Qui non si baciano rospi ( e due)

Qui non si baciano rospi ( e due)

Cinici – e imbecilli – sono quelli che inneggiano, quelli che pretendono di trarre dal gesto di un disperato, un teorema politico, coloro i quali pensano di speculare sull’accaduto incastrando – tutte le occasioni sono buone – l’Opposizione, la Stampa e le solite trasmissioni televisive – sempre quelle – col ricatto della responsabilità nel determinare  il clima d’odio.
Non parliamo poi di quelli del se l’è cercata.
Ne’ di quelli che rivendicano il diritto di odiare.
  All’episodio in questione si possono applicare tutte le teorie possibili da quella  spicciola  – ed assurda – del nuovo terrorismo a  quella più sofisticata  – ed attendibile  – del doppio corpo del sovrano, ma il fatto acclarato è che ciascuna delle reazioni di cui sopra  è accomunata dalla medesima cifra antipolitica, non a caso indignazione e sostegno con o senza le avversative di cui tanto si  discute, vengono espressi per il tramite dello stesso tipo di linguaggio. C’è l’odio, l’amor (qui ) vincit ,il dolore che che s’immola e riscatta nonchè l’invidia. Categorie apparentemente prelevate dal bagaglio del  senso comune, espressioni immediate, comprensibili  ma che poco hanno a che vedere  con la politica. Un’involuzione  buona solo a trascinare l’attenzione altrove
In tutto ciò si avrebbe la pretesa di avviare il dialogo per le riforme ovvero con scadenze più ravvicinate, discutere di processi brevi, separazione delle carriere, obbligatorietà dell’azione penale, responsabilità dei giudici e, naturalmente, di restrizioni da applicare a cortei, internet e quant’altro.
Nel ridisegnare i nuovi assetti – quelli post deprecabile aggressione – mi pare che , riapertura dei manicomi a parte, non manchi proprio nulla, mentre le pretese di dettare le condizioni ai negoziati aumentano di giorno in giorno, in una sorta di corsa a regole da applicare ad un gioco che non c’è.
A meno di considerare gioco l’ottenimento dell’immunità – siamo del resto allo sfinimento e qualcuno comincia a pensare che sia il minore dei mali – o alla lunga ,l’ipotesi presidenzialista. Ma lì le regole dovrebbero essere altre e l’atteggiamento meno ricattatorio. Soprattutto più votato a legiferare per il Paese e non per uno solo.
Continuano tragicamente a non esserci rospi da baciare, quantunque feriti e offesi, sembrano più vitali e principeschi che pria.

Arabeschi

Arabeschi


Dieci inverni possono sembrare abbastanza per riconoscere un sentimento ma per i due protagonisti di questa storia,  si tratta di un arco tempo vissuto a distanza, la continuità semmai è in un filo che lega  gl’incontri casuali o in una corrispondenza intorno alla quale si costruiscono intimità e si dipanano equivoci. Ci si perde e ci si ritrova, poi si torna a perdersi,  in un tempo della relazione dilatato, mentre ciascuno vive proprie esperienze che, non a caso, restano fuori campo.

Una storia  di atti mancati e di reciproche paure, arabesco, più che percorso lineare o traiettoria,le cui evoluzioni o involuzioni, nonostante l’apparente  frammentarietà della vicenda, non determina mai intermittenza del sentimento.
Le cose, si sa, al di là dell’esemplificazione narrativa, vanno proprio così.

Tutti giovani in questo film , tutti efficaci ed incredibilmente maturi – attori perfetti, naturali e regista al suo promettente esordio, sceneggiatura impeccabile –  tutti abilissimi nello scantonare i rischi del raccontare una storia d’amore tra Venezia e Mosca, dall’andamento non convenzionale. Il cinema ne ha rappresentate migliaia.
Il banale, lo scontato ed il facile sentimentalismo. In agguato nella vita – magari assumendo più accattivanti definizioni –  figuriamoci in un film.
Un bell’esempio di cinema italiano.

 

Dieci inverni

è un film di Valerio Mieli del 2009, con Isabella Ragonese, Sergei Zhigunov, Michele Riondino, Glen Blackhall, Luca Avagliano, Liuba Zaizeva, Alice Torriani, Vinicio Capossela, Sergei Nikonenko. Prodotto in Italia, Russia. Durata: 99 minuti. Distribuito in Italia da Bolero Film

 

 

La menzogna del capostazione

La menzogna del capostazione

Fa bene Rubini ad essere ossessionato dai critici – poi anche dalla pittura, dai treni e dalla Puglia, ma quella è un’altra storia –  Invero a leggere la rassegna stampa –  una decina di recensioni tra quotidiani e periodici –  più che le sue ossessioni stavolta sembra che abbia messo in scena quelle degli altri.C’è nel film una serie di bozzetti paesani? Ma è Germi ! La storia è famigliare nonchè ambientata negli anni sessanta? Allora è Tornatore. L’ultimo film. Si tratta di ricordi? Non ci sono dubbi : è lo spirito del Fellini di Amarcord. Certo che essere influenzato da tutti questi maestri messi insieme dev’essere una bella gatta da pelare .Faticoso e impegnativo, se non altro. Peggio che girare un film.Nell’ansia di mettergli sottosopra l’identità artistica  – e invece Rubini ,piaccia o non piaccia, un tratto suo deciso ce l’ha, eccome –  o di correre dietro alle doti interpretative ed estrinseche  della Golino o di Scamarcio , quasi nessuno s’è accorto ,tanto per dirne una, dello straordinario montaggio a cura  della maga Esmeralda Calabria o della sceneggiatura di Domenico Starnone . Come se combinare la trama con l’ordito fosse un fattore marginale in un racconto.Come se la scrittura contasse nulla.

Visto che si affida a chi ne dovrebbe sapere di più, il pubblico meriterebbe di andare al cinema confortato da qualche  dato obiettivo, che a raccontare le proprie personalissime sensazioni, sono bravi quasi tutti.
A meno di apprezzare la critica  folle e visionaria –  in certi casi la preferisco, ma siamo distanti dai signori della mia rassegna stampa – ci si dovrebbe attenere di più ai fatti. E i fatti in un film che racconta ,per dirla con Rubini ,una menzogna sincera, vanno oltre il capostazione dalle ambizioni artistiche frustrate con la moglie bella e infelice, il cognato scavezzacollo e i bambini che ci guardano sullo sfondo del solito paesotto del sud dal quale si può solo fuggire ( niente paura, capita anche nel’Iowa)

Forse la lezione felliniana c’è e sta in questo raccontare il vero attraverso una ben orchestrata menzogna. Perchè è per il tramite del falso che si liberano gli elementi vitali di una storia. Cos’è il cinema dopotutto?

Opera meticolosa  nel delineare la parabola di ciascun personaggio e – old fashioned way  –  vagamente melò, senza però il fastidioso, intervento della nostalgia  ( e qui bisogna essere abili). Protagonisti assoluti : il talento con le sue vie assolutamente misteriose, la meschinità umana, la forza e le ragioni dell’amore.

L’uomo nero è un film di Sergio Rubini del 2009, con Sergio Rubini, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Fabrizio Gifuni, Guido Giaquinto, Maurizio Micheli, Vito Signorile, Anna Falchi, Margherita Buy, Vittorio Ciorcalo. Prodotto in Italia. Durata: 116 minuti. Distribuito in Italia da 01 Distribution

 

Qui non si baciano rospi. Che poi si trasformano in principi regnanti

Qui non si baciano rospi. Che poi si trasformano in principi regnanti

Se oltre ad avere il consenso ha anche gli attributi, perché non cambia – nei modi previsti –  la Costituzione? Sarebbe l’unico modo per neutralizzare l’ostruzionismo del partito dei giudici. A quel punto nemmeno la tanto vituperata Alta Corte potrebbe nulla.

Non meraviglia che il presidente del consiglio dichiari pubblicamente di avere le palle. Semmai imbarazza  lo scarso spessore dell’uomo di governo ovvero dell’uomo in genere e della sua eterna necessità di ribadire quel concetto . Per il resto questa Esposizione Internazionale di attributi non è che il compendio di un’ impostazione culturale e politica di fondo.

Tuttavia, quantunque abbia le palle, non governa. Ha le palle ma non va al referendum costituzionale. Ha le palle ma continua a sbattere la testa contro un unico Principio. Guarda caso quello di Uguaglianza.

Se si teme di mettere a profitto un consenso così vasto significa che le certezze su cui è fondato non sono poi  così granitiche come si vorrebbe far credere. Dunque, trattasi di materiale buono per la propaganda ma inservibile allo scopo di governare coerentemente il Paese.

A questo punto la recente querelle tra Scalfari e Galli della Loggia sull’opportunità o meno da parte di Bersani, di baciare il rospo, si arricchisce di elementi e prende altre pieghe. Comunque la si pensi sul fatto che Governo e Opposizione dialoghino, particolarmente sul tema della Giustizia, non si può pensare di aprire tavolo alcuno sulle questioni attualmente in esame, vedi il processo breve. Ne’ su qualunque altra legge o leggina che ruoti intorno a fatti eccezionali o contingenti.

Intanto perché l’eccezione che diventa norma, la contingenza prevaricatrice ed infine  l’interesse del singolo su quello della collettività,  minano alla base l’universo logico giuridico. Lo strappo che si determinerebbe, andrebbe invariabilmente a intaccare il principio di neutralità e normalità  dell’Ordinamento.

Una legge che fissa in sei anni la durata massima del processo è auspicabile solo se non contiene fattori discriminanti, ovvero se è supportata da robusti stanziamenti. Se le cose rimangono come sono, i cittadini vedrebbero solo diminuite le già  labili garanzie di avere giustizia.

Le nuove eventuali tempistiche abbisognano di persone, mezzi, strutture, quattrini. Che non ci sono, né si prevedono. Senza considerare che i processi si allungano a dismisura non tanto perché la magistratura è impegnata a farsi spalmare il cerone per andare in tv, ma soprattutto per una serie di bizantinismi pseudogarantisti e norme procedurali labirintiche – tutte introdotte nelle varie tornate legislative dal centro- destra  e tutte ad hoc – tra le maglie delle quali, un avvocato che trovi conveniente fare dell’ostruzionismo forense, ha buon gioco.

Un contesto della proposta così  deficitario, senza contare la certezza che un simile provvedimento non serva in realtà che da scudo ad Uno Solo, non lascia spazi per emendamenti di sorta. Va solo buttata nel cestino della carta straccia. Ergo un’Opposizione costumata non può assumersi responsabilità se non quella di votare contro. Sempre che gliene sia data l’opportunità. Bersani si astenga dalle effusioni. Che il Principe è in agguato

Camera molto fissa e luoghi comuni

Camera molto fissa e luoghi comuni

 

 

 

Non ti fidare dei latin lover, sono tutte bugie, sono italiani di merda, credono che siamo tutti zingari, ai miei tempi venivano qua per scopare, perchè credono che la Romania è un paese di sole donne e loro sono i tori, ora siete voi che andate direttamente lì farvi scopare, dunque vuoi andare a battere?, i maccheroni rapiscono i rumeni per rubargli gli organi. Il sindaco di Verona ha dichiarato la città libera dai rumeni.

Il catalogo delle presunte malefatte ovvero dei pregiudizi sugli italiani continua con il famoso epiteto rivolto ad Alessandra Mussolini che ha poi cercato, senza riuscirvi, di bloccare il film con una querela . 

A parlare è il padre di Francesca, la ragazza che tra mille peripezie cerca di racimolare i soldi per il viaggio in Italia, dove spera col tempo di aprire un asilo nido per i figli degl’immigrati. La conversazione non è che  lo specchio fedele di quel che in  in Romania si dice dell’Italia. Di qui la storia ci rimanda una serie di personaggi e di situazioni clichè, tuttavia assai credibili. Chiunque abbia assunto in casa una donna rumena, sa benissimo quale sia la preoccupazione principale della famiglia lontana e quanto queste poverette si adoperino per rassicurare i parenti sull’onestà del proprio impiego. E sa anche quanti sacrifici costino i viaggi verso un futuro migliore e quanta corruzione nelle maglie di una burocrazia implacabile e vorace.

Il cinema in Romania sembra molto versato a raccontare di un  paese ancora senza punti di riferimento ma in evoluzione, con un piglio e una capacità di penetrare i personaggi e le storie quasi da neorealismo. Emerge così un cinema nuovo, differente che però ha scarsa fortuna presso i distributori malgrado l’incetta di premi e riconoscimenti ottenuti nei vari festival.

Storia senza happy end possibile. Camera molto fissa quasi a ribadire situazioni con poche vie di uscita



Francesca è un film di Bobby Paunescu del 2009, con Monica Barladeanu, Doru Boguta, Luminita Gheorghiu, Teodor Corban, Doru Ana, Dana Dogaru, Mihai Dorobantu, Ion Sapdaru, Dan Chiriac, Gabriel Spahiu. Prodotto in Romania. Durata: 96 minuti. Distribuito in Italia da Fandango