L’esangue spettatore

L’esangue spettatore

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Finalmente si è potuta evadere anche la pratica  Sangue dei vinti, il film – quantunque adeguatamente  finanziato e di futura programmazione RAI – più perseguitato della storia. Appurando così, l’esausto  spettatore che non già per le incredibili anticonformistiche rivelazioni sulla resistenza o per il punto di vista repubblichino, il lavoro non convinse selezionatori e direzioni artistiche, ma perchè se un ‘opera è fatta per essere mostrata a puntate in televisione, ha ritmi, linguaggi, stili che al cinema mal si adattano. E questo accade  qualunque  sia il governo del Paese, della Città, della Mostra o del Festival. Nemmeno un’intellighenzia meno persecutoria, ideologizzante e (filo)partigiana, potrebbe modificare queste elementari regole ortografiche. Dunque, quando Il sangue dei vinti sarà in televisione, con i suoi cinquanta minuti e passa in più rispetto alla versione per le sale, sarà forse possibile che gli aspetti didascalici, melensi, gli schematismi, i simbolismi, le sbavature, sembrino meno accentuati (e stridenti). Bello il Dibbbattito, ma che si tratti di film o di governativi decreti, sarebbe bene non perdere mai di vista il merito, il contendere, invece di  cercare preventivo rifugio in argomentazioni pretestuose che allontanano, piuttosto che incaricarsene, dalla qualità di un film o dalla efficacia di un provvedimento. Quand’è così viene sempre il dubbio che dietro alla cortina fumogena ci sia ben  poco. E difficilmente ci si sbaglia.

History repeat itself …

History repeat itself …

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Film dal languente Festival di Roma – dove gli unici sussulti sono dati dalle visite dei contestatori – offerto  in patinata confezione, come  da budget milionario,  e con  interpreti tra i più applauditi, in Germania e non solo –  Martine Gedek e Bruno Ganz, tanto per dire  – Sceneggiatori, Bernd Eichinger e lo stesso regista Uli Edel, tedesco ma residente a Los Angeles, autore di Christiane F e Last exit in Brooklyn , nonchè di miniserie televisive di successo. Falsariga, quella di un libro Der Baader Meinhof Komplex  di Stefan Austen, collaboratore, insieme alla stessa Ulriche Meinhoff della rivista politica  Konkret, storico e giornalista di Der Spiegel,  testo molto celebrato per precisione ed attendibilità.

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Il proposito  è quello di raccontare la vicenda della Rote Armee Fraktion, la formazione guidata da Andreas Baader e Ulriche Meinhof, attraverso il decennio che va dal 1967 al 1977.  Cioè dalla nascita del movimento studentesco, fino al rapimento e all’esecuzione di Hans Martin Schleyer. 

 Preoccupazione dichiarata degli sceneggiatori, quella  di rendere comprensibile il film a tutti, evitando nel contempo  possibili coinvolgimenti emotivi e pericolosi transfert. Di qui una curiosa e funambolica operazione di rimaneggiamento, da una parte la modifica dei linguaggi per adattarli a quelli dei giorni nostri, dall’altra, la scoloritura dei personaggi, dei quali s’ignora la psicologia, preferendo concentrarsi su versanti e atteggiamenti di assoluta marginalità.

La Baader Meinhoff così  ridotta diventa poco più  di una banda di ingenui, farneticanti sognatori, cool e spaventosi ad un tempo, passati dai movimenti antimperialisti tedeschi alla lotta armata, non si capisce bene attraverso quali considerazioni. Percorso classico nella rappresentazione del tempo in cui le  battaglie, secondo lo stereotipo narrativo, nascevano sacrosante e votate alla costruzione di una società migliore,  per poi degenerare attraverso il ricorso alla violenza, in catene di orrendi delitti, quasi fosse fisiologica ed ineluttabile quell’evoluzione.

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Quando invece è risultato chiaro, che scelte radicali, consapevolmente responsabili  di atrocità,  non possono non maturare in  contesti che la pura enunciazione dei fatti non è sufficiente a definire. E sono proprio questi contesti che, nonostante la puntualità del susseguirsi cronologico degli avvenimenti, mancano al racconto. Vuoi perchè sfigurati per renderli accessibili, vuoi per evidente omissione, nella dichiarata pretesa di rincorrere un’ impossibile obiettività.

Dunque la  premessa degli autori di aver voluto realizzare un’opera dei fatti e non delle opinioni, rivela un fondo di ambiguità. Più onesto sarebbe stato enunciare una propria esplicita visione delle cose, esponendola così alle critiche, alla discussione, ovvero lasciare che interrogativi si ponessero : su come si dipanarono i rapporti con Fatah, sulla morte per presunto suicidio di Baader e Ensslin nel carcere di Stammheim, su quella di Holger Meins, e della stessa  Ulriche Meinhoff.

Domande pertinenti, che però  condurrebbero dirette all’analisi della società tedesca di quel tempo, ma appurando, ovvero smentendo, fatti quali  la durissima  repressione, la permanenza negli apparati statali di uomini del’ex regime di Hitler e le nemmeno troppo presunte, infiltrazioni  neo naziste in RAF, finanziatrici peraltro di addestramenti militari in Giordania nei campi dei feddayn. Tanto più che il film mostra Ulriche Meinhof in quei campi e  che tali personaggi sono ancora vivi e vegeti e qualcuno finanche figura tra gli esponenti di spicco del partito neonazista svizzero.

Gli autori hanno preferito sfornare un prodotto di sicuro successo, in cui non mancano sensazioni forti date da scene ad alto tasso adrenalinico di scontri e  sparatorie, con qualche ricostruzione di fatti, come l’attentato a Rudi Dutschke e l’uccisione dello studente  Benno Ohnesorg durante le cariche avvenute in occasione della visita dello scià Reza Pahlevi a Berlino.

Ma se ci  si allontana  dal porsi questioni,  buoni, cattivi, inseguiti e inseguitori vittime e carnefici – tutto diventa chiaro ! – sono immediatamente riconoscibili . Solo così alla fine il Bene può trionfare. Epurata da ogni elemento controverso e priva di dramma, l’operazione può risultare più pericolosa di un’ insensata apologia del terrorismo. Siamo solo a qualche passo dalla fiction, un prodotto  fruibile comodamente da casa, chiacchierando con gli amici. Non a caso in Germania la RAF, mitizzata e resa paradossalmente inoffensiva, dalle troppe rimozioni, è tornata in  auge, ispira linee di moda e cosmetici per giovani rivoluzionari , perchè come avverte in esergo il sito più “cool" 

 

 

History repeat itself  first a tragedy then as fashion

 

La banda Baader Meinhof è un film di Uli Edel. Con Martina Gedeck, Moritz Bleibtreu, Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Johanna Wokalek, Nadja Uhl, Jan Josef Liefers, Stipe Erceg, Hannah Herzsprung, Heino Ferch. Genere Drammatico, colore 149 minuti. – Produzione Germania 2008. – Distribuzione Bim

 

Ara Massima d’Ercole

Ara Massima d’Ercole

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Se è vero che l’efficacia di un’ iniziativa  politica si misura anche dalle reazioni dell’avversario, questa manifestazione  più che un successo, è stata un trionfo con apoteosi Walteriana a coronamento dell’affresco.

I numeri a questo punto ce li conferma la stizza del PDL, del resto abbiamo capito che basta poco a far innervosire il capo del governo : Cinque o sei persone a casa di Veltroni per riannodare i fili della naufragata trattativa Alitalia, qualche migliaio di studenti, genitori e insegnanti a catalizzare l’attenzione oltre i sondaggi, una manifestazione di popolo serenamente tosta. E il cerone scolora insieme allo smagliante ed eterno sorriso.

Gente che lotta

Gente che lotta

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Visti da vicino,  in questi giorni in cui è impossibile andare in giro senza  imbattersi  in cortei, lezioni in piazza, occupazioni e sit in, il sospetto di essere di fronte ad una solida determinazione, ha trovato ieri sera a Città della Musica, immediata conferma. E sia ben chiaro : se si è evitato il peggio, lo si deve a loro. Quelli che l’informazione sciatta, pretende per forza di imbrigliare in una qualche definizione e che hanno dimostrato una preziosa qualità politico-strategica : nervi saldi.

Sarà anche una protesta fondata su bisogni elementari e come tale, aliena dal volare alto delle battaglie d’antàn o come impropriamente viene scritto non politicizzata, ma sono i partiti con le loro strutture ossificate e la loro conduzione, a non essere apprezzati. Non la Politica, che dimostrano di conoscere e di maneggiare, nella ricerca ostinata di unità, di collegamenti con le altre componenti scolastiche, con altri movimenti che in città si battono per il diritto all'istruzione o per un tempo scuola dei contenuti o per un ennesimo spazio di libertà minacciato dal Comune. La ricerca dell’obiettivo che unifica, piuttosto che la tendenza  sgretolante dei mille distinguo, è un tratto di maturità politica, degno di ogni riguardo.

Un’operazione di vero contrasto alla determinazione di questo governo di istigare i cittadini per porli gli uni contro gli altri.

Non ho sentito in questi giorni un solo slogan, ne’ visto un solo atteggiamento declinare verso il populismo, l’invidia di classe – e ne avrebbero ben donde – la demagogia, la qualunquistica ricerca della visibilità a tutti i costi. : nessuna delle pulsioni che ha animato i movimenti di piazza in questi ultimi tempi, è presente. Sono persino capaci di andare in televisione, evitando accuratamente le trappole dialettiche e il paternalismo di interlocutori che vorrebbero, con poca spesa, incutere rispetto. Ovvero di esporre innanzi al plotone di celerini schierato, lo striscione su cui è scritto che quella battaglia riguarda anche loro.

E tuttavia non è per mitezza che si sono, almeno fin qui, evitati, gli errori del passato. Casomai per dignità, per spirito di resistenza di fronte a una Minaccia che oramai investe tutti i settori della nostra vita e che rischia di spappolare ogni residua area del “pubblico".

Questo movimento merita il rispetto che si deve ad una voce autenticamente dissonante nel panorama piatto e consenziente della vita politica. Non trattiamoli come l’ultimo pezzo di folklore rimasto in città, non raccontiamone le magliette, non confrontiamo le loro abitudini di lotta con i movimenti del passato. Non facciamo torto alla loro intelligenza. Soprattutto non trattiamoli da bravi ragazzi. Sono persone che lottano. E che sarà difficile mettere a tacere

I conti con il passato

I conti con il passato

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Mi pare che Cossiga, nella  lucidissima intervista rilasciata ieri a Quotidiano Nazionale,  abbia chiarito a sufficienza quali  intenzioni e strategie sottendesse la gestione dell’ordine pubblico, all’epoca della propria missione di responsabile degl’Interni. Ragione di più per continuare ad interrogarsi e a discutere su quel passato, senza censure, o rimozioni magari  istigate da ricatti che hanno a che fare più con il presente dibattito politico,  che con la ricerca della  verità.

L’indagine è  tanto più necessaria quanto più coni d’ombra ancora offuscano lo scenario e ne inibiscono la piena comprensione. Al di là di ipotesi fantasiose o complottiste, va precisato che di quel periodo noi conosciamo – l’ha ribadito mille volte Maria Fida Moro, –  solo le verità processuali, niente di più.

Preoccupante dovrebbe essere dunque,  la posizione del ministro della cultura Bondi che – senza avere visto il film – ha dichiarato, l’estate scorsa, le sue intenzioni di rifiutare il contributo pubblico a documentari o fiction che indagando sul tema del terrorismo ne coinvolgano i veri protagonisti. Ho dato precise disposizioni perché in futuro lo Stato non finanzi più prodotti filobrigatisti . Altrettanto inspiegabili sono le timidezze e i pudori dei responsabili del Festival del Cinema di cui il film " Il sol dell’avvenire " è ospite nella sezione L’altro Cinema Extra-CineClub/Il Cinema del Reale , ad ammetterne la presenza nel Programma.

Soprattutto perchè, a scanso di equivoci,  nessuna esaltazione della violenza, ne’ toni trionfalistici, ne’ allusivi,  ne’ mitizzazioni rievocative vi sono contenute. L’ambiguità non ha cittadinanza in  questo lavoro che s’incarica di ricostruire con attenzione, il clima di quegli anni, partenza necessaria per ogni indagine storica che si rispetti.

E nel clima di quegli anni, insieme agli efferati delitti compiuti  dai terroristi,  non mancavano degenerazioni istituzionali, stragi immotivate, momenti di inaudita repressione. Raccontare questo, significa giustificare il terrorismo? Significa considerare  l’intero fenomeno come una reazione alla violenza dello Stato? Ma nemmeno per idea.

Otto militanti delle lotte degli anni tra il 60 e il 70 – cattolici, socialisti, anarchici, comunisti – s’incontrano, trascorsi quarant’anni, nell’ Appartamento, cioè nel luogo in cui nel 1969, usciti dal Partito Comunista hanno condiviso la fase di riflessione che darà vita  a scelte politiche differenti. Tra loro ci sono  anche Alberto Franceschini, Tonino Loris Paroli e Roberto Ognibene, ex brigatisti che oggi hanno pagato il loro debito con la Giustizia, scontando interamente la pena. Lo stile rigorosamente documentaristico, svolge qui in pieno,  il suo compito, enunciando i fatti senza aderire ad alcuna tesi, senza ammiccare allo spettatore, orientandolo su questa o quella interpretazione, ma ponendo problemi, aprendo senza indulgenze di sorta, uno spazio a questioni irrisolte.

 Si va a vedere questo film ben sapendo che  se ne ricaveranno sensazioni che sfiorano il fastidio . Come quando nel corso della proiezione si fa strada l’interrogativo se siano o meno  le BR, un ennesimo ritratto dell’album di famiglia della sinistra italiana, non nell’accezione sciocca e riduttiva dei compagni che sbagliano ma come esito di una cultura e di una tradizione, sebbene in forma degenerativa. Ma questi fastidi sono neccessari : fare i conti con il passato, è in primo luogo un passaggio obbligato nella costruzione di un’identità. Sfuggire non servirebbe.

Liberamente tratto dal libro di Giovanni Fasanella e Alberto Franceschini Che cosa sono le Br, il  Sole dell’Avvenire è un documentario dello stesso Fasanella e  Gianfranco  Pannone.