Che poi, dopo le prime volte, tiri dritto per Quai de la Tournelle, al più uno sguardo distratto alla guglia o alle Chimere. C’è sempre troppa fila per entrare e con la scusa che La Sainte-Chapelle, poco distante, in Boulevard du Palais è moooolto più bella, eviti di metterti in attesa con i turisti. E così può succedere che della Cattedrale non ricordi molto. I rosoni certo, la pala di Guido Reni e il dipinto di Ludovico Carracci (che tanto piacevano a Napoleone), le statue o il suono delle campane.
Poi capita quel che è capitato e Nostra Signora diventa immediatamente il simbolo di Questo e la metafora di Quell’altro. Come se non bastasse il carico di Storia che si porta sulle spalle tra incoronazioni di re e imperatori, matrimoni di stato, riabilitazioni , rivoluzioni e stragi, persino suicidi in prossimità dell’altare. I momenti più cupi del disprezzo giacobino e della scampata distruzione e quelli più luminosi del Te Deum di ringraziamento per la fine dell’occupazione nazista (Te Deum e Marsigliese, ovvio)
Victor Hugo (soprattutto) e ancora Prevert, Benjamin e molti altri ne hanno celebrato il Mito. E dal Mito al Cinema è un passo : muto, parlato,in bianco e nero o a colori. Lon Chaney e Patsy Ruth Miller, Charles Laughton e Anhtony Quinn, Gina Lollobrigida e Maureen O’ Hara, Anthony Hopkins e Disney. Persino un Musical di Riccardo Cocciante.
Non a caso si chiamano monumenti perché stanno lì a ricordare la Storia, le tribolazioni, i fasti, le vicende che, in questo caso, per oltre ottocento anni, si sono susseguite dentro e intorno a queste mura di pietra miracolosamente scampate al disastro. Non c’è bisogno di supplementi di retorica o di voli allegorici, men che meno di alimentare la già imponente mole di Letteratura con fantasie complottiste. Un po’ più di rispetto magari, a partire da quelli che tirano dritto per Quai de la Tournelle, vergognandosi un po’ di mettersi in fila con i turisti. Te Deum sì, per avere ancora con noi il Carracci e il Reni che tanto piacevano a Napoleone. E, immancabilmente, la Marsigliese.
Che luce. Ma questa Bellezza la si deve immaginare sullo sfondo del cielo e del mare di Cannes, sparsa nei mille manifesti che da qui a qualche giorno, invaderanno la città.
Dunque Agnès Varda, proprio lei, in equilibrio sulle spalle dell’operatore. Siamo nel 1955, il Cartellone del Festival quell’anno è un curioso minestrone, si va da Gli amanti crocifissi a Marty vita da timido (che vincerà) a La Valle dell’Eden passando per il Segno di Venere e Marcellino pane e vino.
Il film di Agnès è titolato La pointe courte, non è in Concorso e nemmeno Fuori, sarà presentato ai margini della manifestazione in un luogo defilato. Scritto e diretto da Agnès stessa con l’ausilio del montaggio d’eccezione di Alain Resnais e interpretato da Philippe Noiret e Silvia Monfort. Un piccolo gioiello che anticipa la Nouvelle Vague di almeno cinque anni.
Il manifesto di Cannes 2019 per ricordare il Cinema, sempre giovane, innovativo e audace di quella ragazza che dedicando la Palma d’Onore del 2015, A tutti i cineasti coraggiosi e creativi, quelli che creano il cinema originale, che si tratti di finzione o documentario, che non sono sotto i riflettori, ma che continuano, tenne a precisare che il premio. più che all’Onore era da intendersi alla Resistenza (e dunque al coraggio, la sua più qualificante dote d’Artista)
Nei giorni scorsi un, chiamiamolo vivace, dibattito su Twitter mi ha fatto pensare a questa foto divertente in cui un Esausto Anonimo, forse provato da analoga esperienza social , invocava la Violenza, quella vera, come miglior soluzione di certe controversie verbali.
Certo una misura paradossale ma, fatti alla mano, nemmeno troppo. Dunque, ecco questi fatti : scrittrice e giornalista, peraltro di impeccabile reputazione se si pensa ai reportage a bordo delle navi delle ONG o ai progetti scolastici cui collabora, così commenta l’episodio di Torre Maura :
Per carità, il pischello di Torre Maura, che gli vuoi dire, coraggioso… ma che uno a quell’età non sappia parlare in italiano non vi fa impressione?
Più che altro una constatazione, equivocabile, forse detta male – successivamente spiegherà – ma pur sempre constatazione, atteso che in effetti Simone, il pischello di cui trattasi, la tirata contro l’energumeno se l’era fatta tutta in romanesco.
Non l’avesse mai scritto. Per quattro interi giorni le è piovuta addosso una tale teoria di insulti, cattiverie e divagazioni sul tema – senza che ne fosse mai sfiorato il merito – da indurmi a leggere e ri-leggere il tweet, alle volte mi fosse sfuggito un qualche importante svarione lesivo della dignità etcetc
Il thread consta di circa cinquemila interventi che si potrebbero così catalogare :
Tesi a discarico prediletta dai partecipanti : la supponenza degli intellettuali de sinistra che marcando le infinite distanze con la ggente comune ci fa perdere credibilità e voti, con annessi corollari di terrazze e salotti manco fossero, tutti questi intellettuali, esponenti della famiglia Bernstein.
A seguire, definizione del contesto borgataro che, secondo alcuni, ai fini della comunicazione efficace, richiederebbe l’uso della lingua del luogo. E da qui, manco a dirlo, il manifestarsi improvviso di una specie di sotto-discussione tra sostenitori e detrattori del romanesco che non ha risparmiato nemmeno l’ortografia con gravi dilemmi quali : gli infiniti verbali ossitoni si accentano o si apostrofano? (insulti feroci da una parte e dall’altra anche se sarebbe bastato mettere mano a uno dei sonetti del Belli)
Immancabile poi, il ricorso a Pasolini cui non è dato riposare in pace soprattutto quando si parla di borgate e periferie (le sue erano quelle di oltre cinquant’anni fa…ma che vordì il Vate è il Vate e il quanto ce manca è d’obbligo)
Ma quel che meno si capisce è l’insulto personale ai fini dialettici. Ovvero la delegittimazione a mezzo parole grosse. Sconosciuti attingono dalla patologia psichiatrica il meglio della terminologia (psicotico, schizofrenico, monomaniaco, i più utilizzati) per dare addosso ad altrettanti sconosciuti al solo scopo di… umiliarli? Metterli a tacere? Averne ragione con poca spesa?
Ove, poi, l’operazione non dovesse riuscire, c’è sempre l’aberrante notazione sull’aspetto esteriore : cessa per le signore, sgorbio per i signori. Come se per scrivere i libri o i tweet fosse indispensabile la forma fisica di Charlize Theron o quella di Brad Pitt.
Cosa abbia a che fare tutto questo con Simone e Torre Maura ma soprattutto con una conversazione normale, è un mistero. Non resta che concludere che questi luoghi del presunto scambio offrano, tra le altre, una buona occasione di sfogo per frustrazioni assortite (attingo anch’io dal repertorio psy). A questo punto la proposta dell’Anonimo di cui sopra non appare affatto peregrina, se non altro ha il pregio dell’invito ad essere autenticamente violenti rischiando l’incolumità.
E dire che la Signora Elena Stancanelli, così si chiama la scrittrice e giornalista, aveva precisato così bene il senso del suo tweet.
Non lo capite che quel ragazzo verrà schiacciato dal mondo se non trova parole vere, comprensibili fuori dal suo quartiere? La spocchia è di chi crede che l’ignoranza sia fica, potente, gagliarda .
Che dire. Non fa una piega. La complessità dell’argomento non può richiedere l’uso dell’accetta. Quanto a me, l’episodio di Simone arrivava dopo una stagione di teste bianche nelle iniziative o in fila ai gazebo delle Primarie che avevo interpretato come una sorta di segnale di estinzione. Non un gran momento.
Ecco perché sarebbe doveroso augurare a questo ragazzo e ai suoi compagni il Meglio. E il Meglio per uno della sua condizione è l’Apprendimento pena l’inefficacia di quel che giustamente ha detto e persino del suo indubbio coraggio. E ciò qualunque cosa pensino il Belli, Pasolini e Tom Wolfe, buonanime vorticanti nelle rispettive tombe ad ogni tweet.
Sostiene la sempre infervorata Sorella d’Italia Meloni, quella di Dio, Patria e Famiglia, che le sue scelte private sono fatti, per l’appunto, suoi. E almeno su questo le si dovrebbe dare ragione, salvo che nemmeno troppo tra le pieghe del futuro programma sventolato dalla tribuna internazionale Pro famiglia e contro tutto il Resto, ci fosse di che farsi parecchio i fatti degli altri.
Lei, la Sorella, s’è apparecchiata una famiglia di quelle non precisamente gradite al Partito e al Convegno ma siccome non chiede nulla allo Stato pensa di salvare faccia e coerenza con la minima spesa del privato che non è pubblico. Resta inteso che Meloni non ha bisogno di chiedere alcunché, essendo beneficiaria di norme del Diritto di Famiglia licenziato anni fa (e non propriamente agevolato dalla parte politica di riferimento) che hanno consentito, sposati o meno, il riconoscimento del figlio da parte di entrambi i genitori con tutto quel che ne consegue.
Allo stesso modo, in epoche differenti, le fu guadagnato il diritto non di abortire o di divorziare per forza, ma di SCEGLIERE in piena libertà. Non poco per una esagitata sventolatrice dei fatti miei sono miei.
Per giorni le Sorelle, i Fratelli e i loro sodali ci hanno obbligato ad un umiliante dibattito sul significato di naturale o tradizionale riferito alla famiglia, sulle eventuali terapie mediche da somministrare a omosessuali e trans, sugli embrioni che diventano bambini vestiti da marinaretti due secondi dopo il concepimento e infine sull’egoismo di chi non vuol avere figli nemmeno da dare in adozione una volta nati, il tutto sempre con i soliti toni aggressivi, violenti, ricattatori e sanguinolenti degli integralisti fautori dello Stato Etico e impiccione . Medioevo è stato detto. Magari fosse.
Lasciateci vivere come noi lasciamo vivere voi, non obbligateci a parlare d’Amore in sedi inopportune manco fossimo tutti diventati lettori dei libri scritti peggio.Chi ha mai toccato le vostre famiglie, le vostre identità, le vostre convinzioni? Dov’è questo attacco furibondo alle vostre beatissime case?
Nella foto due recenti elegantissime spose appena uscite dall’incrocio di spade del picchetto d’onore. Con la benedizione della Marina Militare Italiana e della Ministra della Difesa (una volta tanto ci indovina pure lei).Ho scelto l’immagine per questa allegria medagliata e festante che ci arriva alla fine di un insopportabile e cupo periodo di feti-portachiave.
«Il problema non è girare, il problema è abituarsi a guardare attraverso l’inquadratura di una macchina da presa, ovvero quello che sarà un’immagine… Potete fare esperienza ovunque. La vita si mette in scena da sola. È questo che bisogna osservare»
Agnès ci lascia una cospicua eredità di film e di illuminanti considerazioni sul cinema. Pioniera e innovatrice dal primo all’ultimo fotogramma sempre realizzato nella ferma convinzione che il cinema fosse notre défense contre un monde en chaos.
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