Morire per Tblisi ( e in mezzo scorre l’oleodotto)

Morire per Tblisi ( e in mezzo scorre l’oleodotto)


Sembrano nomi di granducati da operetta – la zona oltretutto sarebbe quella giusta – e invece  Abkhazia e Ossezia del sud, le due enclave filorusse in territorio georgiano, sono state parte di una tragedia più generale, le cui vittime ( morti, feriti, profughi ) utilizzate fin qui a scopi puramente propagandistici,  non hanno turbato troppo le nostre coscienze democratiche, sempre così ben disposte, quando si tratta  esecrare, condannare, manifestare contro l’aggressione di uno stato sovrano.  Si registra invece, ma c’era da aspettarselo, una grande rinascita di esponenti filorussi,  nuovi e vecchi che si danno un gran da fare a tessere l’elogio di Putin con dichiarazioni trasversalmente – da Lamberto Dini a Marco Rizzo –  rabbrividenti. Si va dal Putin che contrasta il processo di occidentalizzazione  e restituisce al paese le risorse economiche e strategiche che gli oligarchi di Eltsin gli avevano sottratto, alla teoria che vorrebbe gli USA accerchiatori della Russia con paesi  partner della Nato, fino alla speranza espressa in un comunicato di Fiamma Tricolore, di vittoria finale di Putin unico baluardo contro le interferenze statunitensi nella zona. Le pulsioni staliniste, si sa, sono dure a morire e, la Storia insegna, assumono contorni variegati, non stupisce dunque che qualcuno veda in Putin l’occasione per rispolverare vecchie glorie e che all’allegra brigata si unisca anche la Destra. Ma per tornare alle cose serie, il  conflitto, largamente annunciato – tant’è che sui due territori erano già operative le forze di peacekeaping composte da soldati russi, delle quali  il ministro degli esteri georgiano aveva, senza esito, chiesto la sostituzione con truppe di nazionalità miste – scoppia per le ragioni che ci vengono ripetute dai telegiornali : c’è un governo in Georgia ansioso di unirsi all’Europa e alla  Nato, quindi sostenuto con disinvoltura dagli Stati Uniti, ci sono i separatisti di Ossezia e Abkhazia che invece vorrebbero ricongiungersi alla madre Russia. Questioni politiche ed etniche, sicuramente sono in ballo ma poi si da anche il caso che in Georgia passi l’oleodotto che da Baku porta gas e petrolio alle nostre centrali e che l’intera vicenda si colori di ulteriori  significati. Naturalmente dalla conta delle responsabilità, il governo georgiano non risulta immacolato, ma qualunque siano le motivazioni, chi invade con i carri armati e con i bombardieri, uno stato – altro che reazioni sproporzionate come dice Bush -  un progetto imperiale sta di sicuro perseguendo , ma questo nessuno lo rimprovererà mai all’amico Putin. Se poi a tutto ciò, si aggiunge la possibilità di una sfida aperta agli Stati Uniti – con annesso monito al futuro presidente – più altri contestuali avvertimenti agli stati che, attratti dall’orbita occidentale, volessero seguire l’esempio georgiano, ecco che la guerra diventa un indispensabile stratagemma che soddisfa più di un’esigenza del Cremlino. Missione compiuta dunque, chiosa Medvedev subito dopo  l’intervento della Comunità Europea. Anche perchè di enclave russe strategicamente allocate ce n’è in Moldova come in Ucraina e la partita potrebbe continuare su altri tavoli. Gli atlantisti sono avvertiti. Del resto con il Kosovo abbiamo inaugurato l’era del Diritto Internazionale à la carte ovvero alla mercè del più forte. Così tra ricatti energetici, l’ombra della sovranità Serba annullata da istanze indipendentiste ratificate dalla comunità internazionale e la solita storiella della guerra umanitaria in difesa delle popolazoni oppresse, Putin – altro che zar – non lo ferma più nessuno. Tantomeno l’amico George Bush la cui politica subisce un’ ulteriore sconfitta, questa volta sul terreno della capacità di difendere gli alleati. Al momento, l’accordo formulato da Sarkozy è sufficiente per il cessate il fuoco ma non per costruire un processo di pace duraturo. La parola  passa ai negoziati, nella speranza che concezioni geopolitiche obsolete, chiuse entro logiche di schieramento, lascino il posto alla ridefinizione di un modus vivendi nello spazio post sovietico. Unico approccio coerente buono a sciogliere gli enigmi post imperiali. Unico modo per farsi seriamente carico del benessere di popolazioni incolpevoli. Ci mancherebbe solo di andare a morire per Tblisi o per Ossezia combattendo,  per di più,  una guerra retrodatata.

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