e l’esaltazione della razza padana – cani compresi – l’idiosincrasia per il velo e quella per le moschee.

A seguire, un po’ secessione, un po’ club Meditarranee delle collanine al posto dei quattrini, ci fu l’anno in cui l’immaginifico team leghista, si mise in testa di battere moneta, imponendo alle transazioni negli stand della festa padana, banconote – le leghe –  recanti l’effige di  Alberto da Giussano. Al cambio ufficiale il valore di ogni lega fu fissato a  mille lire. Una folclorica provocazione.

Salvo che, grazie alla prosopopea degli annunci e delle interviste,   giorni dopo, in qualche negozio di Brescia, la nuova moneta circolasse che era un piacere. Tutto ciò, con buona pace dei sussiegosi comunicati del  Poligrafico dello Stato, rivendicanti, a buon diritto, l'Esclusiva.

Nel corso del tempo , a Ponte di Legno, complice l’euforia del raduno fortemente identitario e le arditezze di una strategia mediatica  secondo la quale in prima pagina va solo chi la spara più grossa, se ne sono viste e sentite tali e tante  che il Va pensiero, in luogo dell’Inno di Mameli, può essere considerato robetta.

Carezze agli elettori le ha definite, con licenza poetica, devo ammettere, piuttosto calzante, Silvio Berlusconi. Voleva intendere messaggi rassicuranti ai proseliti. L ‘ABC della comunicazione politica, insomma.  

E infatti, tra rituali smentite e postumi aggiustamenti, ci viene spiegato che, per carità, l’Inno nazionale non è in questione e la faccenda del dialetto nelle scuole altro non cela se non l’intenzione di chiedere agl’insegnanti il rispetto delle tradizioni locali. Meglio mi sento.

 Che peccato però. Ciò significherebbe  la perdita  della selezione ministeriale per insegnanti di bresciano,  bustocco, lodigiano, canturino e chiavennasco,  nonchè quella  della  Nazionale di Calcio alle prese con i sopracuti del coro del Nabucco.

Sotto questo aspetto, ha poco senso polemizzare con Bossi o chi per lui. Un serio dibattito politico dovrebbe mettere a tema quanto di grettezza reazionaria è contenuto in Principi in cui  Tradizioni Locali, Radici e Identità, diventano corpi contundenti o palle al piede sulla via  della modernizzazione.

Poi chi li sente  i nostalgici del Poggio, del Campanile, dell’Uliveto, dell’Aia,  del Mare Sciabordante e di tutti i temi cari a chi preferisce  rimirarsi l’ombelico in eterno, piuttosto che guardare avanti, progettando il futuro.

L’esaltazione di ogni nostra mediocrità e provincialismo non può essere rassicurante per nessuno, al contrario, visti i tempi che corrono, dovrebbero allarmare  intenzioni smaccatamente  improntate al recupero di un passato non certo idilliaco

Riedizioni di carrozzoni d’antàn e gabbie salariali in primo luogo, in questo caso, altro che riscoperta del lombardo occidentale e monti sorgenti dall’acque, le carezze elargite ad alcuni, diventerebbero altrettanti calci negli stinchi per tutti gli altri.

Nell’ illustrazione il Tonale, alle spalle di Ponte di legno. Piste,accoglienza, impianti di risalita e cieli di lombardia . Tutto incantevole.