Second Strike (quando la lotta si fa dura)
Mi piace molto questa piccola notizia dello sciopero IBM svoltosi il 27 settembre, old fashioned way, a mezzo picchetti e volantinaggi in tutte le sedi della multinazionale con lavoratori in carne ed ossa più.. contestuale presidio degli avatar aderenti a Fiom Film e Uilm su Second Life . Abbigliati informalmente, in puro stile sciopero e forniti di kit atti alla bisogna, con grandi cartelli, gli avatar informatici, intenzionati a chiedere agli avatar manager di non abolire il premio di produzione di mille euro annui per gli oltre seimila dipendenti dell’impresa, si sono dati convegno sull’isola IBM Italia in Second Life. Inevitabile,nonostante un consistente sforzo organizzativo, un po’ di iniziale confusione data da tutti gli avatar che si affollavano e volevano parlare tutti insieme, incrociando domande e risposte in varie lingue mentre erano intenti a rincorrere frasi che, dato il sistema di dialogo in SL, scomparivano dallo schermo in pochi secondi . In prima fila, Davide Barillari, delegato dell’Rsu di Ibm Vimercate, che con certosino e sindacale impegno distribuiva consigli e notizie :Intorno alle 15 la prima dichiarazione : Abbiamo superato i 1.000 avatar, provenienti da 23 diversi paesi, meglio di quanto speravamo. Partecipano tutte le Rsu di Ibm, e in più abbiamo sentito anche Wind e Vodafone.Va da sè che intorno alle ore 20, come del resto accade anche nella First Life, non s’era cavato il ragno dal buco ma gli avatar in sciopero erano egualmente soddisfatti per aver assaltato l’Ibm Business Center interrompendo una riunione di manager su come ridisegnare il sito web dell’azienda (anche questa non è nuova come pratica ).Il presidio è andato avanti a lungo mentre ospiti e curiosi tra i quali, anche un monaco buddista in preghiera,si affollavano ad ammirare la performance dell’artista Gazira Babeli che ha creato migliaia di super Mario Bros lanciandoli in un pacifico assalto dell’edificio principale. Alle ore 22 dopo 12 ore di protesta che avrebbero sfinito chiunque ,la manifestazione è stata sospesa.

In tutto ciò, va dato atto ai lavoratori dell’IBM di aver inventato,in un ‘epoca in cui i rinnovi contrattuali hanno lo stesso appeal mediatico della vecchietta investita sulle strisce,una formula che senza rinunciare alle tradizionali forme di lotta,ha avuto una risonanza ed un impatto fortissimi.Senza considerare i resoconti entuasiasti e divertiti dei partecipanti impegnati a trovare varchi per interrompere la riunione dei manager e a offrire il teletrasporto agli altri compagni.Così entusiasti da chiedere a gran voce la firma del contratto su Second Life.







E’ vero che Pino Lancetti nelle sue creazioni guardava, o come preferiva dire lui, si appoggiava all’arte,lo si capiva dai riferimenti esplicitamente impressi nei tessuti aerei degli abiti da cocktail in cui rivivevano,Picasso,Kandinsky,Matisse, Klimt.Couturier atipico, alla francese, cioè disegnatore e tagliatore (per ogni abito, un centinaio di bozzetti) di una moda artigianale la cui magia nasceva rigorosamente in laboratorio tra ricamatrici e prèmieres e viveva, più che sulle copertine patinate o nelle pubblicità strillate, indosso ad indimenticabili clienti (e non testimonial) :la Begum Salima,Soraya,Audrey Hepburn e Silvana Mangano.Esempio di eccellenza e innovazione nel momento in cui la moda romana cercava un’autonomia dall’ Haute Couture di Parigi e Milano era di là da venire,Lancetti fece parte della nuova generazione di sarti, quella che come i grandi del passato – da Chanel a Schiaparelli – sapeva legare la moda alle diverse espressioni dell’arte.Con lui Mila Schön,Irene Galitzine,Fausto Sarli e un giovanissimo Valentino.Presuntuosi forse, ma in quella sfida c’è stata una ricerca minuziosa di riferimenti che il mondo della moda non ha mai più conosciuto.Nei tardi anni sessanta aveva lanciato per primo la moda militare e con due anni di anticipo su Saint Laurent lo stile Folk, pensando a donne la cui vita stava per cambiare e che non avrebbero mai più avuto il tempo per le classiche quattro prove dell’abito in sartoria . Pino Lancetti mancava dalle passerelle già da anni,con poca convinzione aveva partecipato alla nascita del made in italy,il prêt a porter non era nelle sue corde, come non lo erano le paillettes,gli eccessi,la religione del mercato e la massimizzazione dei profitti.Nel 1999 aveva venduto il suo marchio a due industriali milanesi dei profumi.Tornò alle sfilate in occasione del Premio alla Carriera ricevuto nel 2000, nel vecchio Ospedale Santo Spirito in lungotevere in Sassia, gli abiti erano ancora belli ma il mito un po’ appannato da quei jeans serigrafati,prezzo quattro milioni di lire,voluti dai nuovi proprietari.Quell’anno fu assegnato il premio anche a Jean Paul Gaultier e Vivienne Westwood altri due geni creativi poco inclini alle suggestioni dei profitti .Se l’idea di moda artigianale era tramontata, come del resto il suo mondo,tanto valeva tornare alla pittura.Così si ritirò nella sua casa di via del Babuino a pochi metri dallo storico atelier al primo piano di Piazza di Spagna 93.Sarebbe bello rivedere i suoi cento abiti, esposti al Vittoriano qualche tempo fa e assicurati,senza luccicare nemmeno un po’, per cento miliardi di lire.
