Silvia non è morta è ritornata dal canal

Silvia non è morta è ritornata dal canal


…e non si sa se questo sia un bene o un male, essendosi tirata dietro, nel suo risorgimento dalle acque, anche il consorte, incapace oramai di presenziare a qualsiasi evento senza illustrare i capisaldi della sua celebrata Mistica : Uno : (trapianti d’organi a parte), molte vite umane potrebbero essere salvate. Se ci fosse più sorveglianza da parte dei datori di lavoro e meno pigrizia negli operai.

Due : siamo vittime della degenerazione di governo e opposizione.

Tre : No al parcheggio sotterraneo del Pincio. Meglio il mare di lamiera che in superficie valorizza i monumenti, allieta l’esistenza dei cittadini romani, residenti e non, impedendo all’area di essere infine pedonalizzata ( io a Celentano farei fare una promenade  mentre spinge un passeggino gemellare tra marciapiedi microscopici, macchine parcheggiate e vicoli ..so beautiful ).

Nonostante tutto ciò, siamo lieti che Yuppi du, non un capolavoro della cinematografia, ma egualmente interessante nel panorama scarno, se non inesistente, dei musical italiani, sia stato restaurato e se ne sia realizzato un dvd da porre in commercio per la gioia degli estimatori . Ognuno pensa al proprio tornaconto è un altro  caposaldo della Mistica di cui sopra. E per una volta almeno, siamo d’accordo.

Ma veniamo al dunque :

Sull’ Avenida Paulista a San Paolo del Brasile, due amici s’incontrano, tentano una conversazione che però è continuamente interrotta dai trilli dei rispettivi  telefonini. Così decidono che l’unico modo per avere uno scambio reale è telefonarsi a loro volta. Parleranno di etica, di vita, di amicizia, incuranti del traffico e del via vai di persone che li circonda. Comincia così Venezia 2008, con questo corto emblematicamente titolato Do visivel ao invisivel , del centenario maestro ( ma che spirito, che tocco  e che verve..) Manoel De Oliveira. Metafora della attuale difficoltà a comunicare se non attraverso mezzi  ma anche la sintesi  di quel che cerchiamo nel cinema :  il racconto di ciò che ( ancora) non si vede.

 

Elaborato il tragitto di questa Mostra e, per sovrapprezzo, attraversato da polemiche spesso ridicolmente gonfiate da una copertura mediatica che, in quanto spropositata, bada sempre meno ai contenuti, offrendo più rilievo alla marginalità.

Marginalità data non solo dai muri del pianto di Ippoliti o dagli abbigliamenti informali di certi critici o dal menù servito per colazione a Brad Pitt ma anche dalle dispute blockbuster – cinefilia ( Più Risi meno Antonioni si è dovuto leggere in un editoriale di cui francamente non si sentiva la necessità) ovvero dalla imperdibile polemica se sia o meno servita la contestazione

Come se tenersi un regolamento di epoca fascista che consentiva ai governi esteri, tramite le loro ambasciate, di avere pesante voce in capitolo ( vedi alla voce censura) nella selezione internazionale, potesse giovare all’Arte.

Tuttavia – e questo è vero – le presenze sono calate, colpa della crisi economica ( di cui poco si  parla ) più che del programma definito (a torto ) anemico e del fatto che se Venezia è una città costosa per le Major hollywoodiane, come pure precisato da Variety in apposito articolo, figuriamoci per i ragazzini con lo zaino in spalla e i di loro parenti.

Ciò detto, Müller, a mio sommesso parere,  ha allestito una mostra significativa dell’attuale offerta cinematografica di qualità nel pianeta, compiendo slalom tra i diktat di Toronto, lo sciopero degli sceneggiatori che ha ovviamente avuto ricadute sui tempi di lavorazione e consegna , la censura cinese che sdogana solo film in cui tutto va bene e chissà quale altra diavoleria o capriccio del settore.

E’ giusto che una mostra sia la più variegata – o schizofrenica, fa lo stesso –  internazionale, eclettica, sperimentale,  possibile, che offra una panoramica sui generi, senza ridicole –  in epoca di ibridazione, poi.. – pretese gerarchiche,  che offra al pubblico la possibilità dell’incontro –  che diventa sempre più scontro – con la realtà, con il lirismo, con l’immaginario. Sotto questo aspetto  il talento esplorativo – nonostante la riconferma che avrebbe suggerito in chiunque, un minimo di surplace – della catena di comando Müller and co ha dato i suoi risultati.


Sognando un’altra Cannes, la Mostra ha schierato in concorso ben quattro film italiani.  Scelta giustificata date le affermazioni primaverili da mettere a profitto che però non ha sortito l’effetto sperato, ne’ si può considerare la coppa Volpi a Silvio Orlando un risultato soddisfacente. 

L’impeccabile,  quanto a gusti, Wim Wenders, lo ha pur spiegato : peccato che il regolamento impedisca di premiare  il miglior attore se il film in cui recita è stato già insignitondel Leone d’oro.

Come dire : avremmo premiato più volentieri Rourke –  notevolissimo peraltro nell’ interpretazione del wrestler  Randy “The Ram” Robinson.

Non che i nostri film fossero  brutti , intendiamoci, ma le grandi aspettative della vigilia e soprattutto il confronto – in alcuni casi umiliante – con la cinematografia di altri paesi,  hanno orientato le scelte dei giurati su opere di differente spessore.

Poco male. Ne’ per questo sembra giustificata la recita dei requiem – dopo l’alleluja di Cannes sarebbe in ogni caso troppo tempestiva – già avviata dai giornali in salvezza dell’anima del defunto cinema italiano.

In definitiva : Opzetek ha sperimentato ( ben venga, a prescindere) un differente registro rispetto al consueto e anche se il suo film  ha un che di incompiuto ( bravi gli attori, toccante la storia ma..) è già  a Toronto e sarà al Moma di New York in autunno con una retrospettiva.

Corsicato è tornato tra noi con un film innovativo, vivace, che riesce finanche ad alleggerire il gravoso testo di Von Kleist già trasposto da Rohmer anni fa,  e anche se il richiamo ad Almodovar è pura invenzione ( ah la critica, oramai è diventata un coretto ben intonato ) ha messo in circolazione un’opera dignitosa e di discreta qualità.

E’ possibile dunque che il pubblico riservi  a questi film un trattamento differente, pareggiando così i conti con il giudizio non sempre generoso degli addetti.


Ma il punto non è questo, la difficoltà del nostro cinema, probabilmente  risiede nella cifra narrativa, troppo chiusa in ambiti angusti, di coppia, familiari, privati, troppo incentrata sulla psicologia dei personaggi, laddove il massimo della contestualizzazione è dato da una lei che lavora in un call center.

Anche Jerichow di Christian Petzold è la storia di un triangolo classico, anche Nuit de chien di Werner Schroeter, ruota su di un ossessione amorosa, anche Rachel getting married di Demme  racconta del ritorno a casa di una problem child la cui presenza mette in moto nella sua famiglia, dinamiche infami .

 

Ma intorno ad ognuna di queste storie si muovono  universi interi dei quali la narrazione puntualmente si appropria e che ci restituisce, non meno indispensabili delle singole vicende

Sono lì. Non vengono lasciati fuori della porta di casa. Persino Calopresti ci ha raccontato di aver costruito il suo documentario sulla Thyssen ( ahimè brutto ) sul dolore, un sentimento privato che per diventare collettivo e quindi motore di cambiamento, abbisogna di un’ impalcatura robusta : la presa di coscienza.

Ma quanto del necessario senso civile viene sottratto allo scopo principale : informare allineando i fatti. Che, soprattutto in questo caso, sono un cazzotto nello stomaco e annichiliscono assai più di qualunque altro racconto. Torneremo a riparlarne.

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8 pensieri riguardo “Silvia non è morta è ritornata dal canal

  1. Bentornata!!

    Insomma, anche quest’ anno la tua “avventura” si è consumata.

    Penso sia davvero una bella esperienza, per una appassionata come te e si capisce, leggendoti! ;-)

    Io me li vedrò su sky, fra qualche tempo, quelli che avranno l’ onore di passare…

    Anche Alice, fra uno sfratto e una partenza per l’ Argentina è riuscita a impossessarsi anche quest’ anno di qualche sconosciuto documentario della sezione Autori….In particolare ha tradotto i sottotitoli ( o il doppiaggio, non saprei…o tutti e due) di :RYSA (a detta sua un ” divertentissimo film polacco”), Broken lines e il documentario “BAJO EL SIGNO DE LAS SOMBRAS”.

    Ma penso fossero opere sconosciute ai più!! ;-PPP

  2. Beh aspetta a parlare, ricorda sempre l’irresistibile ascesa del doc su Mumia : Il cinema argentino è in grande spolvero, Broken è stato uno dei pochi film inglesi ( mi sa l’unico) di tutta la Mostra e Ryso è un altro film sui vecchietti ( c’è ancora speranza!) in effetti assai gradevole.

    Del resto questo è stato l’anno del cinema indipendente anche per il concorso.Non ti so dire cosa vedremo …il film premiato ha avuto un distributore solo “dopo” il Leone e molti sono ancora senza. Un peccato, nelle rassegne a latere c’erano gioielli.

    Comunque adesso che ti si è liberata qualche mezz’ora al giorno, l’abitudine del cinema “core a core” col marito, potresti ripristinarla.Così se vedi le cose per tempo puoi consigliare le figlie (oramai)cinematografare.

    Passero per gli scaffali a suonare la carica! Stay all’erta ( più che tuned)

  3. ne ho visionati ben tre. Il pranzo di ferragosto, Il seme della discordia e Il giorno perfetto.

    E noto che la critica ha già fatto a pezzi gli ultimi due.

    Non sono riuscita a vedere La terra degli uomini rossi, che la critica ha apprezzato, ma che il pubblico ha disertato, come da copione.

    Dopo la prima giornata di proiezione, dalla sala 1 è stato spostato alla sala 2 e amen.

  4. Se la critica servisse a qualcosa Neri Parenti non sarebbe campione d’incassi mentre gli altri autori arrancano agli ultimi posti della graduatoria.

    Questo vale non solo per i film.Il fatto è che consumato un fenomeno ( l’alleluja di Cannes ), l’informazione ne deve prevedibilmente consumare un altro : il requiem. E anche questo non vale solo per i film.Vedi bene che dopo aver celebrato il metodo inglese nella gestione dell’ordine pubblico – come se si potessero esportare i ” metodi ” e gli ordinamenti – oggi si passa allo stigma delle camere di sicurezza sotto gli stadi.Che del metodo inglese sono parte.Graaaande è la confusione sotto il cielo.

    I film italiani di Venezia – tranne Avati – sono dignitosi ma non da concorso internazionale : ecco tutto.

    Di Bechis che ha fatto un bel film – non eccelso – dirò con calma. Spero solo che il film franco- algerino e quello etiope,si possano vedere qui.

  5. che vuol dire “tranne Avati”? Che non è dignitoso?

    No, perchè qui è arrivato oggi e magari volevo vederlo.

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