Clooney believe

Clooney believe

Passa George finalmentesolo Clooney  e tutto è dimenticato : la pre-inaugurazione – che non s’è capita –  e finanche l’infiorata di amianto impacchettato e  nascosto dietro  quinte di cartone, a pochi metri dalla passerella.


Symbole aussi d’une Italie berlusconienne à la dérive...  chiosa le Monde che aggiorna i lettori con gran precisione    –  prendete il numero e mettetevi in fila, carini, che tra symbole e altri disastri  c’è un vasto assortimento –  e particolari di costi, peripezie, cricche e malgoverno  a spiegare come del Palazzo del Cinema che doveva essere pronto per il centocinquantesimo compleanno della Nazione, non si veda manco l’ombra.


E meno male che proprio nel momento in cui sembra impossibile salvare la faccia, sempre ci soccorre  lo stile pezza a colore, genere per il quale non siamo secondi a nessuno. E la dichiarazione ( di Baratta ) Più che di monumenti abbiamo bisogno di sale pare fatta apposta a confortare – o distrarre da –  qualsiasi obiezione (vagli a dire che trasparenza e  buon governo  ci darebbero solo e semplicemente un  Palazzo del Cinema. Quello serviva. Mica la luna ).


Così anche Le Monde, il giorno dopo, può aggiustare di poco  il tiro : La Mostra a-t-elle parié cette année sur le glamour pour gagner en considération? Coincé entre Cannes, star des stars, et Berlin la nordique, aiguillonné par le jeune Toronto, le festival de Venise lutte pour rester un “moment stratégique” du 7e art. ( si, vabbè)


E dunque consoliamoci col bel restauro della Sala Grande,  in stile Volpi di Misurata  – il passato.. il futuro, oddio che strazio – faggio e velluto di lino marron. E naturalmente con Clooney .


Che qui – produttore, sceneggiatore, regista, interprete, oramai gli manca solo di fare il candidato –  presenta un lavoro ben scritto,  non troppo cliché –  un pregio, tenuto conto che con il tema del potere che trasforma ideali e aspirazioni in brutale cinismo, il cinema americano ha prodotto qualche capolavoro  ma anche molti luoghi comuni  –  e interpretato in maniera convincente dall’intero cast. La trama piuttosto densa, non è attraversata da profonde considerazioni né da particolari messaggi, scelta lodevole e vantaggiosa per la visione e  lo spettatore che, come pure è sostenuto da regista e interpreti variamente torturati dalle consuete domande,  sa benissimo tirare da sé le conclusioni .


Il racconto in compenso è realistico,  con numerosi richiami a quanto effettivamente accade o è di recente accaduto.  Clooney del resto non è Eastwood – come molti già gli predicono – né Ritchie  né altri,  è un fenomeno a sé, come pure  particolari sono  il momento storico e i guai in cui si dibatte Obama. In questo contesto, il coraggio di raccontare le cose come stanno senza retorica ed equilibrismi non è affare di poco conto. Esce a gennaio.

Le idi di marzo (The Ides of March) è un film drammatico diretto da George Clooney e interpretato da George Clooney, Ryan Gosling, Marisa Tomei, Evan Rachel Wood, Paul Giamatti, Philip Seymour Hoffman, Jeffrey Wright, Max Minghella, Lauren Mae Shafer, Danny Mooney.
prodotto nel 2011 in USA e distribuito in Italia da 01 Distribution
Come on Irene

Come on Irene

Poiché quanto a  retorica della catastrofe , Hollywood aveva già mostrato il possibile –  non escluse navi russe alla rada della New York Public Library,  lato Quarantaduesima strada, statue della libertà  a zonzo  per la Quinta   o scenari di nubi dense a minacciare simboli e monumenti, –  molti notiziari  hanno ritenuto dover precisare che le immagini trasmesse non provenivano dagli Studios. Non si trattava di un film, insomma.



Poi,  immancabile,  quantunque –  che peccato –  senza avvertenze sovrimpresse,  è arrivata un’altra rappresentazione  classica  dell’ Attesa del Peggio, quella con il jogging in the rain, la  partitella  a hockey o calcetto  in Times Square e i surfisti  di Coney Island in significativa  – quanto vana – attesa dell’Onda Perfetta .

Niente di paragonabile, beninteso,  alla  poliziotta di colore, invariabilmente sovrappeso che sullo sfondo  dell’Hudson in piena, si definisce sopravvissuta all’11 settembre, pertanto non più disponibile ad impressionarsi. Figuriamoci per  un po’ d’acqua.


Se non ci fosse del vero (e del buono) in questo  modo  un po’ guascone e molto anglosassone di sfidare le avversità negando al nemico di turno qualunque chanche, tantomeno quella di modificare le abitudini più insignificanti, dopo l’indigestione di immagini e filmati, si potrebbe  concludere con un : aridatece the Green Berets.I soliti americani.


Invece più passa il tempo e più quello scrivere con la bomboletta Come on Irene sulle assi  inchiodate alle finestre, mi sembra l’approccio più logico ad affrontare il disastro. Ogni paragone con l’eterna lamentela, lo straccio delle vesti e l’immobilismo in altri luoghi della terra, è superfluo.

( foto Reuters )


Per ora

Per ora

Dopo essersi  meticolosamente adoperati  a distruggere qualunque barlume residuo di solidale senso della collettività o coesione o quel che è, catalogando e poi ponendo gli uni contro gli altri  : disoccupati e garantiti, immigrati e autoctoni, nord e sud, moralisti e libertini e finanche belli e brutti, adesso la paura numero uno è rappresentata dalla pioggia di monetine.


Ovvero che il combinato disposto di risentimento e spirito di vendetta che può emanare solo  da un paese totalmente  immerso nel disagio sociale e in più  con prospettive minime di venirne a capo, gli si ritorca contro .


Di qui i sobbalzi della Lega e i risultati inattesi di votazioni precedute da straordinari interventi su garantismo e misura cautelare o  libertà e giustizialismo  (senza tralasciare, hai visto mai,  l’immarcescibile fumus persecutionis, in omaggio al latinorum o il  giacobinismo del libro di Storia letto male)


Il che,  dopo aver riempito, grazie ad una straordinaria – quella sì fase di totale inazione, le carceri di detenuti in attesa di giudizio,  appare più insultante di uno sberleffo e meno utile di un esercizio di stile.


Il silenzio che ha fatto da contrappunto alla lettura dei risultati della votazione alla Camera,  evoca lo Sgomento . Questa classe politica non ce la farà mai –  dai Mercati alla sora Lalla – a risultare credibile, né ad emendare se stessa, né a produrre altro che atti mirati alla propria conservazione o salvezza. Non è ormai più  il Titanic, scena della collisione  e seguenti disperati assalti alla scialuppa, siamo ormai al fischietto e al remo della ricerca dei sopravvissuti.


Almeno per ora.E con tanti saluti a chi, in tutto ciò, si ostina ad elencare arcinote  gratuità e privilegi  degl’ inquilini di Palazzo,invocando la sensibilità delle sforbiciate alla manicure o ai viaggi con accumulo di punti.Davvero la fine si allontana.

Götterdämmerung (dall’esito incerto)

Götterdämmerung (dall’esito incerto)

Parteciperei volentieri ad una Giornata dell’Insofferenza,  sentimento meno blasonato dell’Indignazione ma diffuso e trasversale come i  SI referendari e i No  a fatiscenti gestioni amministrative di qualche settimana fa. Vale per la protervia (e le liste di nozze) di certi ministri, per le agendine di Pontida con tanto di ultimatum,  scadenzario e conto della serva, ma vale anche per i conduttori in tuta da (altrui) lavoro, i sindaci che bevono a garganella acqua – divenuta pubblica – da fontane zampillanti,  i governatori con l’eloquio evocativo pronta cassa e le Divine che si fanno prendere le impronte digitali per solidarietà con i poveri cristi.


Il termine populismo – più due ministeri qua, meno qualche missione ONU o NATO là, diminuisci i parlamentari e rottama le auto di servizio, istituisci il senato federale e taglia le tasse e così via delirando –  oramai non basta più a definire l’air du temps, quantomeno non rende al meglio le componenti di burinaggine,  sciatteria  e inutilità ad affrontare anche la più piccola  contingenza di certe ricette buttate lì come l’osso al cane.

Beati i tedeschi che con i sostantivi composti riescono a stipare  le parole di concetti. In questo caso ci sarebbero anche imbroglio e falsificazione da aggiungere, ma con la lingua italiana si può far poco, le perifrasi sono indispensabili.

Dunque i colpi di coda, la classe dirigente sul far del declino, se li gioca in chiave di boutade e incartapecorite proposte – sempre quelle – incurante dell’Indignazione e della ribellione civica che hanno animato le consultazioni ultime scorse. Tanto poi tutto finisce nell’imbuto del dibattito parlamentare con fiducia accordata, grazie ai responsabili, compagine allargata a ben oltre gli Scilipoti.


Si galleggia. Le Camere non rappresentano più il Paese, l’incanto amoroso si è rotto  e mentre in Aula ci si compiace della tenuta, nella piazza antistante sgomitano  manifestanti di varie categorie che la polizia puntualmente carica. Più rappresentazione plastica di così.


La parabola del declino non è mai faccenda che si consuma in pochi attimi, tuttavia il contrappunto dei giudizi e delle iniziative delle agenzie di rating e le  nuovissime intercettazioni – lobby faccendieri e politica – disegnano un quadro ulteriormente tragico : da una parte un’economia disastrosa cui nessuno ha veramente intenzione di metter mano, dall’altra il totale disprezzo di qualsiasi regola. E in mezzo noi che, indignati o insofferenti, avremmo tutti bisogno di respirare un’altra aria (du temps).

Se sia o meno arrivato il momento che l’anello torni in mani sicure, non è dato prevedere. Nel frattempo – indispensabile misura – vorrebbero togliere di mezzo la pubblicità delle intercettazioni.Una grave perdita ai fini del Racconto – romanzo ? – di questo paese.