A chi giova ( e a che gioco giochiamo)

A chi giova ( e a che gioco giochiamo)

Dopo aver ucciso l’Informazione, la Narrazione si accinge a uccidere anche la Giustizia. Ordinanze più voluminose di Guerra & Pace –  e spesso analogamente strutturate – all’interno delle quali per reperire un reato, ci vuole il lanternino, inchieste condotte col metodo della pesca a strascico, ipotesi di reati associativi a go – go – e quand’è così, si sa, il dubbio che le prove scarseggino si fa consistente – Pagine e pagine di intercettazioni recanti notizie irrilevanti quando non improbabili : Barbara Palombelli che a teatro, come tutti,  ci va a vedere gli spettacoli , diventa responsabile del Festival Internazionale di Napoli, analogamente accade per  Roberta Carlotto Reichlin che in effetti dirige il Mercadante ( ma solo quello), Polito che si chiama Antonio diventa improvvisamente Nino e va a finire nel tritatutto insieme a  Roberto Morassut e al figlio di Di Pietro. Contestazioni? Zero. In soli dieci giorni l’affaire Pescara si sgonfia e il sindaco D’ Alfonso, dimessosi a causa della misura cautelativa torna libero e anche se molto resta da appurare, è indubbio che producendo la prima ordinanza l’ arresto, gli effetti sotto il profilo istituzionale sono stati gravissimi.(scioglimento del Comune)

Al quadro che emerge e che – reati o non reati –  resta desolante per quanto riguarda contesti e comportamenti personali, si aggiungono gli errori – un po’ troppi a questo punto  – veri e propri, un comportamento di alcuni magistrati per certi versi disinvolto e quello dell’Informazione Romanzata, più che mai. Non ci vuol molto a capire che pur volendo allontanare dalla mente ipotesi complottiste, siamo nel pieno di una fase delicata, in cui nell’abituale tirare l’acqua al proprio mulino della Politica, s’insinuano rischi, vuoi per l’autonomia della magistratura da sempre nel mirino della Destra, alla quale non pare il vero di reclamare un pacchetto di provvedimenti di riforma del CSM o per la separazione delle carriere o più semplicemente che limiti l’uso delle ( necessarie) intercettazioni, vuoi per la stessa Democrazia. Al cospetto di tutto questo, a chi giova demolire e mettere fuori gioco il principale Partito d’Opposizione?

Passi  che al capitolo Questione Morale la fantasia revanchista si scatena e le panzane fioccano. Passi che tra le esclamazioni in galera, in galera in galera ovvero dimissioni, dimissioni dimissioni, dei detrattori, ce ne fosse uno solo che si preoccupi di attenersi ai fatti – intesi come accadimenti ma anche come basica conoscenza del funzionamento delle istituzioni – o che valuti le ricadute di ogni scelta suggerita. Passi che in quest’ansia di pulizia e rettitudine, con etica, morale, e moralismo – tre distintissime categorie delle quali conviene sempre marcare le differenze – si usa confezionare una padellata di polpette indigeste e grondanti malafede da somministrare al gentile pubblico che se le sorbisce a mò di pacificazione  con la propria, non sempre specchiata, coscienza civile. Passi dunque tutto …ma che lo scenario richiami alla vigilanza e alla cautela prima ancora  che all’anatema, dovrebbe far parte quantomeno del senso politico da conferire alle nostre analisi.

Garantisti sempre e vicini ai giudici, a patto che non siano malati di protagonismo ed esprimano professionalità. Ma una classe politica borderline non può essere estirpata dai tribunali ne’ da partiti organizzati sul modello di Pol pot. Personalmente un partito che impone le dimissioni agli eletti, io non lo voterei manco morta, come non voterei mai un partito le cui regole non armonizzino con il nostro ordinamento. Mentre invece volerei a mettermi in fila per scegliere candidati e organismi dirigenti. Sta tutta lì la differenza, nel potere degli elettori di scegliersi e di votare la squadra che si ritiene più idonea.

(Natale mi sta antipatico ma l’unica persona alla quale mi sentirei di fare gli auguri oggi, è quella ritratta nella foto)

Chi è garantista

Chi è garantista

 

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Chi è garantista vuole che le Leggi siano rispettate, che le indagini seguano il loro corso protette dal segreto istruttorio, che i processi siano celebrati senza lungaggini, che una volta individuati i colpevoli siano loro comminate pene proporzionate al reato commesso. Chi è garantista coniuga l’intransigenza del principio di legalità col principio di non colpevolezza, unico antidoto contro le degenerazioni.

Ma essere garantisti non appartiene al campo delle opzioni. E’ quel che lo stesso rispetto della legge ci suggerisce di essere. In questo non c’è misura alla quale adeguarsi : o lo si è o si è fuori dal perimetro di legalità. E di civiltà.

Si lo so, un atteggiamento garantista non è utile allo sfogo, ne’ al lavoro dei comici, ne’ a quello dei narratori, non fa vendere i giornali, non aumenta l’audience,  non rende simpatici e non consola gli afflitti. E probabilmente fa anche perdere  consensi. Ma che spettacolo offre chi è capace solo di invocare la galera?

Tornano le inchieste giudiziarie e, senza che se ne fossero mai andate, le connessioni perverse tra politica e affari. Buon lavoro agl’inquirenti. Nella certezza però che la questione morale riguardi le singole coscienze e le singole responsabilità, non le intere compagini. Ma soprattutto che le ventate giustizialiste servono assai poco allo scopo. Che rimane quello di coniugare moralità pubblica e bene comune attraverso un Fare Politico efficace.

Se invocare le manette e istruire processi mediatici fosse servito a qualcosa, con Tangentopoli, stagione pur necessaria,  avremmo risolto tutti i problemi di corruttela. Così non è stato e ciò a riprova del fatto che la Giustizia, non può svolgere con successo, compiti  che sono propri della Politica. Pena un esiziale conflitto.

Oggi l’ordinanza della Procura di Napoli, al di là dei rilievi penali,  ci consegna un quadro che rispetto ad allora, è mutato solo per alcuni particolari, mentre il metodo di addomesticare le procedure per acquisire commesse è sempre lo stesso. Come lo è  l’atteggiamento di chi si fa parte diligente per rendere possibili simili operazioni. Non più per il Partito ma per sè. Che importa? Le ricadute per la collettività, sempre le stesse rimangono : un’economia di mercato finta, drogata e, come se non bastasse, servizi scadenti.

Se le cose stanno così, serve un cambio di passo, non solo volti nuovi per il ricambio della classe dirigente, non solo regole di trasparenza –  che ne avremmo, volendo, da riempire i volumi –

So che il segretario del PD Veltroni in mattinata ha difeso le persone oneste che di quel partito fanno parte. Bene ha fatto. Ma l’ulteriore scatto d’orgoglio che gli si richiede, è di precisare quale Progetto di innovazione ha intenzione di mettere in campo e su quali gambe dovrà procedere questo rinnovamento. Commissariare il Partito locale, laddove si sono manifestate storture, può essere utile, ma non basta.

Diversamente quel garantista che guarda alla Politica come unica ratio per uscire fuori dall’impasse, rimarrà sempre più solo. E consapevole di una realtà difficile da modificare, sempre più straniato. 

 

 

Cafonalesimo ( imparare dai romani)

Cafonalesimo ( imparare dai romani)

Anfiteatro Flavio

Le foto sono spesso imbarazzanti, soprattutto quelle scattate nei dintorni dei buffet, o quelle ammiccanti a protesi e zigomi oversize, ma se tutti sgomitano per essere immortalati da Pizzi  e apparire nei giorni successivi, su Cafonal, rubrica – si fa per dire –  di social, assai cliccata di Dagospia. com , un motivo c’è

Siamo a Roma, città in cui strusciarsi al Potere è un preciso obbligo dei subalterni che aspirano alla scalata. E di questi tempi per di più. Che altro aggiungere a quanto già autorevolmente detto sulla società dello spettacolo, su certo generone romano un po’ grossier, sui potenti che fanno mostra di sè per suscitare invidia ed emulazione ? Sul Berlusconesimo Imperante e Vincente?

Proprio nulla. E come non si può cavare sangue da una rapa, non si può fare di Cafonal un fenomeno degno di dotte considerazioni. Non più di tanto almeno. Ecco perchè a convocare all’Infedele, Alfonso Signorini, Maria Laura Rodotà, Il filosofo Gianni Vattimo e il giurista Franco Cordero per discutere di Vanità del Potere relativamente all’uscita del libro della premiata ditta Pizzi & D’Agostino, Cafonal, si rischia, nel contrasto stridente, di far apparire Signorini perfettamente a proprio agio, simpatico e appropriato nelle sue considerazioni omnibus – tutti i potenti sono vanitosi –  e Cordero fuor di luogo.

Non un gran risultato. Meglio se l’è cavata Bruno Vespa la sera appresso, allestendo analoga ma più celebrativa trasmissione con ospiti meglio assortiti  e finendo col gestire il consueto pianerottolo di damazze scriteriate in lite furibonda su quale fosse il modo migliore di ricevere gli ospiti, ovvero se fossero più eleganti le riunioni a casa di Maria Angiolillo o quelle di Marisela Federici.

Ma insomma, ogni tanto un chissene frega si può dire? Chissene frega se le porcellane di quella sono migliori di quelle dell’altra, se la tale s’è rifatta, se quell’altro c’ha l’amica, se un posto da sottosegretario è stato assegnato tra il sorbetto e la spigola a casa XYZ o tra uno scosciamento e una sgargarozzata nel patio di casa BCD. Davvero tutto ciò dobbiamo nobilitare con definizioni  da interessantissimo fenomeno ?

Imparare dai romani. Certa materia è contagiosa. A maneggiarla troppo senza essere abituati, si rischia. Sarà che in questa città discendiamo tutti da un fratricidio, sarà che nel corso del tempo ce la siamo dovuta vedere con la peggiore teocrazia, sarà che i panem et circenses ci sono entrati nel sangue – spirito migliore per osservare queste manifestazioni  non conosco –  ma la scrollata di spalle e il chissene frega –  non di superiorità, beninteso,  ma di purissima indifferenza –  ci ha salvato la pelle nel corso dei secoli. Non a caso questo Circo affascina moltissimo i forestieri, leghisti in primis. Davvero pensiamo di apparire meno snob e più vicini al popolo occupandoci seriamente del contenuto di queste poubelles?

Da ultimo sono davvero dispiaciuta per Franco Cordero, venerato maestro, intellettuale a tutto tondo, uno studioso da tenere in dovuta considerazione, maltrattato ingiustamente dalla critica televisiva, per aver introdotto forse l’unico concetto degno a proposito di vanità… le moi est haïssable …citando Pascal e autoincludendosi immediatamente nel novero dei fuori di luogo. E da un certo punto di vista, forse lo era davvero.

 

Scene di caccia al topo di fiume

Scene di caccia al topo di fiume

Siccome per la battuta di caccia serale, la scelta del territorio spetta a lui, la meta è sempre la stessa : l’Isola o le banchine circostanti. Presumibilmente per quell’illusione di “natura selvaggia” che flora fauna & fiume offrono tra Ponte Sublicio e Ponte Garibaldi. Il Gianicolo, Riserva preferibilmente diurna, non offre le stesse chances di avventura

A destinazione potremmo arrivare imboccando il  viale, dritto per dritto, e invece niente. A lui piace prenderla alla larga, passare per Porta Portese costeggiando il San Michele, in quel tratto di lungotevere che fu di Sciuscià, di Ladri di biciclette, di Adua e di C’eravamo tanto amati. Proprio nel punto in cui Nicola dice ad Antonio che lui è politicamente e culturalmente,  più oltre, si può scendere sotto Fiume e una volta lì, rincorrere le papere, i germani, i topi e le nutrie sul greto. La caccia è, per convenzione stipulata a suon di urlacci e punizioni, rigorosamente incruenta.

In questi giorni d’impraticabilità delle banchine, ha osservato con ansia dal Lungotevere l’evolversi dei fatti. Un’occhiata di sotto, e una – molto demanding – a me che, in quanto provvisorio capobranco, dovrei avere tutte le risposte :  comandare pioggia,  vigili del fuoco,  protezione civile, netturbini, l’onda di piena e le maree.

– Ancora non si può scendere, non vedi che fangaccia? –
Manteniamo vivo il dialogo, motivando i divieti  anche col cane. Poi per consolazione, concediamo il proibitissimo salto nei mucchi di foglie bagnate. Comprarsi i guai con i soldi propri, si dice da queste parti.

 

Chi vuol esser milionario ( sia )

Chi vuol esser milionario ( sia )

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Jamal si appresta a sbancare la versione indiana di Chi vuol esser milionario ma il conduttore televisivo – che lo detesta e fa di tutto per umiliarlo –  ipotizza sia un truffatore e lo consegna alla Polizia perchè confessi di aver barato. Sottoposto ad un brutale interrogatorio, rivivrà le tappe della successione di vincite realizzando che ad ogni domanda,  la risposta esatta, gli è stata suggerita da un episodio del suo passato di orfano,  scampato con i due fratellini ad un orrendo pogrom anti musulmano, cresciuto in strada, sopravvivendo fortunosamente alle insidie e agli sfruttatori. La struttura narrativa è costruita così, su ampie digressioni e virtuosistici  flash back che alla fine ricompongono il quadro, avvicinando, episodio dopo episodio, Jamal alla vittoria.

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Il regista  di Slumdog Millionaire ( The Millionaire, per noi ) è Danny Boyle –  lo stesso di Trainspotting, il convulso stracult inglese –  che dopo aver girato il film, ne vorrebbe fare subito un altro di eguale ambientazione anche se di genere differente e  che sostiene  puoi lasciare l’India ma è l’India che non lascia mai te.

Verissimo. Anche se non nella dimensione convenzionale, stile hippy, old e new age, di viaggio alla ricerca di se stessi – operazione che se proprio necessita, non richiede particolare location e che può, volendo, essere praticata con successo anche sul divano di casa propria – ma solo se si pensa ad un universo senza mezze tinte,  a scala di valori completamente rovesciati, in cui è   proprio il differente ordine delle cose a determinare un coinvolgimento emotivo. 

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Ciò è impresso  con evidenza in mille fotogrammi di questo film (anglo – bollywodiano) che, uscito in sordina in pochissime copie, si è affermato al punto di essere tra i nominati per l’Oscar. Un’ inattesa rivelazione.

Un po’ Victor Hugo un po’ Dickens,  con avvertenza tuttavia, che i patimenti dei bambini di strada, sono raccontati senza  ruffianerie, la storia si concede un happy end coreografico e liberatorio con accompagnamento di  nuove sonorità indiane. Fa capolino Frank Capra. Ma va bene così.

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The Millionaire Un film di Danny Boyle. Con Dev Patel, Anil Kapoor, Freida Pinto, Madhur Mittal, Irfan Khan.

Commedia, durata 120 min. – Gran Bretagna, USA 2008.