Diplomazia al lavoro

Diplomazia al lavoro

Oggi il problema è Hamas. Capisco chi vorrebbe negoziare ma l’Unione europea e Israele giustamente non l’hanno fatto….Dopo cinque minuti dalla fine della tregua Hamas ha ripreso a lanciare razzi contro Israele continuando un’azione francamente sconsiderata……
Se Hamas avesse detto sì
” al cessate il fuoco “Israele si sarebbe già fermata“, ma “la disponibilità di Hamas non c’è stata e per ora non c’è. L’organizzazione terroristica palestinese non è un interlocutore politico e rifiuta tutto quello che la comunità internazionale propone”.

Franco Frattini

Nel momento in cui l’impegno dei negoziatori è teso – come sempre in questi casi – a ricercare, in calce ad un difficile accordo, formule  che non urtino le suscettibilità e non umilino l’orgoglio delle parti in conflitto, sembra impossibile che un ministro degli esteri possa usare espressioni di tale disinvolta parzialità. Eppure Franco Frattini queste parole ha pronunziato in sede di Audizione, all’indomani del bombardamento israeliano della scuola ONU dei profughi – 42 morti da aggiungersi agli altri, oltre 600, dei giorni scorsi,  e manco l’ombra di un terrorista o di una rampa di cosidetto missile in quelle aule – consegnando così il nostro paese al ruolo meschino, defilato e poco dignitoso, sul piano internazionale, di cieco supporter. Nemmeno gli americani, impegnati con Mubarak a scambiare il controllo del valico di Rafah e dei tunnel scavati sottoterra contro lo stop dell’avanzata di terra di Tsahl, osano un simile linguaggio. Le responsabilità hanno un peso differente a seconda dei punti di vista, ma comunque la si pensi, la tregua è obiettivo minimo ed indispensabile, ottenerla importa un lavoro in cui è necessario rimuovere dalla trattativa ogni elemento di partigianeria ad evitare che il dialogo degeneri creando un ulteriore zona di conflittualità. A meno di credere nella bontà  della prova di forza, della lezione da infliggere ai terroristi, analisi spicce e giudizi sommari andrebbero evitati. Umiliare Hamas o peggio, auspicarne lo sterminio significa assottigliare le possibilità  dei moderati di Fatah. Significa gettare le basi per non finirla mai.

Dunque, dimentico oltretutto, di quanto è in gioco su quel palmo di terra, origine di tutti i conflitti con il mondo islamico e incurante delle minacce costituite da Hezbollah o delle centinaia di martiri pronti a intervenire, il problema, secondo Frattini, è Hamas al quale non è nemmeno sufficiente aver vinto le elezioni per essere definito  interlocutore politico. Che acume.

 

Attacco da terra (nel giardino dei limoni)

Attacco da terra (nel giardino dei limoni)

L’anno sarebbe potuto cominciare con un Giardino di limoni in Cisgiordania, luogo di bellezza e ragione d’orgoglio per la proprietaria e coltivatrice palestinese Salma Zidane e con il bel film /apologo che ne racconta le vicissitudini incentrate sulla battaglia legale contro un vicino di casa, appena giunto ma non qualsiasi,  ministro di giustizia israeliano, che nei rami  di quel pezzetto di paradiso, vede solo potenziali e minacciosi ricettacoli di attentatori. E che per ragioni di sicurezza fa avvolgere il giardino in reticolati, impedendo così che le piante di limone vengano curate.

Non propriamente una favola bella, anche se Salma infine la spunta, caro le  sarà costato l’aver ragione, pagando con il senso di solitudine, la mancanza di sostegno  da parte di chi, esponente della comunità islamica, dovrebbe essere naturalmente dalla sua parte e invece coglie l’occasione per  rimproverarle  qualche velo di meno e qualche atteggiamento indipendente di troppo.

Tuttavia un quadro metaforicamente esatto, all’interno del quale arrivano a Salma inviti a desistere da parte del figlio che la vorrebbe con sè a Manhattan, strumentalizzazioni del proprio avvocato, sulla scrivania del quale sventola la bandierina dell’Autorità Palestinese, ma più desideroso di farsi un nome con la causa del giorno – vera peraltro – che di occuparsi dei problemi dell’assistita, ma anche inattesi sostegni da parte di altri cittadini di serie B – la moglie del ministro, anche lei vessata dal consorte, giornaliste locali  etc – perlopiù donne. Anzi solo donne.


Invece l’anno si apre con l’ennesima attesa dell’attacco di terra, con la guerra infinita, con il fallimento delle diplomazie e con l’impraticabilità del compromesso, dunque con il naufragio dell’idea stessa di negoziato. Credo non ci sia altro dato di rilievo, altro punto chiave per un’analisi della situazione mediorientale oggi  che possa prescindere dal fatto che non c’è posto del pianeta in cui ogni terreno di possibile incontro sia così irrimediabilmente devastato.

Di qua e di là, all’interno degli stessi schieramenti, divisioni profonde, fratture insanabili, impediscono alle parti, prive della necessaria compattezza, di trattare. Siamo oramai oltre l’idea pura e semplice dei due popoli che si contendono la stessa terra, mentre si acuisce, disseminando il terreno di moltiplicatori d’odio , lo scontro di culture, religioni e visioni del mondo.

In entrambi i campi, a breve, sono in programma cambi di  vertice, a giorni scade il mandato di Abu Mazen, leader dell’Autorità Palestinese di Ramallah,  contestato da Hamas ( vincitrice delle ultime elezioni)  per presunto collaborazionismo con Israele. Dall’altra la contesa elettorale che vede in corsa  il Kadima della Livni e il Likud di Netanyahu, il partito dei falchi, per la poltrona di primo ministro. A nessuno dei contendenti , in una simile congiuntura e con lo scontro in atto, è concesso dar prova di debolezza.

Non c’è via di scampo se in ciascuno stato, ciascuna fazione deve prevalere sull’altra rassicurando gli elettori sulla propria capacità di essere nel conflitto. Non nella trattativa, avverso la quale lavorano i falchi  Quand’è così, è fatale che una politica di pace sia  umiliata , e che nei reciproci schieramenti, sia destinata a dettare legge, comunque ad essere il trainer delle decisioni, l’ipotesi del conflitto come soluzione unica.

Quasi cinquecento vittime per un ennesimo scontro che, una volta cessato il fuoco, non avrà spostato di un  millimetro la situazione. E non è finita qui. Perchè tale è la desolazione che a voler anche solo immaginare i connotati di una task force di mediazione, non se ne trovano di possibili.

A parte, ovviamente, la speranza nelle capacità del  neo eletto presidente nel paese principale alleato d’Israele. Un altro compito per Obama.

Dunque non passa in sott’ordine anche se non inaugura propriamente i post dell’anno  Il giardino di limoni di Salma, film dell’israeliano – tenere sempre d’occhio il cinema di questo paese – Eran Riklis che ci parla, attraverso l’imprigionamento di un campo, della violenza delle politiche di apartheid, di fanatismo, di machismo e delle disattese risoluzioni ONU. Ma soprattutto in una piccola storia, adottando uno stile, non a caso documentaristico, la strenua caparbia difesa di ciò che si ama.

Il giardino dei limoni è un film di Eran Riklis. Con Hiam Abbass, Doron Tavory, Ali Suliman, Tarik Kopty, Amos Lavi  Drammatico, durata 106 min. – Israele, Germania, Francia 2008. – Teodora Film.

Reset

Reset

Alexis Grecia

Questa idea balzana che qualcosa stia davvero per concludersi e cominci una nuova fase è ovviamente data da una generale esigenza di reset. Consegnando alla posterità un’economia mondiale al collasso, un dato di diseguaglianza sociale ai picchi storici e guerre sempre più brutali combattute su diversi fronti per la gloria di un qualche Impero, oltre che un clima planetario fuori controllo, è facile cedere alla tentazione di  rimuovere il tutto,  magari nell’illusione tutta mitcheliana che domani sia davvero un altro giorno.

Al cospetto del disastro, quel che accade in casa nostra, potrebbe sembrare robetta. Così non è, vuoi perchè di quel disastro siamo parte, vuoi perchè le nostre specifiche condizioni sociali, economiche, culturali  ed istituzionali, particolarmente arretrate, acuiscono gli esiti del terremoto. Noi siamo indietro su quasi tutto. La nostra capacità di recupero è dunque  destinata a risentire di parecchi endemici svantaggi.

Così mentre negli Stati Uniti già da un anno ci si prepara ad affrontare il peggio ponendo a capo del paese, l’incarnazione dell’inversione di tendenza, noi ci dibattiamo tra ricettine e pannicelli caldi, un giorno detassiamo gli straordinari e un giorno proponiamo la settimana corta.

Non c’è di che essere Profeti di Sventura o specularmente Grandi Ottimisti, mestieri redditizi presso piccole e grandi comunità di fedeli inclini alla piaggeria per assoluta mancanza di scopo nella vita, ma egualmente rispettabili ad un unica condizione : che al termine di ogni oscuro presagio, di ogni invito a credere nel Futuro, ciascuno s’impegni a fare la propria parte. Cosa che non avviene quasi mai, sclerotizzati come sono nei rispettivi ruoli, occupati chi a scrutare l’avanzata della merda che ci sommergerà, brandendo al più lo spadone dell’ io l’avevo detto  – autocitazione, link, applausi dall’ormai decimato  pubblico, bravò, bravò, graziè  -  chi a dar fondo a tutto il repertorio di bicchieri mezzi pieni, di rifiuti di Napoli smaterializzati, di uffici pubblici a organico completo, completissimo, tra un po’ scoppiano o di antiestetiche prostitute mandate a lavorare un po’ più in là.

Il pessimismo a buon mercato, quello  senza sofferenza come l’ottimismo modello precotto, quello senza gioia,   sono una rendita di posizione, giustificano l’immobilismo, ne celebrano a scena aperta le virtù. Se tutto è inutile, se nessuno mi rappresenta, se il resto del mondo è incolto, corrotto…ovvero se i problemi si stanno risolvendo, se infine è arrivato chi decide, se siamo un popolo meraviglioso – i superlativi sono d’obbligo – che infine se l’è sempre cavata… a che serve muoversi, agire, partecipare ?

Del resto nella inesistente reattività ovvero nello scarto che c’è tra la scelta accurata di espressioni disperanti o entusiastiche e la reale capacità di scalfire ciò che ci circonda, c’è molto del fallimento di qualsiasi ipotesi di reale contrasto alla merda in avanzata.

Chissà dove vivono costoro e chi sono davvero. Di sicuro in luoghi tranquilli, al riparo da una realtà che se  gli mordesse  davvero  il culo, procurerebbe loro più rabbia e scatti d’orgoglio e meno facili profezie o entusiasmi, che tanto s’è capito, la razza sempre quella è.

La razza di coloro i quali vedono i cambiamenti come il fumo agli occhi o nel migliore dei casi come un mutar di scene e costumi, mai di copione. Cambiare vuol dire fare in modo che niente sia come prima, senza alibi o remore di bambini e acqua sporca, di tradizioni comunque da preservare, di identità o radici alle quali restare abbarbicati. Cambiare è chiudere con il passato.

L’anno finisce con Alexis Grigoropulos, con le proteste del Politecnico di Atene e delle Università italiane. Finisce con l’apprezzamento e il rispetto  per la volontà determinata di questi movimenti di non somigliare ad altri :  ne’ a quelli di Seattle, ne’ alle rivolte degli anni ’60 e, indietro nel tempo, nemmeno a quelli del Barrio Chino di Barcellona degli anni ’30, ne’ a quelle fine ottocento di Montmartre. 

Nessuna parola d’ordine speranzosa, nessuna  soluzione ottimistica. La Crisi e la Paura campeggiano negli slogan, dunque è sospesa anche la speranza in un possibile altro mondo. Derubati del futuro  come da definizione unanime, si comportano di conseguenza. Tuttavia determinati a contare ad esserci, senza cupezze.

Sentirsi responsabili di quel che sta loro capitando, per noi, è il minimo. Cercare di limitare i danni, doveroso. A partire dall’ anno che Alexis non vedrà.

 

Palati fini ( non sparate sul pianista)

Palati fini ( non sparate sul pianista)

Allevi

Ci sono critici musicali celebratissimi, veri conoscitori della materia che considerano Tchaikovsky e Rachmaninov roba da trogloditi. Immagino perchè la  musica di questi due compositori, semplice, anche se solo all’apparenza, risulta  orecchiabile e dunque destinata ad incontrare il favore del grosso pubblico.

Non sono musicista anche se – in virtù di reminescenze ;varie – conosco le note e leggo gli spartiti. Dunque potrei esprimermi forse su di un’esecuzione ma francamente ho sempre pensato che se Luciano Berio a me dice poco, forse il  problema è mio, non di Berio.

La quasi totalità del pubblico affida le proprie scelte musicali alla gradevolezza o meno che un ascolto puramente sensoriale restituisce – che altro sennò? Forse che insegnamo educazione musicale nelle nostre scuole? – Per questo le consonanze sono più in auge delle contemporanee dissonanze, l’irrompere di archi come se piovesse, vende più della spinetta e gli ottoni sparati a mò di contraerea, più dell’arpa birmana. Anche per questo la Patetica va a ruba e i Kindertötenlieder fanno la muffa sugli scaffali. Non solo Berio è negletto ma per l’appunto anche Mahler, Alban Berg e tanti tanti altri. 

Qualcosa di simile vale per il giovane Allevi che in realtà ha quarant’anni ( c’è speranza per tutti) e che di recente ha fatto drizzare i capelli alla nobile schiatta dei Critici, dei Musicisti di Stato, dei giornalisti e dei blogghisti per aver diretto e interpretato al pianoforte musiche proprie (e forse altrui) durante l’annuale concerto di Natale del Senato della Repubblica.

Allevi mi risulta essere uno che vende molto, non posseggo i suoi dischi ma ho ascoltato superficialmente qualche brano utilizzato dalla pubblicità, non è Liszt, mai potrebbe divenire il mio preferito, ma nemmeno mi è  sembrato l’emblema di questo capitombolo agl’inferi del Buon Gusto Nazionale.

Piuttosto per come  son messe le cose, non mi stupisce che la scelta sia caduta su di lui. Quale migliore emblema dell’air du temps,  di un quarantenne che ancora viene annoverato tra i giovani, che vende abbastanza,  è telegenico e suona il piano.. benino per quel che suona : cioè musica commerciale. Qualcuno dice classica? Mi sfuggono i criteri di catalogazione, in questo momento.

Quante storie. Cosa ci si aspettava dal Governo Berlusconi ? Il clavicembalo ben temperato? Ma quello è roba noiosa, non è ottimista, il popolo poi si deprime. Nel concerto di Natale 2008,  è racchiusa esattamente l’idea di cultura di questo governo. E nella risposta scandalizzata, specularmente, la puzzetta sotto al naso di chi a questa Idea si oppone.

Se ne faccia una ragione Uto Ughi e prima ancora di sparare sul pianista, riconsideri l’idea di reindirizzare i sacri furori verso altri obiettivi….facciamo…chessò…il Presidente del Consiglio? Il  Ministro della Cultura ?  Quello che sega i contributi e a cui piacciono tanto le Commissioni Censorie? Quello che Allevi o non Allevi, se ne frega dei Conservatori? Ecco proprio lui. Altrimenti  diventa una questione di gusti, terreno spinoso, perche  se è vero che non sono tutti uguali, cioè tutti sullo stesso livello, indistamente tutti sono degni di rispetto.

Ne’ con Allevi ne’ con Ughi, con la convinzione che uno rappresenti un’Idea, nella migliore delle ipotesi, sballata e ambigua   e nell’altro siano malriposte le nostre speranze di contrastare quell’Idea opponendone un’Altra.

Qui ( tutto il meglio è già qui )

Qui ( tutto il meglio è già qui )

Mia zia ultraottantenne gioca a canasta o a ramino al mercoledì con alcune sue ex compagne di collegio. Ad altre, sparse in varie città,telefona o  scrive vere lettere con busta e francobollo. In queste occasioni apparentemente futili e ripetitive – siamo in pieno zibibbo al lampo che fu – è nascosto il segreto del non perdersi di vista.

Mio padre, per lo stesso motivo,  vede con regolarità e organizza viaggi con gli amici di sempre. E anch’ io, ho cercato nel tempo di preservare le storiche amicizie dalle difficoltà della vita in continua evoluzione : menage pazzesco, trasferimenti, professione totalizzante, figli da crescere, consorti e fidanzati accentratori. La relazione continuativa con un amico storico è un investimento che fa bene alla vita. Non organizzo tavoli da gioco a cadenza fissa – me ne manca il tempo –  ma avere tra i piedi  gente degli antichi giri, mi piace. Succede con gli amici quel che accade con i grandi amori : un cenno d’intesa e ti senti subito a casa. Senza tante storie.

Mentre le rimpatriate con vecchie conoscenze, dopo secoli di allontanamento sanno sempre un po’ di ufficio funebre, di passato che si è lasciato archiviare senza resistere e che forzatamente ritorna. Per cui la possibilità di ritrovare i compagni di studi che mi offre Facebook mi fa venire l’ittero. Tutto il meglio è già qui, come diceva quello, il resto appartenendo all’irrilevanza o allo Sciocchezzaio, l’ho mollato. Vade retro.

Il Manifesto dal suo sito nuovo di pacca, promuove il dibattito sull’utilità della comunicazione politica in rete e in particolare su Facebook. Dai blog in contemporanea si levano voci preoccupate, pare che il nuovo gioco sottragga accessi e commentatori ai siti dei diari personali. Tutti in ansia. Chi per le sorti dell’impegno politico,  chi per quelle della diminuita popolarità dei propri spazi di scrittura .

Ma nell’ipotesi fondata che l’aria che tira richieda articolazione del pensiero e dunque del linguaggio, piuttosto che la rovinosa contrazione di entrambi , approfondimenti piuttosto che spot, esame delle complicanze piuttosto che elogio della semplificazione, il fatto di scambiarsi  short message e  facce, non mi pare interessante ne’ utile a nessuna causa. Anche sul piano personale, il metodo appare decisamente  una limitazione a chi è abituato a mantenere in piedi relazioni funzionali. A meno di avere uno scopo preciso – promuovere il proprio lavoro,  per esempio o altre analoghe iniziative – queste casuali liste cariche di emeriti sconosciuti, alimentano solo l’illusione di esserci e di contare ovvero di avere molti amici, ignorando che le relazioni sono un lavoro e nemmeno di quelli troppo lievi. Averli tra i piedi, come ho già detto mi piace, ma è un privilegio che non mi è piovuto dal cielo.

Lo stesso vale per la comunicazione politica. Obama ha vinto servendosi della Rete ma aveva un progetto, soprattutto si è fatto una scarpinata in lungo e in largo per il suo paese, incontrando persone, gruppi, fondazioni, imprese, raccogliendo molti quattrini che hanno consentito a lui e ai suoi, il prosieguo di quell’impresa. Poi, il senso del suo del lavoro svolto è stato raccontato in Rete, cercando di mettere ad ulteriore profitto moltiplicandolo, il valore di quell’esperienza. Poi.

Il resto, cioè tutto quello che può succedere in questi non luoghi in cui ci viene promessa  comunicazione a buon mercato e socializzazione come se piovesse, ha senso solo se da qui viene trasferito fuori , stabilendo una corrispondenza tra le due dimensioni. Bene fa la sinistra ad essere in cielo, in terra e in ogni luogo vi siano esseri umani con i quali interagire. Conoscere gente nuova come cementare le vecchie amicizie e comunicare non è un problema nella vita. Basta avercela, una vita. E un messaggio. Qualcosa da dire.

 Ma per tornare a noi, i luoghi vanno custoditi, richiedono cura. Annaffiate le piante, rinfrescate le tende, preparato il trattamento per gli ospiti, andrebbero riempiti di contenuti, se i mercoledì di mia zia fossero fatti di solo allestimento, sarebbero finiti da un bel pezzo. E con essi, l’occasione per trovarsi.

Gli accessi vengono meno a fronte di un procedere stanco, nella riproposizione di uno schema o di un personaggio, sempre quello : il Malinconico, l’Ironico, l’Arrabbiato, il Pensoso, l’Amorosa, il Saggio, la Tempesta Ormonale o il Ciclotimico. Fossero messe innanzi a queste pagine elettroniche le Persone e non i Personaggi, ciascuno col proprio bagaglio, la musica cambierebbe e non ci sarebbe bisogno di cambiare piattaforma per rigenerarsi.

La storia dell’interazione in Rete, del resto, è storia di migrazioni – che un po’ sanno anche di fuga –  per cui, esaurito un territorio, invece di intensificare fertilizzanti e semina, in un’opera di riqualificazione costante, ci si trasferisce direttamente in altro luogo per ri-cominciare, ri-seminare, ri-coltivare e presumibilmente prepararsi ad altro trasloco, per questo la trasmigrazione su Facebook che svuota blogopoli, non mi impensierisce più di tanto.

 Qui si pensa di restare, senza inaugurazioni di altre case chè di gestirne due non si ha tempo, voglia e forse predisposizione. Un po’ per la curiosità insopprimibile di vedere come se la sbroglia – ovvero dove vuole andare a parare –  il Malinconico e la Pensosa, cercando nel contempo di seguire i consigli degli economisti alle imprese in tempi di crisi : investire, innovarsi, resistere. Il che oltretutto, obbedisce alla natura di chi scrive. Qui.

Illustrazione di Babi, citazioni a piene mani dall’avvocato Conte