Hannah

Hannah

 

Un film che non è nella prospettiva della vittima corre sempre  grossi rischi. E’ dunque un buon segnale che l’Academy abbia superato le feroci polemiche che ne hanno accompagnato l’uscita, conferendo il premio ad un’ interpretazione intensa e determinante.

Siamo forse al tramonto di certo moralismo di lettura – e non è ai rilievi di presunto  voyerismo pedopornografico che alludo –  Se così fosse, questo premio avrebbe più significato di quello attribuito a Sean Penn per Milk . Altro segnale che le cose cambiano. Almeno da quelle parti.

Nell’illustrazione Kate Winslet in The reader

Di poche parole

Di poche parole

 

Primo, non dar retta agli americani che intorno a questo film hanno montato un caso che non finisce più, per le scene erotiche, la giovane età di lui e quella più matura di lei. Esagerati. E moralisti senz’appello.

Secondo, non dar retta alla critica di casa nostra che ha tacciato The Reader di essere un lavoro ambiguo e melenso. Di ambiguità fino ai limiti del fastidio – e comunque sarebbe un disagio che dovremmo tenerci ben stretto – non potrebbe fare a meno questo tipo di storia, mentre un tocco di melo forse attenua la generale atmosfera di dannazione & colpa. Vero è che la musica incalza, s’insinua e allude, moltiplicando l’effetto drammatico ma ciò è esattamente quel che fa una brava colonna sonora quando vuol sostenere l’impegno dello sceneggiatore. E questa obbedisce alla regola senza essere poi troppo ruffiana.

Terzo lasciarsi guidare dalla chiave di lettura nascosta tra le pieghe di in una lezione che il professor Rohl (Bruno Ganz) impartisce agli allievi :  non è l’Etica a sostenere lo spirito di una nazione, ma il Diritto che è figlio della storia. Ergo non si possono giudicare i nazisti con tribunali formati dai vincitori.

Storia, articolata su tre livelli temporali, dell’ iniziazione sessuale del giovanissimo Michael da parte di una misteriosa trentenne che durante i loro incontri, come rito maniacale e propedeutico al sesso, si fa leggere romanzi e racconti.

E della successiva casuale scoperta di una verità più volte atroce, quando otto anni dopo l’improvvisa sparizione, ritroverà la donna coinvolta in un processo per la strage di trecento prigioniere ebree. Assisterà al dibattimento  nell’ambito degli studi in giurisprudenza ai quali nel frattempo si sta dedicando e apprenderà così che Hanna è stata una SS e che il medesimo rito del farsi leggere libri, infliggeva alle sue vittime prima di spedirle nella camera a gas.

 Analfabeta, potrebbe essere scagionata dalla sua stessa condizione – il processo ruota intorno ad un ordine scritto – ma è tale la vergogna di dichiararsi incapace di leggere e scrivere che si farà condannare, mentre Michael che invece  sa, preferirà tacere. La lezione del professor Ganz non lo ha convinto.

Vent’anni di galera, le due vite tornano apparentemente a dividersi segnate ciascuna dal senso di colpa, complici silenziose ed inermi di differenti tragedie. Ma non ci sono assoluzioni ne’ condanne  ne’ redenzioni – non ce n’è del resto bisogno – solo rimangono inalterati interrogativi scabrosi. Certi drammi hanno solo bisogno di spiegazioni.

Winslet di poche parole eppure bravissima ad incarnare la follia di una generazione perduta.

The reader è un  film di Stephen Daldry. Con Kate Winslet, Ralph Fiennes, David Kross, Lena Olin, Bruno Ganz, Alexandra Maria Lara, Karoline Herfurth, Linda Bassett, Hannah Herzsprung, Jeanette Hain, Susanne Lothar, Kirsten Block, Volker Bruch, Matthias Habich. Genere Drammatico, colore 124 minuti. – Produzione USA, Germania 2008.

Alla fine ha vinto Maria

Alla fine ha vinto Maria

Il fatto è che il Festival è come Pasqua e Natale, puoi pure fare l’albero postmoderno o mettere l’uovo in braccio alla sorpresa ma quando arrivano i parenti  a colazione, ti rendi conto che è inutile : la festa comandata è inemendabile, manco la stricnina nella minestra o la sventagliata di kalashnikov al posto del dessert, potrebbero qualcosa Non a caso anche lì funziona la tautologia…Natale è Natale esattamente come  Sanremo è Sanremo

Le modalità festivaliere in genere si alternano : un anno ‘o famo strano e quello dopo chiamiamo Pippo Baudo. Una tantum, cioè quando proprio  gli ascolti rischiano il crollo per sopraggiunta saturazione e serve un salvataggio, viene convocato con rullo di tamburi e sei puntate propedeutiche da Vespa, il terzista per eccellenza: Paolo Bonolis. Quello capace di mettere insieme l’avanguardia, il pop, il canto gregoriano  e la romanza, accontentando così più o meno tutti. 

E infatti quest’anno  facevi prima a dire chi mancava e soprattutto cosa,  tra il sesso direttivo – ancorché senza amore –  nella terza  (o forse quarta?) età, il melting pot, i rifiuti di Napoli,  l’intero pacchetto sicurezza –  ronde escluse – stipato nei refrain di Masini e  Luca che era gay e adesso sta con lei. Roba che se Grillini non gli avesse dato una mano, Povia sarebbe tornato a casa subito, lui e tutta la sua tornata di ta tse bao edificanti. Gran pigia pigia anche tra cast e ospiti : Allevi e Bacharach, con gli scrittori famosi che inviano la missiva, gli attori che la leggono, l’étoile,  Mina che canta in contumacia una romanza da tenore, inquietanti reunion del trapassato  remoto, l’ultima rockstar, la penultima rivelazione pop, il più grande batterista, il doppio premio Oscar, gl’indossatori lasagnoni al posto delle vallette sceme, le playmates vitaminizzate e un collegamento col Palazzo di Vetro.  Persino Benigni in nome della discontinuità ha rinunziato a Dante e all’amore universale per tornare a quel po’ di satira politica che le circostanze consentono. Poi legge Wilde, Grillini applaude in piedi prima d’intervenire sulla felicità della coppia omosessuale di lunga durata. Nessuna audacia. Preparate i fazzoletti. Ovvio che in tutto questo minestrone qualcosa che ti piace, alla fine, la trovi per forza.  Soprattutto se la contropragrammazione Mediaset è stata particolarmente generosa col Festival, mentre si fa strada il sospetto che questo lievissimo calcar la mano sulla kermesse anarco situazionista serva in realtà a mimetizzare l’inconsistenza delle canzoni in gara.

Tolti Pravo e Tricarico, il resto è un po’ convenzionale. Non voglio dire sgradevole, ma insomma, tutta qui la canzone italiana ? Meglio le nuove proposte, si sbattono di più, steccano meno e tra parole e musica riescono ad essere più originali, ma li fanno cantare a notte fonda e tutto si perde.

E poi ci sono loro. Laurenti, spalla ben sincronizzata e Bonolis esponente di spicco della patafisica televisiva, uno che all’ennesima polemica sul cospicuo cachet, risponde strillando al tentativo di delegittimazione, manco fosse il Quirinale. Signore indiscusso del congiuntivo ben messo e dell’eloquio spropositatamente forbito, parla per ore senza dire niente, però….che dialettica ..chiosa Al Bano, sospirando.

Per l’ultima serata ci siamo superati, abbiamo avuto i metalmeccanici, il presidente albanese sorridente dal palco, il divo Cassel, la divina Lennox, una ricercatrice precaria incinta e la De Filippi in veste di presentatrice. Quest’ultima  a riprova del fatto che quel muro – tra RAI e Mediaset – è stato abbattuto. Parola di Bonolis. Stamo tutti qua. Lui lo annuncia trionfante e a metà del Paese si gela il sangue. Alla fine vince Marco Carta della scuderia di Amici. Anche l’ultima barriera è stata infranta.Volemose bene e tiramo a campà.

L’intento, la missione dell’intero spettacolo insomma, alla fine, ci viene svelato : sarebbe quello di mostrare, attraverso la musica, il Paese, anticipando così le inevitabili considerazioni del sociologo ritardatario, domani. Ma quel che riesce a venire fuori di prepotenza è solo lo stereotipo,  una macchietta tragicomica più finta e assurda di Papaveri e Papere. Del resto qui da noi, successo o fa rima con eccesso, o non è.

Che s’ha da fà. E pensare che il servizio pubblico potrebbe tranquillamente fregarsene dell’Auditel, lasciando gli altri da soli a scannarsi per gli ascolti. Si avrebbe un po’ più di qualità e competizioni meno avvilenti.

Anche se c’è da dire che queste prove ansiogene dello strafare di Bonolis  hanno il pregio di sfuggire spesso di mano e quando accade, regalano momenti esilaranti. Come la modella in body painting che tenta il colpaccio salendo sul palco, ma viene portata via in mezzo a due gendarmi stile Pinocchio,  mentre il bravo presentatore in tuxedo luccicante, raccomanda Piano per carità…non ha fatto niente, era …arrivata in pace.

Nella foto Tricarico, subito eliminato

Casting

Casting

Scorpione 0cea

Stamane sul Foglio, Giuliano Ferrara – che conosce assai bene le dinamiche interne ai vari partiti della sinistra che hanno preceduto la nascita del PD –  traccia un breve excursus, una storia  degli ultimi venti e forse più, tribolati anni  della nostra vita  di quadri, dirigenti e militanti semplici di quei partiti,  l’editoriale è titolato  il teorema dello scorpione.

Al confronto delle tante fesserie e luoghi comuni che si leggono in queste ore tra giornali e web, sulla successione e sui possibili scenari, quelli che si raccontano nell’articolo, quantomeno sono fatti. Realmente accaduti e di cui, a mio avviso, si dovrebbe tenere conto. La lettura di quei fatti messi così brutalmene in sequenza, sostiene, ove mai ce ne fosse bisogno, una miglior comprensione di quanto sta accadendo oggi.

Forza e coraggio dunque, domani non si va ad un casting per scegliere il segretario, si va a ratificare la soluzione più rapida, democratica ed istituzionale possibile : Dario Franceschini.

A meno di non avere altre idee per la zucca e maggioranze che le supportino,  la soluzione meno pasticciata è quella della reggenza fino al congresso. L’unica che consenta di tenere insieme il partito in vista delle primarie per scegliere i candidati alle future sfide elettorali  e per continuare, meglio che si può, a far fronte, senza ulteriori traumi,  all’attività politica e a quella parlamentare.

Non ha gran senso eleggere ora, in tutta fretta, un uomo o una donna e la relativa lista, senza averne discusso, mettendolo in relazione con altri, il progetto. Credo che l’esigenza più sentita sia di valutare il futuro gruppo dirigente soprattutto sulla scorta dei contenuti politici e delle strategie di cui si farà portatore. Per fare ciò, le Primarie che oltretutto comporterebbero una modifica statutaria, non bastano, serve una verifica congressuale.

Vediamo un po’ se per una volta almeno, si riesce ad evitare che un ennesimo esercizio di arte sicaria bruci di qui alle elezioni, personaggio e progetto.

Il nuovo che ci serve oggi è la compattezza, la fine dei mugugni, delle lagne, delle smanie di protagonismo e delle ansie di collocazione di questo e di quell’altro.

Che non si perda mai più di vista lo scorpione.

Non solo lodi (ma anche pacchetti)

Non solo lodi (ma anche pacchetti)

Azzeccagarbugli

Accogliendo la Corte tutte le richieste dell’Accusa, David Mills è stato condannato a quattro anni  e sei mesi ma grazie al Lodo Alfano tale sentenza non costituisce tecnicamente condanna a Silvio Berlusconi che è fuori dal processo, per ora. 

Salvo che la Corte Costituzionale non si pronunzi contro il Lodo. Il verdetto si prevede entro il mese prossimo.

Caso vuole però, che nel pacchetto di Norme sulla Giustizia approvato dal Consiglio dei Ministri il 7 febbraio scorso, ce ne sia una che prevede che  le sentenze passate in giudicato potranno essere prova in dibattimenti successivi solo nei processi di mafia, terrorismo e reati punibili con l’ergastolo.

Se il Parlamento approvasse tali Norme, la sentenza Mills non potrebbe essere usata contro il Premier, ça vas sans dire, che l’intera serie di Provvedimenti sarà inserita di gran carriera nell’agenda parlamentare. Hai visto mai fosse invalido il Lodo, c’è sempre il pacchetto.

Ecco spiegato perchè a Palazzo ( Grazioli) minimizzano e considerano la condanna a Mills una non notizia. E che? Forse un uomo ha azzannato un cane? chiosa uno dei tanti Spin.

Per carità. Screditano i giudici che solo in quanto politicizzati, non hanno voluto tener conto dei memoriali scagionanti e ancorchè postumi di Mills, annunciano appelli sicuramente vittoriosi – è scritto nel cielo, si vede –   e si cuciono le leggi addosso. In effetti dov’è la notizia  (in senso di novità )?

Nell’illustrazione, Azzeccagarbugli – quello vero – di Gonin