Change we need
Certo la questione razziale, il tema più menzionato insieme alle complicazioni della macchina elettorale, in quest’ultimo tratto che separa Barack Obama dal risultato definitivo, esiste. Tuttavia le previsioni hanno rivelato esserci negli Stati Uniti, non solo un gran numero di americani bianchi pronti a sostenere un uomo di colore a guida della Casa Bianca, ma che la maggior parte degli americani di origine latina o asiatica voterà per lui – per non parlare dei cittadini che appartengono oramai almeno a due razze – scongiurando così il rischio di un’ulteriore dinamica legata al colore della pelle.
La politica dell’identità razziale nata negli anni novanta sullo stigma del politicamente corretto, cioè di quella oscenità autoassolutoria che nelle sue forme degenerative autorizzava chiunque ad evitare di fare i conti con i propri istinti peggiori, ha le ore contate. E con essa muoiono anche le istanze neocon, le guerre sante, e la paura delle invasioni barbariche. Ne resteranno retaggi, cascami, ma non condizioneranno più le scelte politiche.
Nemmeno nell’ipotesi disperata che vincesse McCain, si prefigurerebbe un ritorno al passato. Poichè sulla presa di distanza di quel passato lo stesso candidato repubblicano ha impostato la propria campagna: Io non sono Bush.
Il declino del movimento conservatore americano è iscritto nei mutamenti demografici e razziali, nel fallimento di un intero sistema di regolazione economica e sociale. Un combinato di disparati conservatorismi animati da principi quali l’anticomunismo, i forti investimenti militari, la diffidenza nei confronti dello Stato, la reazione ai movimenti di liberazione degli anni sessanta e più di recente la paura del terrorismo, crolla sotto i colpi del fallimento in Iraq o del meltdown di Wall Street ovvero nel fatto che nonostante la nomina alla Corte Suprema dei conservatori Alito e Roberts non si sia riusciti a riconsiderare la storica sentenza Roe vs Wade e l’intera legislazione sull’aborto che ne scaturì. Tutto questo mentre le Corti dei singoli stati dal Massachussetts al Connecticut alla California, continuano a regolarizzare i matrimoni gay, oramai dato di fatto acquisito in vaste zone del paese.
Tramonta l’epoca inaugurata da Ronald Reagan e da Margaret Thatcher, i blue collar sottratti vent’anni fa ai democratici dal mix spavaldo ed irridente di ottimismo capitalistico e senso di rivalsa culturale nei confronti delle elite liberal, sono sempre più poveri e delusi. Politiche modellate per arricchire i privilegiati non possono essere destinate ai vari Joe the Plumber.
I conservatori non sembrano più in grado di riflettere il paese che cambia.
Di qui ai prossimi giorni sapremo quali siano stati gli elementi deteminanti di una scelta ma comunque vadano le cose, la defezione di Colin Powell resterà per sempre l’emblema di un particolare tipo di cambiamento. Non un semplice endorse. Ognuno lo ricorda all’ONU, agitare la fiala di veleno nucleare – Questa in mano a Saddam può distruggere il mondo in poco tempo. Questa è la ragione per cui l’America interviene –
4187 americani morti in Iraq e un numero imprecisato di soldati offesi a vita, nella mente e nel corpo, per una menzogna. Un’ entità numerica mai calcolata ma esorbitante, di vittime civili. E per sovrapprezzo, lo scempio di Abu Graib. Questo è il seguito della storia, questo il motivo per cui Powell si è pubblicamente vergognato di essersi prestato all’inganno.
Non lo appoggio perchè abbiamo lo stesso colore della pelle so che è cristiano ma anche se fosse musulmano non farebbe alcuna differenza, perchè ricordo un soldato che partì diciottenne per l’Iraq ed è sepolto ad Arlington e sulla sua lapide c’è la mezzaluna. Lo voto perchè è giovane e ha l’intelligenza e la curiosità necessarie per cambiare questo Paese e per non isolarlo dal mondo.
E’ stato da quel momento che Obama non ha più smesso di salire nei sondaggi. Se Obama vince, un sistema politico e culturale che ha portato gli Stati Uniti sull’orlo del tracollo, sarà definitivamente sconfitto.
Varrà anche per noi che a distanze siderali non potremo fare a meno di considerare quanto degli elementi fondanti della cultura e della politica della nostra Destra si ispirano al modello Reagan, Thatcher , Bush. E trarne le dovute conseguenze.
3 pensieri riguardo “Change we need”
Ieri Casini, prendendo le distanze dalla destra pro-Obama, si dichiarava a favore di Mc Cain. Non ci meraviglia, certo. Come non ci meraviglia certa destra che ambisce cmq a salire sul carro del vincitore. Compreso chi (Frattini) cerca somiglianze tra Obama ed S.B., riuscendo solo a generare un effetto comico dirompente.
Povero Obama, questa è peggio delle accuse di contiguità con il terrorismo islamico.
Capisco che di qui a poco Frattini e Berlusconi potrebbero avere a che fare proprio con lui ed è meglio essere prudenti, ma senza esagerare.
Mo dopo l’amico George e l’amico Vladimir esce pure l’amico Barack .. sta a vedere.
beh… tempo fa uscì anche l’amico Sarkozy che, come abbiamo visto su tutti i giornali, poco c’è mancato che gli sputasse in testa.
Vabbè… non l’ha fatto perchè anche lui in quanto ad altezza… gna fà