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Categoria: Americana

Come on Irene

Come on Irene

Poiché quanto a  retorica della catastrofe , Hollywood aveva già mostrato il possibile –  non escluse navi russe alla rada della New York Public Library,  lato Quarantaduesima strada, statue della libertà  a zonzo  per la Quinta   o scenari di nubi dense a minacciare simboli e monumenti, –  molti notiziari  hanno ritenuto dover precisare che le immagini trasmesse non provenivano dagli Studios. Non si trattava di un film, insomma.



Poi,  immancabile,  quantunque –  che peccato –  senza avvertenze sovrimpresse,  è arrivata un’altra rappresentazione  classica  dell’ Attesa del Peggio, quella con il jogging in the rain, la  partitella  a hockey o calcetto  in Times Square e i surfisti  di Coney Island in significativa  – quanto vana – attesa dell’Onda Perfetta .

Niente di paragonabile, beninteso,  alla  poliziotta di colore, invariabilmente sovrappeso che sullo sfondo  dell’Hudson in piena, si definisce sopravvissuta all’11 settembre, pertanto non più disponibile ad impressionarsi. Figuriamoci per  un po’ d’acqua.


Se non ci fosse del vero (e del buono) in questo  modo  un po’ guascone e molto anglosassone di sfidare le avversità negando al nemico di turno qualunque chanche, tantomeno quella di modificare le abitudini più insignificanti, dopo l’indigestione di immagini e filmati, si potrebbe  concludere con un : aridatece the Green Berets.I soliti americani.


Invece più passa il tempo e più quello scrivere con la bomboletta Come on Irene sulle assi  inchiodate alle finestre, mi sembra l’approccio più logico ad affrontare il disastro. Ogni paragone con l’eterna lamentela, lo straccio delle vesti e l’immobilismo in altri luoghi della terra, è superfluo.

( foto Reuters )


Aye!

Aye!

L’anno si chiude con il novantaduenne senatore democratico della West Virginia Robert Byrd. Qui sopra lo vediamo all’opera, l’immagine è di qualche anno fa. Prima di Natale, esattamente nella notte tra il 21 e il 22 dicembre, nonostante fosse molto malato, è stato condotto al Congresso in carrozzella a pronunziare  un voto indispensabile per battere l’ostruzionismo repubblicano e  riportare la legge sulla Sanità alla Camera per l’approvazione.
Con buona pace  dell’avversario politico che,  nella persona di Tom Coburne, senatore dell’ Oklaoma, gli aveva pubblicamente  augurato di morire quella stessa notte, quand’è arrivato il suo turno, Mr Byrd ha alzato la mano in segno di vittoria esprimendo, forte e chiaro, il suo assenso :  Aye ! Ovvero :  Si!

Se oggi  il suo paese si trova alle soglie di un passaggio epocale, lo deve anche a lui, al suo entusiasmo e al suo spirito di servizio.
Robert Carlyle Byrd, col suo curriculum ricco e importante, sebbene  non privo di errori dei quali  ha dovuto dolorosamente fare ammenda, mi fa pensare a quante energie si sono spese nel corso degli ultimi cinquant’anni nel tentativo di  migliorare il nostro paese e allo sperpero in termini di entusiasmo e volontà di cambiamento in cui si è risolto tutto quell’intenso lavorìo.

Ma il tempo che stiamo perdendo – e che probabilmente ancora perderemo –  al palo di un eterno che fare o di sfibranti diatribe intestine, difficilmente potrà essere recuperato. Poiché come si può vedere anche in America, dopo una fase involutiva, nemmeno la volontà di cambiamento espressa con nettezza dal popolo attraverso un voto a dir poco rivoluzionario, riesce a sostenere una Riforma che è stata l’asse portante della Campagna dei democratici ma che , al dunque, passata di mediazione in negoziazione, molto ha perduto del suo spirito originario. Non è perfetta ma può migliorare, ha concluso Obama. Come dire : intanto incassiamo questa, mentre ci rimettiamo in marcia. Quasi li invidio. Per avere raggiunto un obiettivo e per avere uno scopo preciso da perseguire.

Alla fine, non rimane che augurare a noi stessi, anno o non anno nuovo, di riprendere  al più presto il cammino.

 

It’s ok, we’re Americans, we’re here to help you!

It’s ok, we’re Americans, we’re here to help you!


A chi sostiene che la riforma sanitaria costa troppo, Obama – destinatario, in questi giorni, di precoci e, manco a dirlo, iettatori de profundis, per via di due staterelli in cui i democrats hanno preso la tranvata – abitualmente risponde : mai come una guerra.

Un metodo meno dispendioso delle trovate del Pentagono, vedi bestie di Kandahar e altre simili miliardarie diavolerie, tuttavia ci sarebbe. D’acchitto può sembrare più strampalato di una comune teoria del complotto – altra specialità made in USA – ma Jon Ronson autore, mai smentito,  del libro Capre di Guerra che ha ispirato il film assicura che nell’esercito degli Stati Uniti c’è  stata, probabilmente c’è e ci sarà, apposita sezione per la messa a punto di tecniche di potenziamento delle capacità di leggere nel pensiero, attraversare i muri da parte a parte, uccidere gli animali con lo sguardo e via dicendo .

Attività  paranormali dunque in luogo del più classico percorso di guerra, con l’aggiunta di quel tanto di venatura sciamanica da indurre qualche perplessità, ma  solo per un attimo. Poiché tutto è meglio  della tortura e dell’uranio impoverito, vada pure per la corrente di pensiero militar-castanediana. Magari funziona come diversivo.

 

Nel film, il giornalista McGregor, in vena di sensazionalismi da fronte bellico – siamo in Iraq – inciampa in Lynn Cassady, un militare che rivela essere del New Earth Army Usa, un corpo speciale istituito dopo la fine della guerra in Vietnam per la sperimentazione di nuove tecniche di combattimento.

 La ;base irachena di questo corpo è  un segretissimo campo pieno di capre mute, prigionieri in tenuta arancione e soldati strafatti, guidati da un ex hippy che li  addestra, nel più puro stile  New Age, a scambiarsi fiori, a pregare il Sole e a vincere la guerra con baci e tenerezze. Trattasi di individui, in grado di diradare le nuvole col colpo d’occhio e di piegare le forchette con la forza del pensiero ma soprattuttodi ridurre in cenere, qualsiasi forma di militarismo, disciplina, gerarchia, machismo. Quando gli americani sono in guerra tutto può succedere sembrano recitare il sopra, il di lato, e il sottotesto.

 

Ben congegnato il gioco dei flashback e brillante la sceneggiatura . Cosa c’entrino però  le capre e che fine faranno, lo si saprà vedendo questa corrosiva – una gag via l’altra –  commedia antibellica, perfettamente diretta da Grant Heslov coproduttore insieme a Clooney, per la di loro ( e d’altri amici)  Smokehouse, impresa friccicarella ( lunga vita!) che prende il nome dalla tavola calda vicina alla Warner Bros, meta abituale di Clooney ai tempi di ER.

E a proposito di Clooney che abbandonate le facce e faccette delle conferenze stampa e le risposte spiritose a certe;grossolanità di alcuni intervistatori, diventa un attore al servizio delle storie che racconta, pieno di talento, sensibilità e sfumature – qui fa un gioco d’occhi memorabile, o di Jeff Bridges – il grande Lebowski – perfetto nella parte dello Jedi – il saccheggio di  Guerre Stellari è poi accuratamente spiegato in sceneggiatura – e degli altri, da Kevin Spacey a Ewan McGregor – tutti compenetrati nel ruolo di soldati,  pronti a salvare il mondo attraverso questa sorta di guerra telepatica, strafalciona e un po’ sui generis….

L’uomo che fissa le capre è un film di Grant Heslov del 2009, con Ewan McGregor, George Clooney, Kevin Spacey, Robert Patrick, Jeff Bridges, Stephen Root, Stephen Lang, Glenn Morshower, Rebecca Mader, Nick Offerman. Prodotto in Gran Bretagna, USA. Durata: 93 minuti. Distribuito in Italia da Medusa

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Hard work

Hard work

 

Togliamoci subito il pensiero : Lui balla come un orso ubriaco e lei con quella redingote canarino un po’ saccocciona se la batte in sobrietà solo con il cappello di Aretha Franklin. Sull’abito bianco con applicazioni bomboniera indossato nelle feste dell’insediamento , invece stendiamo un vel pietoso.

Ovvero : e chi se ne frega. Ci sarebbe mancato altro che – protocollo a parte – uno che sta per annunciare al Paese e al mondo, di voler ricondurre parte della produzione in USA, esibisse una moglie in abiti francesi o italiani.

Evasa la pratica “troviamo un difetto ad Obama e alla sua famiglia”, possiamo compiacerci di pensarla, per  una volta almeno, come i tre quarti della stampa planetaria : il discorso è stato, per la parte programmatica, ineccepibile. Chi cercava elementi di discontinuità con l’amministrazione precedente, non ha durato fatica a trovarne in un differente modo di concepire il tema della sicurezza, nelle intenzioni dialoganti con il mondo islamico, in quel porre l’accento sull’uguaglianza come origine di civiltà e di progresso.

Saltati a piè pari i  passaggi retorici – che sono come la redingote sciovinista : inevitabili –  la richiesta nemmeno troppo insistente, dell’intervento divino – ma quella è una nazione che il potere temporale non sa nemmeno cosa sia e  dunque se lo può permettere – si può dire che Obama abbia tirato le fila dei temi trattati nella lunga campagna elettorale.

Tutto qui ? Si domanda l’unico Editoriale italiano in controtendenza. Certo sono mancate le barzellette e le battute un po’ grossier, allusioni e ammiccamenti nemmeno l’ombra. Parterre di belle donne, non pervenuto. E pure nella cosidetta squadra, solo persone d’esperienza e comprovata capacità. Manco una star. Tutto qui?

Tutto qui  : in quanto detto e nei provvedimenti già assunti, e in quell’ hard work ( il cospicuo versante calvinista di colei che qui scrive, ha tanto apprezzato). Un duro lavoro ci attende.

E qui non si può far a meno di tornare con la mente agli sciampagnoni nostrani, quelli che un paio di punti di Pil in meno o in più…e fa lo stesso, quelli che è Natale!! …e consumate, mi raccomando e infine quelli che ce la faremo anche se, a tutt’oggi,  non si è capito bene come.

Obama senza doppiopetto Caraceni a tutte le ore, senza sorriso a mille denti stampato perennemente sulla faccia, senza trucco e senza inganno (e con una cravatta a fiocco per la sera, da passare per le armi chi gliel’ha annodata), impartisce lezioni di stile. Stile in Politica s’intende. Il resto delle considerazioni dal tutto qui? in poi,  se non fossero gravi, sarebbero fuffa. Anzi noia.

 

Buon Giorno, America

Buon Giorno, America

 

Ieri una sedicente analista politica, per di più eletta nelle file del PDL, ha dichiarato pubblicamente che Obama su Guantanamo avrebbe seguito i consigli dei predecessori repubblicani che, nel passaggio delle consegne, gli avevano suggerito di ” guardarsi le carte” prima di procedere alla chiusura ( io auspicherei demolizione con spargimento di sale sulle macerie) dell’orrendo luogo di detenzione e tortura.

Grande dritta del personale politico repubblicano e grandissimo acume dell’analista di cui all’oggetto. Ma tanto per dire come da destra e da sinistra si tenda a buttare acqua sul fuoco del sacrosanto diritto all’entusiasmo per un risultato politico che, come lo giri lo giri, epocale lo è davvero. E tale dovrebbe essere per ognuno, indipendentemente dal credo politico.

Spoil-sport, killjoy, wet blanket, party-pooper sono tutte espressioni del vocabolario inglese che traducono l’italiano guastafeste. Pessima inclinazione dell’animo che peraltro in psichiatria porta un nome terribile e imbevuto di oscuri presagi.

Da domani sarà doveroso ricordare a Barack Hussein Obama, di Guantanamo, della Palestina, dell’Iraq, dell’Afghanistan …ma oggi lasciateci essere felici. Perchè il nuovo inquilino della Casa Bianca, costruita dagli schiavi, vi entra da Comandante in Capo. Proprio lui, discendente di schiavi. Un sogno si avvera.

Di tanto in tanto il cammino dell’Umanittà sembra segnare il passo, in altri casi arrestarsi, in altri ancora tornare indietro. Quando però si tratta di  balzi in avanti, bisogna gioire. Il sale su Guantanamo è un’inevitabile tappa di quel cammino. Che la fortuna assista Barack Hussein Obama. E noi tutti.