La febbre di Raul

La febbre di Raul

Molto gradito anche alla critica più pignola, vincitore a Torino filmfestival e all’Avana,  non prima di essersi fatto notare alla Quinzaine, la primaversa scorsa, ecco qui Tony Manero, film del giovanissimo Pablo Larraìn che riesce a catturare l’attenzione e a non deludere le aspettative, nonostante la ricercata sgradevolezza, il duro realismo e una cifra autorale old style forse un po’ troppo marcata.

Anno 1978 sbarca nelle sale la Saturday night fever e il mito di Tony Manero dilaga,  le discoteche risorgono, mentre spopola la moda della danza, dei  completini bianchi e dei capelli ravviati. Alimenta la passione (e la facile identificazione) la storia di Tony, un commesso di  Brooklyn , Bay Ridge per la precisione, che si sente felice, e probabilmente anche se stesso, solo sulla pista del  2001 Odissey, la discoteca dove va ballare al sabato sera. Il fenomeno è di tale portata  da ispirare una discreta quantità  di trattati di sociologia. Dentro ci vanno a finire i nuovi riti del sabato sera, i sogni delle periferie, e quel ponte Da Verrazzano che da Brooklyn porta diritto a Manhattan e che tutti sperano di attraversare.

Nel Cile di Pinochet, dove non ci sono ponti dei sogni tra un quartiere popolare e il resto del mondo, Raul, un cinquantenne brutale e  violento, sembra non avere altro scopo che prepararsi ad un concorso televisivo che premierà il sosia cileno di Tony Manero. Ossessionato dal film  che vede e rivede sempre nello stesso cinema, vive uno stato di costante esaltazione, ripete le battute in inglese, prova di continuo i passi, si costruisce una minidiscoteca con materiali di risulta, ma soprattutto per raggiungere il suo scopo è disposto a tutto, persino a  rubare e a  uccidere.Tutto questo accade mentre le camionette percorrono le strade a caccia di oppositori, in un clima tetro e violento, dal primo all’ultimo fotogramma. 

Raul è l’incarnazione dell’immoralità del regime, del clima d’ impunità in cui è prosperato,  della folle esaltazione per il sogno americano, del potere allucinatorio del cinema yankee cui il regista Larraìn rivolge critiche severissime, in parte immeritate.

Molto efficace e ricca di sfumature l’interpretazione dell’attore  Alfredo Castro ( co- sceneggiatore, per l’occasione)

Mostrare e non dimostrare è, per sua stessa dichiarazione, l’obiettivo che il giovane regista si prefigge. Tony Manero risente positivamente di questo impegno che però non sempre riesce a tradurre in immagini. Poco male. Nel linguaggio cinematografico esistono modi sottili ed impercettibili della dimostrazione, sembrano innocui ma non lo sono. Un film sul regime di Pinochet è un terreno ideale per ogni tipo di tentazione didascalica ma che il regista Larraìn, classe 1976, apprezzi una delle più importanti lezioni di Rossellini, non manca di renderci, cinematograficamente, soddisfatti.

Tony Manero è Un film di Pablo Larrain. Con Alfredo Castro, Paola Lattus, Héctor Morales, Amparo Noguera, Elsa Poblete. Genere Drammatico, colore 98 minuti. – Produzione Cile, Brasile 2008. – Distribuzione Ripley’s Film

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