Michele chi

Michele chi

Si potrebbe anche dire ” E chissene, basterà cambiare canale per ritrovare Annozero o quel che nel frattempo sarà diventato, su altra rete”. E se non fosse che le cause perse, i risarcimenti, i cospicui incentivi all’esodo, sono voci di un conto economico  che ci riguarda da vicino, compiacersi del fatto che, tolto di mezzo il programma, la classe politica potrebbe smettere di occuparsi di intrattenimento per dedicarsi ai problemi che è chiamata a dirimere.


Ma prima ancora che telespettatori dovremmo essere cittadini – dunque, almeno si spera, contribuenti  –  e, a parte il tentativo, sempre più difficile, di vivere questo status privi di scissioni, il nostro cotè civico dovrebbe ribellarsi all’idea che un’azienda di Stato, tra le più importanti, lasci nelle mani della concorrenza  una risorsa preziosa.



Invece i più soddisfatti sono proprio quelli che dovrebbero tirare alla buona riuscita dell’Impresa:

E così, dopo aver perso cause che si sarebbero potute benissimo evitare, mal tollerando sentenze e  reintegri che comunque hanno continuato a garantire ascolti e  risultati economici senza, per questo, scendere a patti con il livello qualitativo, bravi direttori e funzionari infliggono alla RAI il costo più rilevante rappresentato dal mancato introito. Come sarà sostituito Michele Santoro, non è dato sapere, di sicuro c’è  che non sarà facile riempire quel vuoto con analoga professionalità  e con gli stessi risultati.

Del resto non è questa l’Azienda che acquista i diritti di film che poi tiene nei cassetti ad ammuffire?


Così è la gestione della cosa pubblica come la conosciamo noi.Vale per RAI come per tante altre aziende egualmente pubbliche, l’affaire Michele Santoro è solo l’esempio più eclatante di come, in altre situazioni, la fedeltà alla causa del Partito di Governo, ivi compresi i numerosi interessi del medesimo, il basso profilo e l’acquiescenza di pubblici funzionari e managers  valgano più della professionalità, del merito e addirittura del profitto. Poi ci domandiamo il perché dei conti in rosso o di produzioni televisive che non vendono un fotogramma nemmeno nelle zone più depresse del pianeta.


Si potrebbe concludere invitando i cittadini a spedire a casa incompetenti e malversatori, ma questo è uno di quei casi che non si risolve purtroppo con un semplice cambio di vertici.E per il necessario cambio di cultura sarà meglio aspettare, se avremo abbastanza vita, qualche decennio.



Todo cambia (meno che le avanguardie e i profeti di sventura)

Todo cambia (meno che le avanguardie e i profeti di sventura)


A tutela del prosieguo,  ci vorrebbero scarriolate di ammennicoli scaramantici e le bicorna, quindi dita abituate a destreggiarsi con le ottave in faticosissimi esercizi. Meglio fermarsi qui, al corno che assolse l’impegno e al legittimo entusiasmo delle piazze, magari da mettere a profitto in vista di scadenze future. Siamo ancora al punto in cui tutto può succedere ma una risposta netta ai referendum di metà giugno, segnerebbe un’ ulteriore tappa verso il tanto sventolato cambio di passo.



L’entusiasmo, però, che bella cosa. Ha vita propria, non necessita di  sconfitti da umiliare – ché in tal caso si chiamerebbe tifo –  e dura poco, quindi non ha tempo di degenerare nello Stucchevole. Ha un solo punto critico : in quanto sentimento lieto che soprattutto vive di manifestazioni esteriori, attira come una carta moschicida quelli che volgarmente vengono definiti guastafeste e scientificamente nevrotici distruttivi.



Insomma, non hanno fatto a tempo i nuovi eletti ad alzare le braccia in segno di vittoria  che, muniti di elenchi di nefandezze in massima parte ideologiche ma anche curricolari, subito sono arrivati quelli del tanto non cambia niente (che invece non è affatto detto)



Todo cambia, meno che i guastafeste i quali però dovrebbero andare dagli elettori, particolarmente quelli di città afflitte da cronico malgoverno, a raccontare che siccome il neoeletto XYZ non ha esperienza amministrativa o carisma o pedigree maturati in specchiate vite precedenti,  sarebbe il caso di moderarare gli eccessi, ovvero  di spegnere il filo di speranza che con queste elezioni s’è attivato.



L’elezione diretta del primo cittadino fu inaugurata, nella mia città, da un sindaco lontano anni luce dalla cultura delle forze politiche che lo avevano promosso e che lo sostennero, non senza problemi, fino alla fine dei mandati. Non aveva la levatura di Argan né lo slancio,la passione  e la competenza di Petroselli,i sindaci più amati. La variegatura di quelle forze però era accomunata  da un’idea di città (e di cittadinanza) e la determinazione a cancellare i guasti di anni di malgoverno della peggiore Democrazia Cristiana esistente.Cambiando gli assetti, cambiò in meglio la nostra vita. Un buon sindaco può. Assai più di un buon governo centrale.


E ora che insieme a questa ventata di vivificanti novità, ci dicono essere finite anche parecchie ere (anni ottanta, regimi, stili comunicativi o chessò) se fosse possibile archiviare anche le potenti forbici dei profeti di sventura, non sarebbe male. La partita è ancora tutta da giocare. Nelle more : lasciateci essere felici.

Direttamente da un segreto cascione…a tutela dello spoglio.

Direttamente da un segreto cascione…a tutela dello spoglio.

De Magistris non corrisponde alla mia storia e non è il mio ideale di uomo politico. Ma…potrebbe essere un buon sindaco e rappresentare una soluzione all’impasse napoletana.

Proviamo a tutelare lo spoglio con un corno regolamentare ( mi è stato regalato, è rosso, parla  e la sua pubblicazione è programmata per le 15  ). E con questa, le abbiamo provate proprio tutte.

Buona sorte (per ricominciare)

Buona sorte (per ricominciare)


Terminata la campagna elettorale più becera e inutilmente aggressiva – ci sono stati momenti al cospetto dei quali  la Propaganda Fide  con  la minacciata riconversione delle  Sacre Fontane,  è sembrata un miracolo di raffinata sottigliezza  – degli ultimi decenni, non resta che augurare la buona sorte ai candidati del centro sinistra e agli elettori di quelle città che nel caso disgraziato di riuscita dell’avversario, rischiano di continuare ad avere a che fare con l’Indifferenziata per molto altro tempo ancora.



Vale per Napoli, ma soprattutto per Milano dove magari si separano i rifiuti un po’ di più, ma la cultura espressa dalla classe dirigente – in uscita, si spera – ha molto a che vedere con antiche discariche mentali nelle quali resistono, galleggiando, rifiuti tossici ad alto rischio : fobie, separatismi e intolleranza.



Pare impossibile che il governo nelle metropoli del futuro possa essere fondato su sentimenti così antistorici e nell’ignoranza di quel che succede oltre i confini del piccolo mondo. Un sindaco, in tal caso, non varrebbe un altro : Expo, appalti, termovalorizzatori, municipalizzate, in teoria, chiunque può metter mano con successo a partite che richiedono onestà, pulizia e  competenza. Ma così privi del senso dell’altro ovvero senza la minima ombra di rispetto per le persone, non si va lontano. E questa carenza i candidati della Destra hanno mostrato puntualmente, in ogni espressione, anche la più piccola, della brutta campagna elettorale appena terminata.



Poi ci si può divertire quanto si  vuole – ridicoli, reazionari, ignoranti ed eternamente di quell’ en beautè fondato sulla maglietta in tinta con l’orecchino che non se ne può più – e lo abbiamo fatto un po’ per esorcismo e un po’ per non morir, con le aggettivazioni, le spiritosaggini, le battute e il resto, ma non si può negare che il quadro che si è delineato nell’arco di questi mesi, sia tragico.


De Magistris a Napoli, Pisapia a Milano. Magari non basta a segnare l’inizio di una nuova era ma di sicuro servirebbe a ricominciare con animo diverso.


Nell’illustrazione la sala di preghiera della Moschea di Roma ai Monti Parioli  costruita con annesso centro di cultura islamico, biblioteca e minareto (senza altoparlanti) su di un terreno donato dai cittadini romani – all’epoca guidati da una giunta non particolarmente illuminata ma rispettosa della libertà di culto –  e dove, ancor oggi i rappresentanti della municipalità, sono di casa.



Passa la bellezza (che non è tutto)

Passa la bellezza (che non è tutto)

Von Triers  –  più promo che provo – diventò  persona non grata per il cumulo di sciocchezze rilasciate alla conferenza stampa di Melancholia. Tuttavia  Cannes che, per dirla con Lelouch, è festival delle opere e non dei registi, ha mantenuto il film  in gara e così il premio della migliore attrice se l’è potuto aggiudicare Kirsten Dunst, brava e credibile nel ruolo della sposa in bianco, isterica q.b. e maniaco depressiva come non mai (unica  possibile rivale in materia di palme e nevrosi  avrebbe potuto essere  Tilda Swinton, mamma del giovane assassino in We need to talk about Kevin).


A seguire,in parziale ossequio all’esprit du temps, ovvero alle tematiche care al Concorso –  pedofilia, prostituzione, infanzia abbandonata, mamme cattive e padri padroni – seppur con toni meno disperanti, la palma del miglior film se l’è portata a casa  il demiurgico ed imprendibile ( c’è, non c’è, è nascosto tra il pubblico) Terrence Malick con il suo The Tree of life,film atteso già l’anno scorso a Cannes – e su cui sperava anche Venezia – infine giunto sulla Côte , tagliuzzato e rimaneggiato cento volte da un esercito di montatori.(ne ha fatto,le spese Sean Penn che s’è visto ridurre la parte)


Così nel momento in cui i criteri di attribuzione dei premi sfuggono tanto vistosamente, un minimo di  monday morning  quarterbaking, diventa d’obbligo.


La bellezza formale – elemento che con differenti esiti riguarda anche Bonello con l’ignorato Apollonide e i Dardenne premiati con le Gamin au vélo –  ovvero l’ossessione estetizzante sembrerebbe aver dominato le scelte. Come metro sarebbe ineccepibile, ma allora Von Triers – nazi o non nazi – avrebbe meritato la Palma.


Quanto al miglior attore, cosa avrà mai avuto  lo strabuzzante Jean Dujardin protagonista di The Artist più di Piccoli di Penn o di Brad Pitt?


Tutto farebbe pensare ad un gruppo di giurati in disaccordo e ad una sorta di mediazione al ribasso.Peccato perché l’edizione 64 sarà ricordata per la presenza, in gran numero, di bei film tra Concorso e sezioni minori  (Le nevi del Kilimangiaro di Guédiguian,  Le Havre di Aki Kaurismaki, Pater di Alain Cavalier, Hara-kiri di Takakashi Miike)



Da ultimo nessun riconoscimento  per Moretti –  vendite all’estero, a parte – Rohrwacher  e Sorrentino, autori dei film più originali. E’ andata dunque come sempre o quasi :  con la solita palma alla carriera, tardiva quanto risarcitoria. E’ toccata quest’anno a Bernardo Bertolucci che l’ha girata agl’italiani resistenti ( seppur  esausti).