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Tag: La fabbrica del cinema

Di qua e di là dal tunnel (con gli occhialetti stereoscopici)

Di qua e di là dal tunnel (con gli occhialetti stereoscopici)

 


Dietro una porticina segreta  nella nuova casa in cui Coraline & Famiglia si sono da poco trasferiti, si apre un tunnel  e in fondo al tunnel , si scopre l’esistenza di una dimensione parallela, un universo speculare in cui tutto appare più bello. Un mondo   perfetto, che sarà divertente conoscere, del quale sarà facile entusiasmarsi, ma che – come in ogni favola che si rispetti –  non tarderà a rivelarsi in tutta la sua  pericolosa illusorietà.

Coraline vi troverà genitori più premurosi, condiscendenti e simpatici dei suoi, vicini di casa più cordiali  e persino un paesaggio dai  colori più vividi. Ma per poter  rimanere in questa dimensione felice, le verrà richiesto un pegno terribile. 

La ragazzina dovrà così far ricorso a tutta la sua inventiva e  al suo coraggio per liberarsi dalla trappola in cui si è lasciata trascinare.

Alice nel paese delle meraviglie ma anche l’Invasione degli ultracorpi e tanto altro ancora, in questa favola confezionata con modalità avveniristiche mescolate a tecniche artigianali -  potenziate dallo stereo 3D più  animazione stop motion – ma tradizionalisssima nei suoi aspetti narrativi terribili e nel suo messaggio edificante sul coraggio, sulle false illusioni e sulle aspettative indotte. Un contrasto di grande impatto per definire meglio  il tema chiave del guardare il mondo ad occhi aperti. Spalancati.

Tratta dall’omonimo libro del prolifico Neil Gaiman, Coraline è un film raffinatissimo, lavorato con cura minuziosa. Da vedere e rivedere possibilmente nei cinema attrezzati.

(In questo  Trailer  vengono spiegati i trucchi del film.)

Coraline e la porta magica è un film di Henry Selick. Con Dakota Fanning, Teri Hatcher, Ian McShane, Keith David, Jennifer Saunders, John Hodgman, Dawn French, Robert Bailey Jr., Aankha Neal, George Selick, Hannah Kaiser, Harry Selick, Marina Budovsky, Emerson Hatcher, Jerome Ranft. Genere Animazione, colore 100 minuti. – Produzione USA 2008. – Distribuzione Universal Pictures

 

Disastri & Disastri

Disastri & Disastri

Un film che parla di morte, destino e felicità con ironica delicatezza, riuscendo a non  essere mai deprimente, merita ogni considerazione. Così devono aver pensato anche le giurie dei numerosi concorsi sparsi per il mondo che nei ben quattro anni di attesa – il film è del 2005 – prima di arrivare nelle nostre sale, hanno decretato a questo Look booth ways dell’australiana Sarah Watt, ogni possibile riconoscimento. 

 Look booth ways –  Amori e disastri –  titolo metaforico ispirato da un cartello stradale. In un torrido  week end ad Adelaide, s’incrociano i destini del fotografo  che scopre di avere un cancro, dello scrittore scavezzacollo che apprende  della sua terza paternità, dell’artista ossessionata dagli incidenti che ha appena perso suo padre e di un giovane uomo che giocando col suo cane finisce sotto un treno il cui macchinista sebbene incolpevole rischia egualmente un crollo nervoso .

Guarda in entrambe le direzioni  prima di passare, suggerisce il cartello di cui sopra. Preziosa indicazione, qualsiasi sia l’attraversamento da compiere, anche se non è precisamente alla prudenza che  allude l’invito . Piuttosto alle diverse angolature, ai differenti punti di vista e alla stupidità di certi interrogativi  a senso unico che capita di porsi rispetto alle strettoie della vita e che coinvolgono un malinteso concetto di destino e di felicità.

Anche le immagini si adeguano ai diversi registri e così l’estroso talento della Watt si cimenta con inserti di  brani animati e sequenze fotografiche in un mix di realtà e fantasia estremamente piacevole.

Peccato la tardiva distrubuzione in sole diciannove copie – dunque affrettarsi –  questo film meriterebbe di essere visto per alcune sue piccole virtù, non ultima quella di risollevare lo spirito

Look Both Ways – Amori e Disastri (Look Both Ways) è un film a colori di genere drammatico della durata di 100 min. diretto da Sarah Watt e interpretato da Justine Clarke, William McInnes, Anthony Hayes, Lisa Flanagan, Andrew S. Gilbert, Daniella Farinacci, Maggie Dence, Edwin Hodgeman, Robbie Hoad, Leon Teague.
Prodotto nel 2005 in Australia e distribuito in Italia da Fandango

All day and all of the night

All day and all of the night

Richard Curtis brillante sceneggiatore di Quattro matrimoni ed un funerale e di Notting Hill, nonchè regista di Love Actually, mette mano a questo The Boat that rocked – da noi I love Radio Rock –  con la verve consueta ed un discreto talento per il racconto corale metropolitano. Dunque Londra, amatissima – e si vede –  città  che abilmente piazza sullo sfondo di tutte le sue storie, rendendone la presenza, elemento indispensabile allo svolgimento.

Non è di cup of tea, ne’ di torri dell’orologio, ne’ di cambi della guardia che si tratta, piuttosto del saper cogliere in alcuni elementi della quotidianità,  strade qualsiasi o portoncini colorati o ringhiere o panchine o bricchi o barattoli di marmellata, i tratti inequivocabili del carattere londinese. Questo film è girato prevalentamente su di una nave, quantunque ogni tanto  sbarchi a terra e si trasferisca in città, ma più acutamente  londinese di così non potrebbe essere.

Siamo nel 1966,  negli anni ruggenti del pop britannico governati dal cipiglio odioso dei conservatori di stampo reazionario. Età dell’oro del motown, di Martha and the Vandellas, dei Kinks e dei Procol Harum che la BBC trasmetteva un paio d’ore a settimana, mentre una pletora di emittenti allestite su pescherecci incrociava  al largo del Mare del Nord, ad una distanza tale da non incorrere nelle sanzioni che la severa legge inglese imponeva ai trasgressori di orari e concessioni.

Maghi delle frequenze in Fm e folli dj  governavano questi vascelli pirata a bordo dei quali per i venticinque milioni e passa di ascoltatori, le trasmissioni non finivano mai.

Antesignana della flotta che ne seguì l’esempio in tempi rapidissimi,fu Radio Caroline scatenata, libertaria e pazzesca emittente di cui questo film racconta le vicissitudini .

 Perseguitata dal feroce “MinistrotuttounprogrammaKenneth Branagh – We have their testicles in our hands, Twatt, and it feels good – e teatro di esperienze di vita in comune – tutti uomini più una cuoca, ma non mancano visitatrici e visitatori ad animare il già delirante ménage – iniziazioni ed educazioni sentimentali, celebrazioni nuziali tra goliardia e voglia di inventarsi il futuro,  la nave fila liscia come il film mentre di tutto quanto accade, la musica segna puntualmente  il ritmo .

Quaranta sono i brani della colonna sonora ruffiana e tutta protesa ad una inevitabile operazione nostalgia da I can see for miles  a Eleonore dei Turtles a Stay with me baby di Duffy a Dancing in the street a Nights in white satin dei Moody Blues.

Tutta roba, per chi scrive, da scuola elementare, infanzia o giù di lì,  ma non per questo meno evocativa, della gran meraviglia che suscitava l’ascolto di quella musica, così diversa da tutte le altre, così sovvertitrice di ordini, usi e rapporti. E di una città, in cui attualmente magari si incontrano le stesse facce che trovi sotto casa, ma che allora era decisamente un altro mondo.


The Boat That Rocked è un film di Richard Curtis. Con Philip Seymour Hoffman, Bill Nighy, Rhys Ifans, Nick Frost, Kenneth Branagh, Tom Sturridge, Chris O’Dowd, Rhys Darby, Katherine Parkinson, Talulah Riley, Ralph Brown, Sinead Matthews, Emma Thompson, Gemma Arterton, January Jones, Tom Wisdom, Jack Davenport. Genere Commedia, colore 135 minuti. – Produzione Gran Bretagna, Germania 2009. – Distribuzione Universal Pictures

Like a directress

Like a directress

Che Madonna potesse avere un talento innato per la regia, come racconta in diverse interviste  Eugene Hütz, mitragliante leader della Gogol Bordello, band esercente con profitto il genere gipsy, qualcuno dice rock, qualcuno dice punk e interprete del film Filth and Wisdom , non si fa fatica a crederlo. Basterebbe guardare le sue clip e le inverosimili  mise en scène dei suoi concerti, per capire come Louise Veronica Ciccone abbia un’ attitudine particolare per qualsiasi forma di spettacolo

E per il cinema. Attrice intensa da Cercasi Susan disperatamente a – soprattutto ! – Evita – a Sai che c’è di nuovo, annovera tra le sue performances, un unico scivolone, quando insieme all’ex marito s’è messa in testa il remake di Travolti da un insolito destino, film bruttarello già di partenza e come se non bastasse, d’impossibile rifacimento  con storia e personaggi troppo local  per essere esportati altrove.

Era dunque nelle cose che lei, diva fin nel midollo, manager accorta di se stessa, ma soprattutto artista incantevole e pignola,  qualsiasi cosa faccia – cantare, ballare, scrivere, recitare, adottare bambini africani – mettesse a profitto tutti questi talenti messi insieme e si cimentasse nella regia.

Presentato ad una Berlinale delirante, passato per Torino film festival e distribuito dalla Sacher, Filth and Wisdom arriva nelle sale italiane accompagnato dal bollino di qualità di Nanni Moretti. E già non è poco.

A seguire, intorno al film che nel frattempo è divenuto Sacro e Profano si sono addensati pareri contrastanti e prevedibili  malignità. Sorvoliamo. La verità è che quest’operina  è davvero bella ed eccentrica, percorsa da divertente ironia, con tocchi  delicati pur nel contesto spericolato ed irriverente.

Madonna insomma  ce la mette tutta,  riuscendo nell’impresa di tenere a bada certe sue tendenze artistiche al troppo che stroppia  – il troppo Kitch, il troppo pop, la provocazione troppo facile e l’inveterata abitudine al marketing – concedendosi la libertà di un lavoro dal taglio indipendente, molto concentrato su di una storia movimentata ed infine romantica :

    Tre personaggi alle prese con le proprie aspirazioni nella Londra  del degrado suburbano, il loro sbarcare il lunario in settori diametralmente opposti a quelli ambiti, senza però lasciarsi sfiorare da qualsivoglia angoscia da abbrutimento – e dico poco –   sottooccupazionale e se tristezza talvolta affiora , appartiene al passato di ognuno, mai al presente. 

Uno canta in un gruppo Underground, ma si mantiene prostituendosi, percuote col frustino clienti masochisti, fingendosi un cavaliere o giocando alla scuola,  un’altra studia danza classica ma lavora in un locale di lap dance e un’altra ancora, vorrebbe andare volontaria in Africa e invece le toccano una farmacia e le avances del proprietario indiano, infelicemente sposato  e con tanto di invadente tribù al seguito.

Insieme condividono un appartamento che ha come vicino di casa un poeta cieco innamorato di AK il fustigatore che non trova di meglio da fare che sottrargli versi per metterci su le sue musiche.

Sacro e profano dunque, come in ogni esistenza ovvero come le facce di un’ unica medaglia. Qui però pur nell’apparente discesa agl’inferi, primeggiano sensibilità, allegria e pulizia interiore, com’è di chi ha sogni e combatte perchè ci crede.

Onore al merito di Eugene Hütz, faccia da schiaffi (anzi da cinema), grido di battaglia Think globally fuck locally – come lo scriverei volentieri sui muri – delle sue doti di attore della sua colonna sonora e della sua versione di Isla Bonita (canzone del cuore, ebbene sì)

Sacro e profano è un film di Madonna. Con Eugene Hutz, Holly Weston, Vicky McClure, Richard E. Grant, Inder Manocha, Elliot Levey, Francesca Kingdon, Clare Wilkie, Olegar Fedoro, Ade, Elena Buda, Stephen Graham. Genere Commedia, colore 80 minuti. – Produzione Gran Bretagna 2007. – Distribuzione Sacher

Finchè la rotativa va ( c’è speranza )

Finchè la rotativa va ( c’è speranza )

 

 

 

 

Kevin Mc Donald deve aver avuto il suo bel dafare con tutti quei classici del giornalismo investigativo da visionare prima di mettere mano a State of play.  Pakula, Howard, Brooks, Hawks tanto per citare a caso qualche autore. Una filmografia di genere piuttosto vasta  con qualche capolavoro e diversa  paccottiglia imbastita su luoghi comuni, tra esercizi retorici e tonanti invettive. E come se non bastasse, la stessa serie televisiva inglese su cui è basato lo script che poi ha finito per  rivelarsi un temibile termine di paragone per il film.

Quanto agli attori, sono stati mandati  a balia, per qualche tempo, in redazione al   Washington Post. Così, tanto perchè fosse loro chiaro come funziona un quotidiano, cosa ogni giorno viene stampato e perchè. Dunque, già in fase preparatoria, eravamo in piena atmosfera di meticolosità hollywoodiana, la stessa in virtù della quale De Niro non avrebbe potuto  interpretare credibilmente The racing bull   prima di essere ingrassato 30 chili e di aver condiviso per sei mesi  lo stesso tetto con  Jack Lamotta. Niente che la coppia Helen Mirren and Russel Crowe, attori da sempre abituati a dissolversi nei personaggi, più che a rendersene interpreti, non potesse sopportare. E poi nel cinema – come del resto nel giornalismo – la pignoleria ai limiti della nevrosi ed oltre,  paga in termini  qualitativi e di fedele rappresentazione del Vero. 

Così è anche di questo giallo investigativo old fashioned way, un’americanata ben messa, sul giornalismo che mette i bastoni tra le ruote al potere politico rivelandone le dinamiche e sulla missione del cronista pistarolo che tra commissariato, obitorio e ministero, tesse una rete di utili fonti su cui basa le sue inchieste. Tutto ciò all’epoca di internet – cioè del magma incontrollato di notizie spazzatura –  e  della crisi della carta stampata.

Film, dunque,  inevitabilmente epico : il 2043, data in cui l’ultima sgualcita copia su carta del “New York Times” sarà acquistata, è alle porte e bisogna correre ai ripari :

Accade che a Cal McAffrey, nobile e stropicciata figura di giornalista all’antica, quasi un dinosauro, trasandato, sovrappeso e brontolone,  venga affiancata una giovane blogger,  metodologicamente sprovveduta e  poco abituata ai controlli e alle ricerche. I due – intreccio scontro irresistibile di visioni del mondo agli antipodi – seguono le indagini di omicidio in un quartiere malfamato, un rompicapo di eventi apparentemente scollegati che tra tangenti sesso e omicidi andrà via via configurandosi come una storia di vizi privati e pubblica corruzione in cui è coinvolto un giovane deputato in ascesa che è anche compagno di college di Cal.

Ma nei trent’anni che ci separano da Watergate inteso come caso scuola  ( e da Tutti gli uomini del presidente)  l’universo dell’informazione si è completamente rivoluzionato. I media sono divenuti scrupolosi amministratori del consenso mentre la carta stampata vive un momnto di profonda crisi. Le Proprietà esigono risultati rapidi in termini di quadratura di bilancio e non c’è più tempo per mettere insieme le inchieste di un tempo. Per di più, paradosso dei paradossi,  la presenza istantanea di notizie in rete, si rivela, almeno in questo caso,  un intralcio ben più cospicuo di tradizionali reticenze e depistaggi. Morale : la vera professionalità non disgiunta dall’etica professionale e fondata su regole ferree, si nasconde nelle redazioni e viaggia sulla carta stampata.

Riflessione amarissima e analisi veritiera sullo stato delle cose realizzata da un team di sceneggiatori di prim’ordine. Finale amarcord/tipografico con gran carrellata tra le rotative al lavoro. Visione nostalgica di un mondo in probabile estinzione. ( che ha commosso la quasi totalità dei critici, anche quelli cui il film non è piaciuto troppo


 

 

 

State of play è un film di Kevin Macdonald. Con Russell Crowe, Ben Affleck, Rachel McAdams, Helen Mirren, Wendy Makkena, Katy Mixon, Viola Davis, Jeff Daniels, Maria Thayer, Harry Lennix, David Harbour, Rob Benedict, Zoe Lister Jones, Gregg Binkley, Arabella Field, Cornell Womack, Robert Bizik, Dan Brown, Eileen Grubba, Brennan Brown, Jason Bateman, Robin Wright Penn. Genere Azione, colore 125 minuti. – Produzione USA 2009. – Distribuzione Universal Pictures