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Mi piace stare sola

Mi piace stare sola

Nello spazio entro i confini stabiliti,  tra  Moro  perchè non  moro  a Morirò d’amore,  si articola  l’esperienza artistica di Giuni Russo. Concetto questo assai bene espresso nel docufilm Giuni Russo. La sua figura, da madre Emanuela della madre di Dio,carmelitana scalza e amica di Giuni. In meno di venti brani scelti dall’intero repertorio (inclusa Un’ estate al mare e Smoke in your your eyes , dunque rispettando anche il versante apparentemente più commerciale ) montati in ordine  acronologico (ma ciascuna interpretazione contiene in sè una piccola cronologia essendo a sua volta, un collage di immagini di diversi concerti), questa pregevole iniziativa curata da Franco Battiato, ci racconta Giuni studiosa, autrice, sperimentatrice, cantante in cima alla hit per una sola stagione, tuttavia mai sottomessa alle regole di mercato, quindi Libera da tutti i lacci che soffocano creatività e talento e impediscono di essere davvero padroni della propria arte . E sola .Come si conviene a chi nella severità esistenziale trova il suo modo, il suo stile.

Giuni Russo la sua figura è un docufilm di Franco Battiato prodotto da Radiofandango

Tough guys don’t dance ( e nemmeno muoiono)

Tough guys don’t dance ( e nemmeno muoiono)

Mailer

Norman Mailer  (come pure  James Baldwin ed altri) rappresenta una specie di Scoperta dell’America almeno per un paio di generazioni di lettori.C’è una vena e una struttura narrativa che Mailer ha mantenuto viva e attiva fino al suo ultimo The Castle in Forest, che allora smentiva due convinzioni pregiudizievoli : uno che l’America fosse solo quello che ci veniva raccontato : il razzismo, il Viet-nam, la durissima repressione dei movimenti di protesta ,l’altra che il Grande Romanzo fosse un fenomeno esclusivamente europeo.L’America  che mi piace  è cominciata, assai prima della musica,della poesia e delle Black Panthers,proprio da lui. Da Il nudo e il morto, dalla Costa dei barbari  dal Parco dei Cervi e dalla biografia di Marilyn Monroe. Norman Mailer è di quegli scrittori che regalano il piacere del leggere, quel senso di  soddisfazione che si prova quando ci si siede e si apre il libro e in cui è nascosto un impercettibile brivido sulla schiena.

Ragazza Triste ( épater les bourgeois)

Ragazza Triste ( épater les bourgeois)

StrambelliAll’epoca non si sarebbe mai sognata di destare scalpore con storie di compiti svolti a casa di Peggy Guggenheim o di frequentazioni illustri nel  salotto di Venezia, rifriggendo le solite cose:  l’affabilità di Roncalli, i silenzi di Pound ,il dialetto di Baseggio. Men che meno le sarebbe passato per la testa  di elogiare l’educazione severa che allora s’impartiva alle ragazze di buona famiglia – pianoforte, danza e bonnes manières – tutta roba che, se aveva un pregio, era quello di spingerne più d’una  a ribellioni epocali ,definitive e senza recuperi. Quanto  ha avuto cura di nascondere, nel corso del tempo, oggi mostra con orgoglio e un tantinello d’enfasi ed essendo cambiato radicalmente, il concetto di trasgressione, racconta con civetteria l’annedottica sull’avarizia dei multimiliardari made in USA (anche Paul Getty aveva un telefono a gettone in casa, embè?). Strambelli, in tour per promuovere i suoi memoires scritti in tandem con tale Cotto, offre di sè l’immagine un po’ trita di quella che passano gli anni, i governi e i cataclismi , rimane sempre uguale a se stessa.Una che – imboniscono i presentatori – ha cantato Brel e Léo Ferré (un paio di brani , i più orecchiabili),che non ha voluto figli perchè ciò contraddice l’essere artisti (e Picasso? E Chaplin?) ha fatto la navigatrice solitaria (con Soldini ) e tre giorni a Rebibbia per droga (modica quantità,uso personale,robetta leggera).Insomma uno stereotipo bello e buono ma triste, un ricordo lontano di quel che fu : una cantante piacevolmente commerciale con uno stile tutto suo.Piuttosto che esibire il mascherone biascicando di età biologica , non sarebbe stato meglio un Patty Pravo Platinum e via..?

…ciò che in ognun,era il mondo

…ciò che in ognun,era il mondo

Solo l’amare solo il conoscere
conta, non l’aver amato,
non l’aver conosciuto. Dà angoscia
il vivere di un consumato
amore. L’anima non cresce più.
Ecco nel calore incantato
della notte che piena quaggiù
tra le curve del fiume e le sopite
visioni della città sparsa di luci,
scheggia ancora di mille vite,
disamore, mistero, e miseria
dei sensi, mi rendono nemiche
le forme del mondo, che fino a ieri
erano la mia ragione d’esistere.
Annoiato, stanco, rincaso, per neri
piazzali di mercati, tristi
strade intorno al porto fluviale,
tra le baracche e i magazzini misti
agli ultimi prati. Lì mortale
è il silenzio: ma giù, a viale Marconi,
alla stazione di Trastevere, appare
ancora dolce la sera. Ai loro rioni,
alle loro borgate, tornano su motori
leggeri – in tuta o coi calzoni
di lavoro, ma spinti da un festivo ardore
i giovani, coi compagni sui sellini,
ridenti, sporchi. Gli ultimi avventori
chiacchierano in piedi con voci
alte nella notte, qua e là, ai tavolini
dei locali ancora lucenti e semivuoti.
Stupenda e misera città,
che m’hai insegnato ciò che allegri e feroci
gli uomini imparano bambini,
le piccole cose in cui la grandezza
della vita in pace si scopre, come
andare duri e pronti nella ressa
delle strade, rivolgersi a un altro uomo
senza tremare, non vergognarsi
di guardare il denaro contato
con pigre dita dal fattorino
che suda contro le facciate in corsa
in un colore eterno d’estate;
a difendermi, a offendere, ad avere
il mondo davanti agli occhi e non
soltanto in cuore, a capire
che pochi conoscono le passioni
in cui io sono vissuto:
che non mi sono fraterni, eppure sono
fratelli proprio nell’avere
passioni di uomini
che allegri, inconsci, interi
vivono di esperienze
ignote a me. Stupenda e misera
città che mi hai fatto fare
esperienza di quella vita
ignota: fino a farmi scoprire
ciò che, in ognun, era il mondo.
Una luna morente nel silenzio,
che di lei vive, sbianca tra violenti
ardori, che miseramente sulla terra
muta di vita, coi bei viali, le vecchie
viuzze, senza dar luce abbagliano
e, in tutto il mondo, le riflette
lassù, un po’ di calda nuvolaglia.
È la notte più bella dell’estate.
Trastevere, in un odore di paglia
di vecchie stalle, di svuotate
osterie, non dorme ancora.
Gli angoli bui, le pareti placide
risuonano d’incantati rumori.
Uomini e ragazzi se ne tornano a casa
– sotto festoni di luci ormai sole –
verso i loro vicoli, che intasano
buio e immondizia, con quel passo blando
da cui più l’anima era invasa
quando veramente amavo, quando
veramente volevo capire.
E, come allora, scompaiono cantando.

Pierpaolo Pasolini da Il Pianto della Scavatrice 1956

Se qualcuno ti fa morto (un motivo c’è)

Se qualcuno ti fa morto (un motivo c’è)

ernesto

E’ il 1996 all’ospedale militare di Vallegrande in Bolivia, un uomo che si è sottoposto ad un intervento chirurgico, nel delirio dell’anestesia grida ripetutamente :  ” Io  so dov’è sepolto il Che , l’ho seppellito io ! “. Tornato in sè , non sa spiegarsi quel cedimento :i particolari e il luogo della sepoltura di Ernesto Guevara sono coperti da segreto militare e lui ,che quella  fossa ha scavato davvero, per trent’anni ha taciuto ogni cosa, fedele alla consegna, persino con sua moglie. Comincia qui  l’ultima avventura di Ernesto Rafael Guevara De la Serna, dal complicato  ritrovamento delle sue spoglie, da un piccolo militare caparbio, unico sopravvissuto all’impresa della tumulazione frettolosa, in una notte di settembre del 1967, che pretenderà l’anonimato e che  continuerà a opporre sistematici dinieghi  a proposte allettanti, fino a quando verso la metà del 1997, lo Stato Maggiore dell’esercito non rimuoverà il segreto, ingiungendogli di collaborare con i cubani per il ritrovamento dei resti di Guevara.Ma soprattutto che continuerà ad avere con la memoria del Che notevole distacco e dell’uomo,del combattente una scarsa considerazione.  Gli scavi durarono un tempo lunghissimo per problemi di conflitti burocratici,finchè come raccontano le cronache, un giorno le scavatrici furono fermate e gli operai allontanati dall’area : finalmente le spoglie erano riemerse dalla terra rivoltata. Il piccolo militare caparbio commenterà: Se era venuto qui per uccidere anche lui doveva morire. Per me non fu un eroe .Credo sia una delle poche persone che non abbia subito il fascino, in negativo o in positivo del Che. Da anni infatti la querida presencia di Ernesto Guevara, nel classico ritratto di Alberto Korda  i cui negativi erano stati consegnati dal fotografo  a Giangiacomo Feltrinelli, è su ogni maglietta,murales,striscione,bandiera,adesivo, tatoo: un’icona pop, un eroe talmente leggendario da essere condiviso con l’estrema destra che gli ha dedicato  canzoni e ritratti affiancati a croci celtiche o con Jovanotti che invece lo immagina a braccetto con Madre Teresa. Praticamente un esproprio . O magari no. Quando morì, la notizia non fu certo di quelle da prima pagina,qualcuno in casa mi spiegò chi fosse stato,avevo pochi anni, il Che è rimasto legato all’annedottica di quel pomeriggio : il suo ingresso a Montecitorio nel 1964 , in tenuta militare e con una grossa Mauser infilata nella cintura ( e relative contumelie con i carabinieri di guardia a Palazzo) ospite di Togliatti ,le perplessità di alcuni esponenti del PCI,il fatto che fosse stato abbandonato al proprio destino,che avesse perso a Valleverde, giorni preziosi nell’inutile attesa della colonna guidata dalla guerrigliera Tania, morta insieme al resto del contingente circa dieci giorni prima e come fosse stato tradito e venduto dai contadini del luogo .Su tutto poi l’ombra del sospetto : che Fidel Castro lo avesse in qualche modo trascurato perchè voleva che quella Rivoluzione fosse tutta sua.Non ho mai indossato una maglietta con l’effige del Che e non ne ho mai esposto il ritratto, sebbene non mi dia noia alcuna, la commercializzazione del rivoluzionario di professione,comunque credo che chi esibisca questo simbolo, un messaggio seppur confuso di riscatto,di eguaglianza di purezza, lo voglia trasmettere.Ed è un messaggio che mi sento di rispettare.Di Ernesto Rafael Guevara De la Serna amo la pulizia , l’intransigenza e la gentilezza e quel Pensiero di Giustizia e Solidarietà che è sì Completezza, ma che reca con se un’idea ineluttabile di fallimento.Non ho mai capito quanto egli stesso  ne fosse consapevole.Guevara è sepolto a Santa Clara de Cuba , in un brutto, celebrativo, retorico, commoventissimo, monumento funebre. “CHE “ lingua Mapuche vuol dire Persona, Uomo.

Se qualcuno ti fa morto è una canzone di Ivan Della Mea, la meno retorica e trionfale del repertorio (vastissimo ) dedicato ad Ernesto “Che”; Guevara.Da segnalare ancora Nada Màs di Atahualpa Yupamqui, Zamba del Che  di Victor Jara ed infine quella più segretamente dedicata a lui Soy loco por ti America di Gaetano Veloso (leggere tra le righe)