Le invasioni psichiatriche
La diffusione massiccia della psicoterapia può servire a smorzare le tensioni sociali,ad anestetizzare ,a ridurre al silenzio voci di ribellione,ridefinendo le questioni pubbliche come problemi privati dell’individuo”
Frank Furedi “Il nuovo conformismo”
Lo scorso anno ,all’interno di alcune trasmissioni televisive seguite seppur incostantemente, mi è capitato di osservare come nella maggior parte delle storie raccontate dai protagonisti e poste all’attenzione di esperti e pubblico,la maggior parte dei disagi,dall’impossibilità a venire fuori da matrimoni violenti,alla difficoltà di scegliere se proseguire o meno una gravidanza, al ritardare il distacco dalla famiglia da parte dei giovani,si sarebbero potuti risolvere tranquillamente attraverso l’acquisizione di un posto di lavoro ovvero dell’indipendenza economica.Eppure nessuno degli esperti in studio ha suggerito la via dell’ufficio di collocamento, piuttosto dopo attenta analisi dei fenomeni emotivi ,quella del supporto terapeutico al fine di superare l’impasse.Il costante ricorso alla terminologia psichiatrica applicata a fenomeni assolutamente comuni,pone il problema del rischio del diffondersi di un etica terapeutica secondo la quale se un bambino è vivace o turbolento viene facilmente etichettato come affetto “da deficit di attenzione con iperattività”,lo stesso accade per la donna che ha appena avuto un figlio quando la si mette in guardia dalla “depressione post partum”iscrivendo un fenomeno naturale come quello di avere un figlio in uno scenario al confine con la patologia e per gli studenti alla vigilia degli esami si definiscono “stressati” .Se nelle definizioni comuni la preoccupazione diventa “sindrome da ansia generalizzata”,la timidezza “ansia sociale” e la riservatezza “fobia sociale” qualcosa nel linguaggio, che apre la strada a nuovi comportamenti ,sta cambiando.Leggo in una ricerca che negli anni 70 che la parola “sindrome” non compariva sui giornali, ,che nel 1985 era in 90 articoli,nel 1993 in 1000 e nel 2003 in 8000 .Che dire poi della parola “autostima” sconosciuta negli anni 70 e assai diffusa oggi,dalla mancanza della quale si fanno dipendere, dagl’insuccessi scolastici alle demotivazioni professionali,alla devianza giovanile nei complessi percorsi dell’alcol e della droga e delle condotte suicidali.Infine c’è il trauma che non è più considerato come una giusta e fisiologica reazione emotiva ad un evento doloroso e sconcertante ma come il generatore di un progressivo disadattamento alla vita tale da condizionarne tutto il suo corso e quindi bisognoso di assistenza terapeutica.La psicologia che dilaga uscendo da confini propri, per invadere la quotidianità, crea in noi tutti un senso di vulnerabilità e quindi un bisogno di tuttela e di cura.Forse il definire patologiche, le più comuni esperienze, risponde ad un ‘esigenza di omologazione non solo del modo di pensare ma soprattutto nel modo di sentire.E qui non si fa fatica a scorgere dietro l’imperativo terapeutico che massicciamente va diffondendosi, l’intento di promuovere non tanto l’autorealizzazione quanto l’autolimitazione degli individui, che una volta persuasi di avere un sè fragile e debole non solo ricorrono a pratiche terapeutiche, ma richiedono la gestiene della loro esistenza ad altri.Quanto di più desiderabile per il potere.Potenziali implicazioni autoritarie s’intravedono nella diffusione generalizzata della terapeutica che è la versione secolarizzata dell'”etica della salvezza” con cui le religioni hanno sempre tenuto gli uomini sotto tutela.