Alleluja

Alleluja

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Alla fine, la corsa contro il tempo se l’è aggiudicata lei, sgattaiolando via all’inglese, sottraendo se stessa alle mani, per qualcuno dei torturatori,  per altri degli amorevoli sanitari, per altri ancora degli assassini.

Soprattutto evitando futuri accanimenti fatti di nuove ispezioni, altre perizie, ulteriori inchieste, scrupolosamente avviate da ministri e sottosegretarie talmente presi dal gioco da aver somatizzato inettitudine e malafede.

Iniziative che presumibilmente sarebbero culminate con l’intervento del nucleo dei carabinieri spediti ad interrompere il percorso stabilito dai tribunali e dai medici. Per sopraggiunti atti legislativi, come si dice in questi casi. Fermi tutti.

A noi rimangono pesanti eredità :  a  cittadini onesti, dolorosamente segnati da un’esperienza difficile, che tuttavia mai hanno agito fuori del perimetro di legalità, si è risposto negando l’esistenza di uno  Stato di Diritto. E questo che già sembra abbastanza, non è nemmeno tutto.

Ci sarà tempo nei giorni prossimi per inondare nuovamente questo caso con valanghe di retorica e lacrime di coccodrillo. Al momento però ogni cosa perde senso di fronte ad una sola, umanitaria considerazione :

Dopo diciassette anni,  Eluana Englaro è finalmente libera. Alleluja.

Attività legislativa ( come la conosciamo noi)

Attività legislativa ( come la conosciamo noi)

Non è la cattiveria invocata dal Ministro degl’Interni Maroni,  semmai peggio : malafede, confusione, opportunismo che genera provvedimenti dalle ricadute incalcolabili, tra medici delatori, rischio epidemie, badanti divenute fuorilegge, albo dei clochard, ronde e battaglioni, senza che ciò serva a risolvere uno solo dei problemi che ci si propone di affrontare.  Il tutto al solo scopo di alimentare la fabbrica dei consensi. 

E questo è ancora niente. Dopo la defatigante corvè securitaria, la beffa estrema di scaricare sul Presidente della Repubblica, che altri comportamenti istituzionali, rispetto al decreto che vieta la sospensione dell’ alimentazione forzata ai pazienti in stato vegetativo irreversibile, non avrebbe potuto tenere, ogni responsabilità sul caso Englaro. A costo di scatenare una catena di conflitti istituzionali senza precedenti, si procede egualmente con il proposito di licenziare una leggina. Un’esibizione di forza inaudita per il nostro assetto, accompagnata da dichiarazioni minacciose sulla volontà di cambiare la Costituzione e riformare la Giustizia. Una conferenza stampa memorabile disegna il ruolino di marcia. E c’è persino chi  benedice loro, le insegne.

A nulla valgono, le difese immunitarie dell’organismo collettivo – Carta, leggi, codici, tribunali, magistratura – tutto vogliono disarmare. E vogliono vincere. Anche se il prezzo è la sopravvivenza in stato vegetativo di una povera creatura, poiché la posta in gioco è ben altra. 

I caudatari sono già all’opera sulla carta stampata e in televisione : un paese moderno non può essere oberato da quest’eccesso di contrappesi. Il progresso esige decisionismo. Il decreto dunque è  stato trasformato in proposta di Legge da sottoporre all’ Aula – o in Commissione, vedremo –  per un’ approvazione a tamburo battente. Del resto bisogna far presto, non c’è tempo per soluzioni condivise. Favorevoli ? Tot, Contrari ? Tot, Astenuti? Tot. le Camere approvano. Così si fa.

Cosa ci vogliono indurre a sperare con l’avvio di questa corsa contro il tempo ? Che Eluana Englaro muoia prima che il legislatore abbia compiuto l’opera? Bisognerà mantenere i nervi saldi, una delle caratteristiche precipue di questo dibattito dissennato è ritrovarsi, seppur su terreni contrapposti, a condividere con l’interlocutore inimmaginabili livelli di perversione. Questo avviene quando si smarrisce la strada maestra del rispetto delle regole. E delle persone. Ovvero quando si vogliono scardinare equilibri su cui è fondata la democrazia e la convivenza civile. Una china che questo governo, in ogni sua manifestazione, sembra preferire ad ogni altra.

Nell’Illustrazione la Stella della Repubblica, la foto l’ha scattata mrtambourine ed io l’ho parzialmente riprodotta

Why would I want to talk to David Frost?

Why would I want to talk to David Frost?

Da storica intervista televisiva, a pièce teatrale  di successo, a film,  ritrovando il racconto, in quest’ultima trasformazione, un brillante condensato di tre differenti generi. Consacrato da cinque nominations di quelle pesanti, including the best picture, come avvertono le locandine e i trailers, omaggio alla fatica di mettere in scena, lo storico match  in cui David Frost, anchor inglese privo di qualsiasi credito politico, incalzò talmente Richard Nixon, unico presidente degli Stati Uniti ad essersi dimesso,  da indurlo ad ammettere per la prima volta in pubblico le sue responsabilità nello scandalo Watergate. Ma anche storia degli antefatti, dei retroscena, del come si arrivò allo scontro televisivo, attraverso una lunga preparazione e ad un misurarsi reciproco assai simile a quello dei lottatori o dei pugili.

I protagonisti – Shenn e Langella – sono gli stessi della commedia di Peter Morgan, dunque da una parte pienamente avvezzi ai ruoli, dall’altra impegnati a moltiplicare gli sforzi innanzi alla cinepresa che a differenza del pubblico in teatro, scruta e mette a fuoco ogni dettaglio, così implacabile  da rendere evidente la più piccola falsificazione o il più infinitesimale degli errori. Bravi nel rendere l’uno, il presidente caduto in disgrazia che passò il resto della sua vita a cercare di risorgere, l’altro in quelli del conduttore d’intrattenimento per il quale quell’intervista rappresentò l’avvio  di ben diverse fortune professionali. Un Ron Howard inatteso in grado di rendere quell’evento sensazionale e i relativi  colpi  bassi come un’elegante raffinata partita a scacchi. Un gran bel film.

 Qui è possibile vedere The original Watergate  interviews, il vero scontro a fuoco del 1977 andato in onda per la televisione inglese in quattro puntate.

 

 

Frost/Nixon è un film di Ron Howard. Con Frank Langella, Michael Sheen, Kevin Bacon, Rebecca Hall, Toby Jones Titolo originale Frost/Nixon. Drammatico, durata 122 min. – USA 2008. – Universal Pictures

 

Navtej

Navtej

La categoria Cattivo suonerebbe impropria e sinistra già  nelle dichiarazioni di un politico qualsiasi, figuriamoci in quelle di un ministro all’indomani di un’aggressione e questo anche se i possibili destinatari delle cattiverie  istituzionali dovessero – come si è affrettato a spiegare Maroni –  essere gl’immigrati clandestini, uno status che non implica automaticamente l’appartenenza ad una fattispecie criminale. Atteso che, seppure fosse, severo, resta un’ espressione del vocabolario  più adatta a definire dignitosamente un atteggiamento governativo.

Certo nell’enfasi  – di lisciare il pelo alle masse oramai versate ad applaudire il linciaggio dello straniero –  la parola grossa scappa. Anche se miglior  fabbrica di clandestinità della legge Bossi Fini, non fu mai vista. Così ben orchestrata da sospingere  in condizione d’irregolarità anche i possessori di permesso di soggiorno o da impedire con ogni forza che lavoratori –  nei cantieri, nei campi, come in molte delle nostre case – guadagnino la dignità di un’esistenza  alla luce del sole, per se stessi e per la collettività, costretta con ciò, a sopportare i guasti del cosiddetto sommerso.

Ma il ministro reclama cattiveria. Perché la bontà –  modulo le espressioni attestandomi sulla linea delle nuove  frontiere del linguaggio – a suo dire, produce immigrazione incontrollata e l’immigrazione disturba la quiete dei cittadini perbene. Ovvio che poi il disappunto di costoro,  generi episodi d’intolleranza.

Ma tra le pieghe di una vicenda  che ci affrettiamo a non definire razzista, che vogliamo per forza catalogare come  l’esito di  un disagio giovanile diffuso o della cattiva educazione che genera individui annoiati e privi di valori, spunta  invece  la piccola storia di Navtej che ha perso il lavoro entrando, grazie ai buoni uffici della Bossi Fini , a far parte della schiera dei clandestini, quindi dei senza tetto,  che è stato mandato via dalla meno pericolosa Stazione Termini, perché il sindaco di una grande città, campione di Scaricabarile, Chi la spara più grossa e Fatti più in là, pretende ordine e pulizia nel suo territorio e che  infine, approdato in un posto qualsiasi, è stato malmenato cosparso di benzina ed incendiato da un gruppo di disgraziati che non aveva di meglio da fare che prendersela con chi è socialmente percepito come un niente, un mucchio di stracci abbandonato in stazione. Nemmeno un essere umano. Navtej, del resto, mica è un ragazzo, è un marocchino, chiosano irridenti gli amici dei presunti criminali. Dio mio, che giovanile disagio. E che mancanza di valori.

Ma perchè, la legge, le istituzioni, hanno saputo fare di meglio degli aggressori?

Non c’è passaggio che chiunque definirebbe a rischio, negli ultimissimi avvenimenti della  vita di Navtej, così come ci è stata raccontata,  che avrebbe potuto essere evitato, se solo questo paese avesse Istituzioni funzionanti. Ne’ buone ne’ cattive : solo efficienti. Rispondenti ad un disegno. Uno qualsiasi. Ma che tale sia . Dirò una cosa enorme : persino l’orribile istituto  dell’ espulsione senza fondato motivo, sarebbe stata meglio del fuoco. Nemmeno le ipotesi scellerate sulle quali costruiscono il consenso, riescono a mettere a punto, i nostri governanti buoni.

Leggi, servizi sociali, forze dell’ordine, associazioni di volontariato… niente e nessuno è stato in grado di evitare il peggio. Credo che con Navtej e con quelli come lui, noi siamo già abbastanza  cattivi per poter immaginare di diventarlo ulteriormente. Oltre c’è solo la violenza. Ma anche quella già viene praticata da tempo.

Sweet home?

Sweet home?

Davanti ad una casa priva di vie d’accesso,  laddove altri hanno il giardino o il cortile,  loro hanno un’autostrada mai terminata, chiusa da dieci anni, deserta. Loro sono una bizzarra famiglia e utilizzano quello spazio un po’ surreale come veranda, parco giochi, solarium, pista di pattinaggio. Si direbbero un gruppo compatto, lieto, giocherellone, ma a ben vedere quella  ricerca di felicità vissuta ai margini, lontana da mode e da rumori nasconde seri squilibri. Quando all’improvviso  l’autostrada sarà ultimata e prenderà a funzionare rendendo loro difficoltosa la sopravvivenza,  reagiranno come sempre : ignorando la realtà fino all’autoesclusione, alla rinuncia,  murandosi in casa per sfuggire ai rumori e all’inquinamento


Opera prima – documentari a parte –  di Ursula Meier, molto apprezzata a Cannes e dalla critica francese in genere. Meno dalle nostre parti, dove il film è stato giudicato cerebrale e un po’ troppo metaforico. In realtà la sceneggiatura funziona benissimo mentre cresce il disagio o quando, da piccoli e grandi indizi, viene rivelata la natura sostanzialmente folle  di quell’ insieme domestico. Ma essendo la narrazione costruita pietra su pietra, per essere destinata ad un finale tragico, l’happy end che la regista ammette di aver voluto inserire all’ultimo momento, squilibra l’economia del racconto,  risultando spiazzante e curiosamente stonato, quell’ improvviso risolversi della tensione, banalmente …nel trionfo dell’amore.

Il nemico non viene da fuori a turbare una serenità che non esiste e in cui ci  ostiniamo  a credere, il nemico è dentro di noi. Negazione ed autodistruzione procedono di pari passo. Sbaglia la critica che ha bollato questo film come criptico.

Grandissima Isabelle Huppert regina – e probabile artefice – incontrastata dell’Incubo Domestico e magnifica interprete del disastro psichico sotterraneo, ruolo a lei congeniale e già largamente sperimentato.

Futura Presidente della Giuria a Cannes 2009, compito che si propone di assolvere democraticamente con  occhio particolarmente attento al cinema di qualità che però richiami il grosso pubblico. Aspettando un nuovo Fellini. Che arrivi o meno, una cosa è certa : Isabelle sarà all’altezza.

Home è un film di Ursula Meier. Con Isabelle Huppert, Olivier Gourmet, Madeleine Budd, Kacey Mottet Klein, Adélaïde Leroux Drammatico, durata 95 min. – Svizzera, Francia, Belgio 2008. – Teodora Film