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Mese: Marzo 2008

Complici Chet Baker e Summertime

Complici Chet Baker e Summertime

Al festival di Cannes esiste un premio che si chiama  Coup de coeur . Bikur Ha-Tizmoret – titolo italiano  La banda –  opera prima del  giovane regista israeliano Eran Kolirin , lo scorso anno ha partecipato alla sezione Un Certain Regard, aggiudicandosi a pieno titolo quel riconoscimento

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Forse la banda musicale egiziana che sbarca a Telaviv per suonare all’inaugurazione di un centro culturale arabo e che per un banale errore di pronunzia, finisce in una piccola città isolata  nel deserto, si ritrova in un territorio estraneo più che ostile. Se però insieme alla necessità di comunicare entrano in campo l’empatia, il senso dell’umorismo e la musica, la storia prende tutta un’altra piega.

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Ci saranno così scambi di confidenze tra la proprietaria dell’unico ristorante e il colonnello egiziano e finanche una sorta di education sentimentale  che il bellone del complesso musicale impartisce al  giovane imbranato del villaggio. Più che il messaggio di fratellanza che comunque è presente e non stona, il film è molto arguto e attento nell’indagine dei rapporti tra i personaggi. Per tutto il tempo mi sono tornate alla mente le parole di Yehoshua che ha definito il popolo israeliano stufo  ( ha detto proprio così) di guerra e difficili convivenze. In quelle espressioni ho ritrovato intero il desiderio del regista di fuggire  dal paradigma del conflitto per liberare un immaginario ironico, seduttivo, lontano dall’intransigenza che soffoca le culture.Omaggio del giovane regista al cinema egiziano di qualche tempo fa , a Omar Sharif  e Fatem Hamana e alle dolenti melodie di Om Kalshoun.Non perdete questo piccolo gioiello del nuovo cinema israeliano.

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La banda è un film di Eran Kolirin. Con Sasson Gabai, Ronit Elkabetz, Saleh Bakri, Khalifa Natour. Genere Commedia, colore 90 minuti. – Produzione Israele, Francia 2007. – Distribuzione Mikado –

Contro le sbranate e il meteo…

Contro le sbranate e il meteo…

…e i successivi pentimenti , meglio saltare a piè pari l’abbacchio a scottadito e infilarsi in una ( due,tre..) sale cinematografiche. Senza troppo concedere, in termini di rivalutazione ( jamais ) al multiplex con quegli schermucci da figurine Panini ma approfittando degli indubbi vantaggi offerti dalla modernità. Se fuori c’è il nubifragio, è comodo, dopo aver stazionato nella prima , avere una seconda ed una terza sala da visitare…soprattutto se in una delle tante c’è …Cover Boy

 

Il precariato non ha nazione, si potrebbe dire e così se parti da Bucarest per sfuggire ad una condizione d’incertezza e instabilità , sbarchi a Roma e trovi le stesse difficoltà di sopravvivenza. Magari rese più drammatiche dalla mancanza di documenti o dall’offerta di lavori alienanti e mercificanti : il ragazzo copertina appunto . Film non banale e meno che meno retorico che tra l’altro affronta le sfumature dell’amicizia virile con una tal dose di realismo, da rendere inopportuna ed ingombrante  la presenza di qualsiasi personaggio femminile s’insinui nella trama. 

Azzeccata definizione del backround del ragazzo romeno attraverso le immagini della caduta di Cesaucescu .Splendida e commovente la citazione pasoliniana – il film è girato al Mandrione – espressa dalla corsa sullo stradone che delimita la periferia. Un lavoro che arriva in ritardo per le solite difficoltà di finanziamento ma che ha guadagnato il tempo perduto col pieno di riconoscimenti e premi ottenuti in oltre venti festival. Sempre lodevoli sono poi, i tentativi di far conoscere la cultura romena per quel che è, molto più vicina alla nostra di quanto pensiamo.

Cover Boy è un film di Carmine Amoroso. Con Eduard Gabia, Luca Lionello, Chiara Caselli, Francesco Dominedò, Gabriel Spahiu, Luciana Littizzetto. Genere Drammatico, colore 97 minuti. – Produzione Italia 2006. – Distribuzione Istituto Luce –

Strategy games ( ma la gazzella è sola)

Strategy games ( ma la gazzella è sola)

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Il più giovane prigioniero politico del mondo si chiama Guendum  Tcheukyi Nyima , la sua unica colpa è di essere stato nominato undicesimo Panchen Lama, seconda carica spirituale nella gerarchia del buddismo tibetano, com’è nelle tradizioni , dal Dalai Lama in persona. Pechino, in quell’occasione, ha designato al medesimo ufficio  un altro bambino tibetano, Gyasten Norpo. Una delle tante circostanze in cui è racchiuso il  senso dell’espressione genocidio culturale, usata a proposito degli ultimi episodi di violenza a Lhasa. C’è un fondo di verità in quel che si sostiene a Pechino e cioè che la Cina abbia  introdotto in Tibet infrastrutture moderne e favorito maggior benessere. Più volte lo stesso Dalai Lama che, per fortuna, è un leader spirituale al quale non fa difetto una precisa impostazione laica, quando si tratta d’intervenire in merito al futuro del suo paese,  ha sottolineato come quella regione non potrebbe  avere mezzi per svilupparsi senza il sostegno di Pechino.Tuttavia gravissime  e continuate violazioni dei diritti umani segnano duramente l’esistenza del popolo tibetano particolarmente per la linea dura del capo del partito comunista locale Zhang Quinli  che dal 2005 ha reintrodotto antiche limitazioni ,imposto agli studenti e ai dipendenti pubblici il divieto di partecipare a manifestazioni religiose e chiesto ai monasteri d’ impartire più “educazione patriottica” . Di fatto, una delegittimazione continua del Dalai Lama come guida spirituale del Tibet, contraddistingue la strategia di Pechino. Oggi, a fronte dell’ossessione cinese per l’economia, in gioco sono la sopravvivenza della cultura e dell’identità tibetana che rischia di restare appannaggio della religione e di un folklore promosso ad uso e consumo del turismo internazionale. I giochi olimpici di Pechino e il transito della fiaccola attraverso il Tibet, sono un’occasione irripetibile per porre al centro dell’attenzione il problema della violazione dei diritti fondamentali . Monaci buddisti  e gruppi di giovani ribelli hanno protestato contro il governo con un’ aggressività che, seppur nettamente inferiore a quella della polizia,  ha sfidato il principio della non violenza  da sempre predicato dal Dalai Lama . Ma la pacifica Via di Mezzo  avrebbe bisogno di una salda sponda internazionale per continuare ad essere accolta dai tibetani come l’unica strada possibile per l’emancipazione ed i diritti umani. Senza la pressione internazionale sulla Cina, prevarrebbe la tendenza suicida, a cedere ad istanze indipendentiste. In Tibet sono insediati otto milioni di cinesi contro una popolazione locale che ne conta appena sette e Pechino non ha esita quando è necessario a chiamare alla guerra di popolo contro i separatisti. Il boom economico non è servito ad ottenere la fiducia dei tibetani ma un ritorno alla povertà precipiterebbe il paese in condizioni peggiori di quelle attuali. Difficile per l’Occidente affrontare efficacemente un paese, la Cina, membro permanente del Consiglio di Sicurezza, potenza economica influente con un  notevole peso geopolitico , così i governi occidentali si limitano ad esortare Pechino alla moderazione,una reazione ridicola agli occhi dei numerosi sostenitori della causa tibetana.  Il rischio è che fino ai giochi olimpici manifestazioni di protesta, repressione e sostanziale impotenza occidentale generino una situazione di cui farà invariabilmente le spese il popolo tibetano.Impossibile, al momento , prevedere la possibilità  che la gazzella abbia la meglio sulla tigre.

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Sotto al macadam

Sotto al macadam

Au moment de l’érection des barricades, on avait retrouvé sous le macadam l’ancien pavement de Paris, et sous les pavés – immédiatement utilisés de la façon que l’on devine – le lit de sable sur lequel ils étaient posés. Le symbole était vraiment trop beau !.

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Sous les pavés, la plage , sotto il selciato la spiaggia – fu ancheil titolo di un bel film – è uno degli slogan più significativi del maggio, ancor più dell’arcinoto e situazionista l’imagination au pouvoir o dell’anarchico il est interdit d’interdire. Cosa ci fosse sotto il selciato della rue  Gay Lussac la notte del 10 maggio, io non potevo sapere,  perché di quelle barricate tirate su abbattendo alberi e ammonticchiando pietre, ricordo solo gli studenti in un visibile stato di eccitazione, una sorta di coraggio fisico che bucava il video del televisore di casa davanti al quale ero seduta. L’illuminazione non sopraggiunse nemmeno trascorsi un paio d’anni quando, conquistata la quarta classe ginnasiale, quelle barricate e quel coraggio divennero affare anche mio. Ci volle un po’ più di tempo per comprendere la portata  formidabile di liberazione culturale, personale, sessuale che ha cambiato la faccia della società francese (ma anche di quella italiana,tedesca, americana.. )  e che si deve ai metodici disselciatori di rue Gay Lussac , agli occupanti dell’ Odéon  o dell’Ecole des Beaux Arts e ad altri disobbedienti sparsi per il mondo.  Nessuno avrebbe potuto immaginare che risultati duraturi  si sarebbero ottenuti  ben oltre  il semplice dato politico . Ed è  sotto questo aspetto che un altro slogan assume significato, se è vero che la  barricade ferme la rue mais ouvre la voie, diventa più chiaro anche cosa fosse nascosto sotto al macadam.

Le généralissime

Le généralissime

I manifesti del maggio parigino sono del tutto differenti per atmosfere , tratto e caratteri grafici da quelli del Flower Power di San Francisco , nessuna tentazione psichedelica, nessun compiacimento liberty o hippie, niente cioè di quanto aveva caratterizzato la grafica dei movimenti giovanili di protesta negli anni che avevano preceduto il 1968,  è presente in quelle locandine che , per linguaggio e realismo , assomigliano assai di più a quello degli anarchici di Barcellona del 1936. Uno dei bersagli preferiti del Movimento è il generale  De Gaulle che nel 1968 è al suo ennesimo mandato presidenziale. Onnipresente, la sua ombra incombe e padroneggia ad impedire libertà elementari :la sua immagine è chiamata a rappresentare il Potere nelle sue diverse perversioni :


 

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Re Sole con l’ossessione del manganello

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manovratore di una terribile macchina che pressa e maciulla la Francia ….

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Quei manifesti non mentivano . Il 28 giugno del 1968 dopo un’ intensa stagione di scioperi studenteschi e operai, la consultazione elettorale premierà il gollismo , una vittoria schiacciante della quale fece le spese soprattutto il partito comunista francese. Messi tutti insieme i voti della sinistra raggiungeranno gli otto milioni. Uno in meno dei partecipanti operai dello sciopero di maggio.

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